Le suore di clausura che fanno dell'ottimo vino naturale in Lazio
Foto: a sinistra Monastero Trappiste Vitorchiano; a destra dell'autrice Diletta Sereni

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Cibo

Le suore di clausura che fanno dell'ottimo vino naturale in Lazio

Sono andata in un monastero a Vitorchiano, nel viterbese, dove le suore producono uno dei primi vini naturali che ho mai assaggiato.
Diletta Sereni
Milan, IT

Suor Adriana mi riceve in parlatorio, una sala divisa in due da un grosso tavolo di legno scuro. Stiamo sedute di fronte, ai lati opposti del tavolo. Dietro di me qualche altra sedia, dietro di lei una copia dell’Annunciazione del Beato Angelico. Suor Adriana ha 50 anni, di cui 25 passati qua. Il suo racconto sarà per me l’unico modo per accedere alla vita del monastero: le monache fanno vita di clausura e non si può entrare, tanto meno scattare foto.

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Foto Diletta Sereni

Mi trovo a Vitorchiano, nel viterbese, in un convento trappista. Ci sono venuta per un fatto sentimentale: il vino prodotto qui è stato uno dei primi vini naturali che ho bevuto, quando ancora non sapevo cosa volesse dire. Lo chiamavamo il vino delle suore e mi ha fatto innamorare dei vini naturali e della persona che li beveva insieme a me. E visto che ancora lo bevo e ancora mi piace, era tempo di venire a incontrare queste suore vignaiole per farmi raccontare com’è fare il vino in una vita di clausura.

Chiedo: ma poi lo bevete il vostro vino? “Sì, viene servito ai pasti e chi desidera può berlo

Il monastero è stato aperto nel 1957, quando la comunità si trasferisce qui da Grottaferrata, e oggi conta 75 sorelle. L’ordine è quello Cistercense della Stretta Osservanza, anche noto come Trappista, che obbedisce al principio benedettino dell’ora et labora e intende il lavoro soprattutto in senso manuale, dunque anche agricolo.

Foto Diletta Sereni

Siccome non frequento monasteri tanto spesso, mi colpisce il silenzio. È un silenzio disteso, non severo, di quelli che ti danno fiducia, nel mio caso fino al punto di tentare invano di tradurre le scritte in latino che leggo incise sulle porte.

Non avrei mai immaginato di finire a fare il vino – racconta Suor Adriana – però in effetti mi ha sempre affascinato il lavoro di campagna, per il suo aspetto contemplativo: della natura puoi godere ma non possederla. Dal mio punto di vista ti avvicina al Signore.”

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Foto Monastero Trappiste Vitorchiano

Il lavoro, compresa la produzione di vino, per loro è una fonte di sostentamento: “col nostro lavoro ci manteniamo e finanziamo i nuovi progetti, cioè fondare nuove comunità religiose in zone dove non c’è presenza monastica. Quando ci siamo trasferite abbiamo ripulito il terreno da pietre e rovi, per renderlo coltivabile. Poi su parte dei terreni abbiamo piantato le vigne, ma il vino non è l’unica attività: ci sono 5 ettari di olivi e alberi da frutto da cui facciamo olio e marmellate. E abbiamo anche un laboratorio di editoria artigianale.”

La storia che porta al vino Coenobium mi fa capire che Suor Adriana, e le altre con lei, in questo vino ci hanno creduto, investendoci energie e assumendosi dei rischi.

Foto Monastero Trappiste Vitorchiano

“Ci sono state varie fasi: prima mandavamo le uve alla cantina sociale. Negli anni Ottanta abbiamo costruito la nostra cantina e iniziato a seguire tutto il processo, vendendo il vino sfuso. Poi nei primi anni Duemila c’è stato un calo delle vendite e ci siamo ritrovate con la cantina piena di vino avanzato, dunque problemi di spazio e un segnale che qualcosa andava cambiato. Alcuni ci consigliarono di venderlo a un’acetaia, ma con tutto il lavoro che ci avevamo messo, immaginare quel vino trasformato in aceto era, diciamo, non piacevole.”

Qui avviene l’incontro con Giampiero Bea, vignaiolo anche lui e presidente del Consorzio Vini Veri. “Lui ci ha incoraggiato, ci ha detto che il nostro vino aveva una sua identità e ci ha aiutato a esprimerla. Col suo aiuto abbiamo riorganizzato la cantina per aggiungere l’imbottigliamento. E ci ha introdotto nel circuito dei vini naturali.”

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Foto Monastero Trappiste Vitorchiano

Escono così le due etichette: prima il Coenobium, un bianco con uve trebbiano, malvasia, verdicchio e grechetto. E dal 2008, su consiglio di Bea, anche il Coenobium Ruscum, stesse uve ma macerazione sulle bucce, che porta il colore verso l’arancione. Entrambi sono vini rustici, e lo dico in senso buono, specie per quella piacevole sapidità che viene dalla composizione magmatica dei terreni. In tutto fanno circa 24mila bottiglie all’anno.

Chiedo: ma poi lo bevete il vostro vino? “Sì, viene servito ai pasti e chi desidera può berlo. Così ci rendiamo conto di come evolve e riflette la stagione: il 2014 molto piovoso col suo basso grado alcolico, il 2015 grande annata calda ed equilibrata, e via così.”

La giornata in monastero è scandita in modo piuttosto serrato: la sveglia suona alle 3,10. La prima preghiera è alle 3,30 nel cuore della notte

Foto Monastero Trappiste Vitorchiano

Cara Suor Adriana, le dico, vorrei vedere, berlo è parte del lavoro. E non so perché mi sembra il momento giusto per chiederle della clausura. Nonostante l’immensità dell’argomento, Suor Adriana ci pensa e mi dice: “la clausura è un segno della tua scelta di vita: ti separi dal mondo per dedicarti a Dio. Sai che ci sono momenti importanti a cui non parteciperai: il matrimonio di un amico, la morte di un parente. A volte puoi soffrirne, ma ad esempio non è necessario eliminare la sofferenza, quanto imparare ad accettarla. Il distacco fisico ti fa ritrovare una dimensione più profonda del rapporto con gli altri. E con te stessa.”

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Foto Monastero Trappiste Vitorchiano

La giornata in monastero è scandita in modo piuttosto serrato: la sveglia suona alle 3,10. La prima preghiera è alle 3,30 nel cuore della notte. Poi ci sono vari momenti di preghiera e meditazione fino alle 9 quando inizia il tempo dedicato al lavoro che va avanti fino alle 12. Si riprende a lavorare dopo pranzo per altre due ore, fino alle 16. Alle 17 ci sono i vespri e alle 19 la preghiera che chiude la giornata, dopodiché si va a letto. In estate si riposano un’ora in più dopo pranzo e la giornata finisce alle 20.

Gli orari, mi spiega, vanno rispettati con precisione, con qualche eccezione di buon senso: “quando suona la campana per l’inizio della preghiera, qualsiasi cosa tu stia facendo devi interromperla, vino compreso. Se stai potando una pianta ricomincerai più tardi o il giorno dopo. Certo a meno che tu non stia facendo un travaso e allora quello lo puoi finire.”

Mi racconta come hanno organizzato il lavoro: “della vigna ci occupiamo in 5 o 6, trattiamo solo con zolfo e rame e teniamo un inerbimento permanente tra le piante, lasciando gli sfalci sul terreno. In cantina invece siamo in 4, facciamo solo qualche travaso e non aggiungiamo niente se non poca solforosa. Adesso in cantina c’è l’annata 2017, la imbottigliamo a settembre, poco prima di vendemmiare la successiva. Ecco la vendemmia invece la facciamo tutte insieme, 75 sorelle.”

Le descrivo l’immagine di certe vendemmie col vignaiolo che sbraita come un ossesso nel gestire i lavoranti che non hanno alba di cosa fare. Vorrei tanto assistere alla versione trappista di tutto ciò, con le 75 sorelle che vendemmiano e Suor Adriana che dirige. “Ma sì, – mi dice ­– nel lavoro capita che qualcuno sbagli, ma cosa puoi fare, ti arrabbi e poi? Il mestiere non si impara con la rabbia, almeno non qui. Che poi tutte ce l’abbiamo dentro la competitività, l’efficienza. Ma il valore delle persone si misura su altro.”

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Foto: a sinistra di Diletta Sereni; a destra Monastero Trappiste Vitorchiano

Ci salutiamo. Suor Adriana mi manda via con due bottiglie e quattro santini della Beata Gabriella. Me li faccio bastare, ma avrei preferito una foto ricordo con lei, la suora vignaiola che si sveglia alle 3, beve un bicchiere a pasto, e insegna alle più giovani a fare il vino buono.

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