Come fare la spesa senza finanziare lo sfruttamento dei braccianti in Italia
Foto di Marco Verch via Flickr

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Cibo

Come fare la spesa senza finanziare lo sfruttamento dei braccianti in Italia

La cronaca continua a ricordarci la brutalità dei braccianti sfruttati, gli stessi che ci consentono di comprare i pomodori a 80 centesimi. È possibile fare la spesa senza alimentare l'agromafia?
Andrea Strafile
Rome, IT

Eccoci di nuovo al supermercato, davanti a un innocuo scaffale di pelati in scatola in offerta, che buttiamo automaticamente nel carrello. Magari ci leggiamo pure scritto “bio” accanto a 89 centesimi e lì non capiamo più niente.

Sapete qual è il primo modo per aggirare il mostro dello schiavismo su cui si basa l’agricoltura italiana nella vita di tutti i giorni? Non mettere nel carrello mazzi di pomodori in lattina.
Anzi, se non siete sicuri della provenienza, meglio non mettere nemmeno una lattina in quel carrello

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Ho deciso di iniziare con i pomodori perché sono il simbolo concreto e magnificamente figurato della follia del caporalato e dello sfruttamento dei braccianti, che ritorna come ogni estate fra noi.
Tra il sabato e il lunedì appena passati due incidenti hanno portato via la vita a sedici persone.
In particolare, nel solo incidente di lunedì dalle parti di Lesina, in provincia di Foggia, sul furgone c’erano quattordici persone di ritorno dai campi di pomodori a Rignano Garganico, perché è la stagione di raccolta. Stipati nel retro senza finestrini sono deceduti in seguito allo schianto contro un tir. I braccianti erano perlopiù africani, senza permesso di soggiorno, di molti non si è potuto risalire davvero a nomi e paese d’origine, in mancanza di documenti.

In merito alla faccenda, il Ministro dell'Interno Matteo Salvini si è subito espresso, accentrando naturalmente tutto su sé stesso con un discorso il cui succo è: dobbiamo chiudere i porti e gli ingressi per combattere le mafie e il caporalato, è l’unico modo. Inasprendo la legge del 2016 che punisce questi comportamenti, ma che, di fatto, non cerca di prevenire.
Ma siamo proprio sicuri che il problema siano le aperture o meno dei porti? No, il tema è più complesso, visto che molta della manovalanza viene da paesi estremamente poveri, ma europei.

"Per alcuni versi può e deve essere migliorata - ha detto Salvini parlando delle legge - e aggiornata per permettere ad agricoltori perbene di poter lavorare legalmente e regolarmente. Ma non voglio - ha concluso il ministro dell'Interno - e non permetto che l'agricoltura foggiana e l'agricoltura italiana venga etichettata come fuorilegge perché pochi usano mezzi mafiosi per arricchirsi". Lei dice pochi, signor ministro?

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In questa situazione, così sentita quest’anno per le vicende di cronaca e per il recente rapporto Oxfam pieno di numeri agghiaccianti, mi sono chiesto quali sono dei modi pratici per non alimentare come consumatore il fenomeno dello sfruttamento dei braccianti e del caporalato, facendo la spesa di tutti i giorni.

Per farlo mi sono rivolto ad associazioni e chef, e questi sono alcuni dei modi in cui si può acquistare consapevolmente, non facendo male a nessuno (almeno si spera).

Evitare la grande distribuzione

La frutta se è di stagione non costerà mai o quasi meno di 2 euro. Prezzi troppo bassi portano nella direzione dello sfruttamento.

Semplice, ma sempre valido: la prima cosa da fare è quella di evitare la grande distribuzione quanto più possibile. I grossi supermercati sono tanto comodi, ma buona parte dei problemi della filiera sporca vengono da qui.
“Bisogna evitare soprattutto discount e triscount”, mi dice Jacopo Ricci, che in passato era lo chef di Secondo Tradizione a Roma e che si è sempre interessato alla sostenibilità degli ingredienti in cucina.
“Fare la classica passata si può, basta prendere dei pomodori maturi con un rapporto di un litro su 2 kg di pomodori. Ricordandosi che 1,50 euro è il costo al chilo, non 35 centesimi. Oppure prendiamo la frutta. Anche se è di stagione la frutta non costerà mai o quasi meno di due euro." Quindi, una delle prime cose da avere in mente quando si fa la spesa è che i prezzi troppo bassi, portano spesso nella direzione dello sfruttamento. Semplice, ma vero.

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I Mercati alternativi dove fare la spesa

In merito a questa storia c’è una persona che, più di tutte, in Italia, si è battuta per i diritti dei braccianti sottopagati e sfruttati. Yvan Sagnet era venuto in Italia per studiare, per giocare a calcio, dal Camerun guardando la sua squadra ai Mondiali del ’90. Per una serie di circostanze si è ritrovato a lavorare come bracciante in prima persona in quel di Nardò (Lecce), altro teatro di morte e abusi, e da quel momento ha promesso a sé stesso di fare di tutto affinché le cose cambino.

Con la sua associazione No Cap (No al Caporalato), Yvan è cresciuto, lotta ogni giorno e ha le sue idee concrete per arrivare a dei punti consapevoli.
Quindi, come fare la spesa secondo lui?
“Noi per la spesa consigliamo i mercati equosolidali, i GAS (gruppi di acquisto solidali in cui più persone si organizzano e fanno la spesa direttamente dal produttore), affidarsi alle associazioni navigate e sicure come Libera! o SlowFood. Sono realtà che si spera diventino mainstream, anche se attualmente sono l’alternativa solo del 2% della popolazione.”

Affidarsi a catene già conosciute, come Altromercato presente in gran parte delle città italiane, Pangea e Piccola Bottega Merenda a Roma, la cooperativa Chico Mendes a Milano E poi i mercati Campagna Amica settimanali della Coldiretti e, per la grande distribuzione, la Coop, ci suggerisce Sagnet, chesta facendo un grosso lavoro da diversi anni per rendere pulita la filiera dei prodotti freschi che espone nei suoi negozi.

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Quando hai un ristorante o un'attività

Non basta andare al mercato. Fate domande, sempre (…) Chiedete come fanno quando piove, come gestiscono il troppo caldo, come avviene la raccolta.

Giorgio Pace, proprietario di Piccola Merenda, bottega romana di frutta e verdura biologica e biodinamica selezionata, e luogo di incontro dove imparare il mangiare consapevole, ci dice invece come fare su un lungo raggio, quando hai magari un ristorante o un locale. Si trova ovviamente chi è fidato e non si acquista semplicemente ciò che ha prodotto, ma si paga direttamente ciò che produrrà l’anno successivo, così da garantirsi gli ingredienti in anticipo e investendo su una persona.

“I produttori sono fondamentali. Ti devi poter fidare, non basta andare al mercato. Fate domande, sempre, non limitatevi a chiedere se sia a km 0 o meno. Chiedete come fanno quando piove, come gestiscono il troppo caldo, come avviene la raccolta. Comprate le cose di stagione, ovviamente. A Velletri non abitano 10 milioni di persone e soprattutto non ci sono carciofi: per dire che va bene il mercato, ma non fatevi fregare.”

Quindi qui i consigli sono due: per chi ha un locale, investire su un buon prodotto per gli anni successivi, tagliando così i costi di produzione perché il finanziamento arriva direttamente dal cliente. Per chi invece pensa alla spesa di tutti i giorni e pensa che il mercato sia sempre una buona soluzione, la cosa migliore è chiedere per poi avere un punto di riferimento. Non dare per scontato che chi abbia un banco al mercato itinerante o rionale che sia, debba per forza avere i prodotti migliori. Anzi, spesso sono la seconda o la terza scelta degli ortomercati, visto che la prima la prendono i grandi supermercati.

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Chiedere non costa niente, diffidare nemmeno. Suona male, ma ci si deve poter fidare: se gli si chiede come coltiva le sue cose nello specifico e lui o lei annaspano, non è di certo un segnale rincuorante. Andare in mercati come quello di Coldiretti, ad esempio può dare una garanzia maggiore, così come i GAS, dove le aziende ti portano in prima persona i prodotti della terra e te li spiega. Con le uova ancora sporche e calde e i cespi d’insalata ancora con il terriccio sopra.

E-Commerce dove comprare senza intermediari

Sonia Piscicelli ha per esempio scelto la strada dell’educazione con il suo blog Pasto Nudo. “Divulghiamo chiacchiere e ricette che sono poi la scusa per parlare di cibo consapevole. Mettiamo a disposizione dal sito un e-commerce dove i soci possono vendere direttamente senza mediazioni, organizziamo una serie di mercati contadini in zona Monte Mario a Roma mensilmente. E soprattutto quello che diciamo sempre è che non si prende il cibo dagli sconosciuti. Ci si deve informare prima. O si conoscono organizzazioni come la nostra di cui ci si impara a fidarsi, o sarebbe bello se si ha il tempo, andare nelle aziende e toccare con mano e conoscere le persone proprio dove lavorano. Guardare è sempre la cosa migliore. Il nostro obiettivo è far capire alle persone come staccarsi dalle dinamiche delle grandi catene di supermercati per avere una vita migliore in un rispetto maggiore.”

Andare fisicamente su un campo e conoscere chi lo coltiva, le sue storie, vedere cosa usa, questo sarebbe la pratica ideale. Certo, non abbiamo tempo di farlo tutti i giorni, ma se ci prendessimo il tempo una volta, poi avremmo un fornitore di fiducia dove non ci sarebbe bisogno di tornare sempre. E poi è una buona scusa per uscire dalla città.

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Pre-acquistare i pomodori che mangerete

15 cent per il vetro, 18 cent per il pomodoro, 35 cent per trasformazione e imballaggio. I prodotti che non rientrano in questi margini ha alle spalle contraddizioni.

Tornando all’inizio, ai pomodori ci sono ad esempio i ragazzi di Funky Tomato che fanno un lavoro molto figo nelle zone calde de Sud Italia, dove il fenomeno del caporalato impazza, sebbene anche il resto d’Italia non ne sia immune.

Il costo della produzione di una normale confezione di passata in vetro di 600g è così ripartito: 15 centesimi per il vetro, 18 centesimi il costo del pomodoro, almeno 35 centesimi per la trasformazione, l'etichettatura e l'imballaggio. Un prodotto che non rientra in questi margini ha sicuramente alle spalle contraddizioni.”, mi dice Corrado. Quindi se dovessimo trovare una passata sugli scaffali a una cifra intorno ai due euro, dovremmo avere tra le mani un esempio di agricoltura quantomeno etica (almeno si spera).

Screengrab via Funky Tomato

“Con il progetto Funky Tomato dal 2015 abbiamo immaginato e messo in pratica un nuovo modello di filiera che permetta a chi consuma di essere produttore e finanziatore del pomodoro che si mangerà. Dalla piantumazione alla raccolta, è possibile sostenere il preacquisto che consente agli agricoltori e ai loro collaboratori di portare a termine una produzione senza dover ricorrere a prestiti, stabilendo il prezzo del prodotto al momento della messa a dimora delle piante. Il preacquisto è uno strumento di partecipazione che azzera le mediazioni tra chi produce e chi consuma. Una rete di realtà, dalla Campania alla Basilicata, ha dato vita ad una filiera partecipata che mette al centro la dignità del lavoro delle persone coinvolte.”

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Andare alla ricerca di queste realtà, che provano a rendere nel loro piccolo le cose più trasparenti possibile, non significa solamente aggirare il caporalato e lo sfruttamento dei braccianti. Significa combatterlo sul serio, prendere gli stessi frutti di quella terra, dargli un valore, e screditare il loro, vendendo un prodotto molto simile e migliore nella più totale trasparenza. Siamo nel 2018, di realtà simili su internet per acquistare se ne trovano eccome, dallo stesso Funky Tomato, Campi Aperti, che mette anche un prezzario indicativo di frutta e verdura o Italianavera.

Il bollino che potrebbe risolvere tutto

Il punto principale è: perché delle verdure hanno il loro bollino di buona qualità e l’essere umano invece no?

E poi c’è l’ultima questione, quella non ancora del tutto realizzata, ma che risolverebbe ogni dubbio al consumatore sempre più attento alle etichette di quello che compra.
Yvan Sagnet di No Cap, che si è battuto e ha avuto le sue vittorie, sta lavorando da sempre a un progetto per rendere obbligatorio, integrando la legge anti caporalato del 2016, un bollino di garanzia di filiera trasparente. All'inizio il governo precedente era favorevole alla proposta, ma poi non si è risolto nulla.

Per questo Sagnet sta creando un bollino con la sua associazione, che uscirà a breve, per garantire una rete consapevole e limpida.
Il punto principale è: perché delle verdure hanno il loro bollino di buona qualità e l’essere umano invece no? Perché c’è più rispetto in primis da parte di chi compra di una lenticchia bio piuttosto che di un essere umano che si rompe la schiena per raccoglierla a due euro l’ora? “Se vogliamo dare una botta definitiva a questa storia”, mi ha detto al telefono, “dobbiamo dare una botta come si deve alla filiera intesa com’è adesso. Dall’inizio alla fine, dalla raccolta alla distribuzione. E il modo più efficace per farlo è quello di creare un bollino per una tracciabilità completamente trasparente, che distingue chi e chi non si macchia di sangue.”

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Io ho sempre visto bollini per tutto, ma non per garantire che il lavoro sia stato rispettato secondo dei diritti. Quindi ci sono?
“C’è l’SA 8000, un bollino etico-sociale che certifica grandi superfici, ad esempio. Per il commercio equo-solidale c’è la certificazione FairTrade. La gente deve sapere non solo se ci sono dei pesticidi, ma come è stato fatto, dove, tutto. Troviamo prodotti certificati in ogni modo che poi non garantiscono che ci si a stato sfruttamento o meno. Non è accettabile.”

Fare la spesa in modo consapevole vuol dire non alimentare mafia, caporalato, sfruttamento, aggressioni e una situazione da campi di cotone statunitensi del nuovo millennio. Perché sono solo più nascosti, ma è più o meno così che funziona.

Ora qualche dritta ce l’avete, certo non è la soluzione più economica sia in termini di denaro che di tempo, ma c’è anche da dire che un euro o un’ora in più non cambiano la vita.
E può contribuire a salvarne.

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