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Cibo

Adesso l'agricoltura biologica potrebbe davvero avere un senso in Italia

È stato approvato un ddl che potrebbe cambiare in meglio la nostra agricoltura bio. Con un'etichetta dedicata.
Andrea Strafile
Rome, IT
Agricoltura biologica Italia Legge
Foto via Unsplash di Joshua Lanzarini

In questo momento parlare di sementi bio non significa quasi nulla

In questo periodo storico, dove la politica nazionale ci lascia ampiamente perplessi è appena arrivata una buona notizia nel campo delle normative a tema alimentazione: qualche giorno fa, con un voto a favore quasi all'unanimità (Forza Italia si è astenuta), è passato alla Camera dei Deputati un disegno di legge sull'agricoltura biologica. Una di quelle norme che sembrano essere perlopiù ben scritte, a favore dei produttori quanto, di riflesso, dello Stato.

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La proposta passata, che a dire il vero viene rimbalzata e modificata da almeno tre legislazioni, abbraccia sia il bene dei consumatori che quello dei produttori. Quello sull'etichetta degli alimenti è sicuramente il punto più immediato, quello che ci interessa di più, perché prevede l'introduzione di uno specifico bollino di provenienza. In sostanza sarebbe un marchio di garanzia di produzione biologica tutta italiana. Per saperne di più, e siccome con notizie di questa portata è sempre meglio avere a disposizione un esperto, ho contattato il professore Giuseppe Nocca, docente e storico della cultura alimentare.

"Questa dell'etichetta italiana è una cosa abbastanza inutile. Per provvedimento europeo è necessario infatti mettere, accanto al codice sul bollino di certificazione biologica, la sigla del paese di provenienza. Quindi c'è già il modo di sapere che quel prodotto è fatto in Italia, basta leggere IT accanto.", mi dice il professore.

Gli altri punti del disegno di legge, capitanato dalla deputata Gadda del PD, sono invece qualcosa di nuovo. Qualcosa che davvero può fare la differenza. In primo luogo la produzione di sementi biologiche e, quindi, il loro scambio.

In questo momento parlare di sementi bio non significa quasi nulla. "Per parlare di seme biologico bisogna parlare di filiera biologica. Io posso dichiarare con la norma europea in atto di avere utilizzato un seme biologico, ma spesso su quel seme viene messo un fitofarmaco per evitare malattie, soprattutto nel grano. Introdurre semi biologici in questo senso significa creare più controllo sulle ditte sementifere", e questo non mi sembra affatto male. Ci saranno più controlli, che significa più qualità. La filiera oggi non è virtuosa, ci sono scappatoie per aggirarla in senso chimico: con una legge del genere si potranno invece attuare delle giuste strette di produzione.

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Sulla nuova legge i temi che ricorrono sono quello della salvaguardia ambientale, di una produzione maggiormente etica e di un'apertura forte alla biodiversità. In che modo però tutto questo può avvenire? Tramite incentivi di produzione statali, certificazioni di gruppo, creazione di distretti biologici e accordi da parte delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative. "In sostanza quello che si sta dicendo", continua il professor Nocca, "è che la questione del biologico sta assumendo in Italia delle dimensioni notevoli, che creano interesse e profitto per tutti e vanno salvaguardate." Ed è vero, dato che al momento siamo il secondo paese in Europa per quanto riguarda l'importanza dell'agricoltura bio. La produzione biologica italiana è al 15%.

"La questione delle sementi è il punto chiave: fino ad oggi i semi fanno parte di un mercato libero economicamente. La domanda genera l'offerta." Quindi creare quello che si chiama un "accordo-quadro" (un contratto che non prevede il raggiungimento totale dei punti, ma una massima parte, quindi più leggero) con le associazioni significa garantire con un prezzo imposto la vendita del seme italiano. Fissare un prezzo del seme per garantire al contadino una parte di guadagno. Per una volta qualcosa di giusto.

E lo strato più importante è forse quello della biodiversità, che il professore mi spiega essere legato al momento alle norme economiche europee. In breve, ora come ora i piccoli produttori, quelli che coltivano prodotti locali e che invece potrebbero essere abbastanza forti da attecchire in tutto il Paese, non possono vendere i loro semi o prodotti se non nella loro zona. Senza etichette e garanzie. "Credo che abbracciare la biodiversità del nostro territorio in questo caso significhi dare modo di creare cooperative locali più grandi. Questo implica regolarizzare il mercato di quei prodotti e dare finalmente dignità alle piccole produzioni, mettendo anche loro nelle condizioni di avere un bollo per la vendita. Anche se il prezzo da pagare è quello di aprire i prodotti al mercato delle grandi aziende." Dare la possibilità alle varietà locali di entrare in una rete di controllo e quindi renderli disponibili a tutto il mercato.

Ora non resta che aspettare che il Senato approvi definitivamente la legge. E poi potremmo dire che il biologico, in Italia, inizia ad assumere un senso.

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