Siamo stati dall'uomo che fa i coltelli per gli chef migliori del mondo

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Cibo

Siamo stati dall'uomo che fa i coltelli per gli chef migliori del mondo

Non abbiamo proprio capito come si fanno, ma sentiamo l'impellente bisogno di una lama in acciaio Damasco.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

La prima volta che ho visto uno dei coltelli di Paulo Tuna ero seduta a un tavolo del ristorante Loco di Lisbona. Davanti a me è arrivata una quaglia stagionata nel fieno con pomelo e salsa di arachidi. Un piatto al tempo stesso aggraziato e primitivo, poetico e selvatico. Insieme alla quaglia è comparso un coltello che ha immediatamente colpito la mia attenzione. Ora, io non sono una persona che di solito fa caso ai coltelli. Quando sono andata a vivere da sola ho pensato che comprare delle posate Ikea fosse un’ottima idea - “Perché la gente spende tanti soldi quando per sei euro compri tutte queste… ”, trillavo entusiasta, pochi minuti prima di rompere una forchetta semplicemente infilandola in lavastoviglie. Quel coltello, però, aveva un qualcosa. Il quid. Il je ne sais quoi. Piccolo, compatto. Prendendolo in mano avevi una sensazione di maestosità, come se invece che seduto al tavolo di un ristorante tu fossi seduto per terra, in una foresta, e stessi tagliando la carne del cervo appena abbattuto, non della quaglia che un’intera brigata di cucina ha preparato per te. Ecco, quel tipo di coltello. Su un angolo della lama una minuscola incisione: un pugnale stilizzato. Dopo la cena non ho potuto fare a meno di chiedere allo chef Alexandre Silva dove l’avesse preso.

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Quaglia stagionata nel fieno/Foto per gentile concessione di Paulo Barata

Questa non è mai una domanda scontata da fargli: nessuno chef portoghese, stellato o meno, ha una conoscenza del proprio paese pari a quella di Alezandre. La sua è una ricerca minuziosa dell’artigiano più appassionato, del prodotto raro e misconosciuto - ma di questo avremo modo di parlare in seguito. E infatti la sua risposta è stata tutt’altro che scontata: Paulo Tuna. “È il miglior produttore di coltelli del Portogallo, forse del mondo” mi ha spiegato accarezzando l’impugnatura del coltello “Ha fatto i coltelli anche per il Noma. Ah, ed è un pazzo completo”. Ce n’era abbastanza per farmi dire: andiamo a trovarlo.

E così la mattina dopo mi sono ritrovata in macchina con Alexandre e Ricardo Leite, il suo sous chef, diretti a Caldas da Rainha: 25.000 abitanti, provincia dell’Estremadura, un’ora di macchina da Lisbona. Girovaghiamo tra stradine strettissime, svoltiamo bruscamente a destra ed entriamo in un grande garage. È il regno di Paulo. Eccolo lì, il famoso fabbricatore di coltelli - o meglio quello che penso sia lui: indossa quella che, ai miei occhi inesperti, sembra una maschera anti gas della Seconda Guerra Mondiale, e sta lavorando a un attrezzo rumorosissimo che sprizza scintille, mentre da uno stereo escono le note di Paint it Black.

(sono consapevole che una scena così meravigliosamente iconica non mi capiterà più. D’ora in avanti la legge di Murphy del giornalismo mi regalerà solo esordi loffi e ingressi deludenti)

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Foto dell'autrice

Foto dell'autrice

Quando Paulo si toglie la maschera, spegne la musica e mette a tacere tutti gli attrezzi, la scena ritorna più o meno normale. Per quanto normale possa essere un garage nel mezzo di una cittadina sperduta del Portogallo da cui escono coltelli che arriveranno nei ristoranti migliori del mondo. Quanti, Paulo non sa dirlo con precisione: “Non lo so, non li conto”. Quello che gli interessa davvero è disegnato con il gesso sulle pareti del garage, schizzato su fogli volanti, accatastato sui tavoli, buttato nei cassetti: i coltelli.

Un interesse che nasce da bambino, con il primo coltellino regalato dal nonno, e cresce negli anni durante gli studi alla Escola Superior de Artas e Design di Caldas da Rainha, dove maneggia metalli tutti i giorni, ma per farne sculture. All’interno del suo piccolo atelier ha una fucina dove fabbrica lame rudimentali per puro diletto. Finché nel 2012 arriva una chiamata. “È cominciato tutto con questo coltello” mi dice, mostrandomi un coltellino tascabile dall’apparenza piuttosto anonima “Ne ho fatta una copia e l’ho postata su un blog per appassionati di coltelli. All’epoca un amico, Leonardo Pereira, lavorava al Noma (all'epoca miglior ristorante del mondo, titolo che ha vinto quattro volte di seguito, un record assoluto, NdR). Mi ha chiamato dicendo che Rene Redzepi voleva che gliene facessi uno simile. Non avevo mai fatto coltelli in modo professionale! Non avevo né gli strumenti né le conoscenze, così ho seguito la mia ispirazione personale. Ci ho messo una settimana di lavoro per un solo coltello”.

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Gli chef e Paulo. Probabilmente stavano parlando di nitrogeno

Il coltello in questione era un puukko, un coltello finlandese tradizionalmente utilizzato per la caccia, adatto a scuoiare le prede e ad essere maneggiato nel freddo scandinavo, a cui Paolo ha costruito un'impugnatura in ebano con rifiniture in bronzo: “È piaciuto e me ne hanno commissionati altri da utilizzare nella sala del Noma. Non ci ho guadagnato praticamente niente: dovevo chiedere in prestito gli strumenti e ci mettevo tantissimo tempo per ogni coltello. Ma che avventura bellissima è stata”. Da lì hanno iniziato ad arrivare molti ordini e Paulo ha potuto abbandonare il lavoro di insegnante di scultura per dedicarsi completamente ai coltelli. Ma cos’hanno di speciale i suoi coltelli? “Capisci di avere un buon coltello non solo per come taglia, ma anche per l’equilibrio, da come si tiene in mano” mi racconta lo chef Alexandre, mentre i tre uomini insieme provano pazientemente a spiegarmi il processo di creazione di un coltello: tagliare la lama, forgiarla, pressarla, rifinirla (la signature di Paulo è proprio lasciare una parte in cima alla lama grezza, non rifinita) “Esistono acciai di ogni tipo: blu e damasco sono tra i più pregiati. La differenza è minima, sta nella percentuale dei piccoli elementi che lo compongono”. Mentirei se dicessi che, in un paio d’ore, ho assorbito con precisione i dettagli e i meccanismi dell’arte - ma Paulo preferirebbe artigianato: lui stesso si definisce "bladesmith”, fabbro - del fabbricare coltelli. Ma sicuramente ho respirato il fascino di quei gesti primitivi, del clangore violento dei metalli, delle scintille che schizzano dalla lama.

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Paulo non fabbrica coltelli solo per gli chef, ma anche per cacciatori e appassionati, però “Il mio preferito rimane lo chef’s knife, quello da cucina di 21 centimetri, con un taglio 'forte' e affilato. Mi piace vederli come strumenti da lavoro. Ma mi piace ugualmente che chi non ha tanti soldi risparmi, ci pensi a lungo, poi venga da me per il coltello ‘della vita’”. Ci fermiamo davanti a una catasta di legno - quasi tutto il legno che utilizza è portoghese, eccezion fatta per l’ebano. “Mi piacciono i raw materials, i materiali grezzi” spiega “Vederli trasformarsi, vederli cambiare e diventare un coltello. Ognuno è una sfida, un percorso pieno di errori, che richiede tempo. Se ampliassi la mia attività e la rendessi più industriale guadagnerei di più, è vero. Ma non potrei più permettermi di lavorare così”. Quello che ancora fatico a catturare è il concetto di bellezza applicato a un coltello. “L’equilibrio parte dall’estetica. È una questione di proporzioni e di linee” dice Paulo mentre su un foglio traccia veloce alcune linee con un pennarello “Vedi? Questo è il coltello più bello che abbia mai fatto. Ed era per lui, accidenti, quanto vorrei essermelo tenuto” sorride, puntando un dito verso Ricardo. “Quando abbiamo preso la stella Michelin gli ho chiesto di farmi il miglior coltello possibile, con i migliori mezzi che aveva, come simbolo di quella data” mi spiega il sous chef “L’acciaio è molto raro, è un damasco dalla Russia - più duro di quello del Giappone. I disegni che produce sono diversi dal damasco normale. Il manico è di ebano. Ci sono sopra le mie iniziali, la data della stella e il nome del ristorante. Ho promesso a Paulo che non lo utilizzerò mai”.

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Il Mister Universo dei coltelli/Foto per gentile concessione di Ricardo Leite

Forse è il bicchierino di Aguardente (“Italian grappa is for ladies. Agua ardente is for ladies… with a big heart” ride Paulo mentre me ne versa un bicchierino, rito obbligato nella sua fucina) bevuto a stomaco vuoto alle 11 di mattina. Forse è la passione con cui Alexandre, Ricardo e Paulo discutono di coltelli, passando ogni tanto al portoghese e ragguagliandomi sull’argomento: “Scusa, dacci due minuti. Stiamo parlando di nitrogeno liquido”. Forse è lo sguardo innamorato con cui Paulo mi mostra un coltellino tascabile sfilandolo da una custodia in pelle: “Questo è per mia figlia. Glielo regalerò quando compirà 18 anni”.

Forse sono tutte queste cose insieme, ma inizio a vederla anche io la bellezza: in questi coltelli, nei gesti che li creano e nei gesti che creeranno, nelle storie che ognuno di essi contribuirà a raccontare. "Le differenze tra i coltelli sembrano minime, ma ci sono" spiega Paulo "Ogni lama ha la propria anima. Non riproduco mai lo stesso modello due volte". Sua figlia ha cinque anni, in un angolo c’è il suo triciclo rosa e sui fogli di lavoro del papà i suoi timbrini colorati. Il suo coltello la aspetta nel cassetto. Lei non lo sa, ma è una bambina fortunata.

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