Come si costruisce la comunicazione del miglior ristorante del mondo (che è italiano)
Foto per gentile concessione dell'Osteria Francescana

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Come si costruisce la comunicazione del miglior ristorante del mondo (che è italiano)

Ce lo ha spiegato Lara Gilmore dell'Osteria Francescana, che non è uno chef, ma è stata la chiave per far diventare il ristorante di Modena il migliore al mondo.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

Se siete esperti, appassionati o comunque bazzicate il mondo dell’alta cucina, conoscete sicuramente l’Osteria Francescana. In realtà è probabile che, negli ultimi due anni, il nome vi dica qualcosa anche se vi cibate solo di surgelati - perfettamente legittimo, peraltro - e pensate che il sifone sia uno strumento da parrucchiere. Sì, perché nel 2016 il ristorante di Modena è stato dichiarato miglior ristorante del mondo. Titolo che ha riconquistato il 19 giugno scorso a Bilbao, durante la cerimonia dei The World’s 50 Best Restaurants, la classifica internazionale che ogni anno seleziona i 50 migliori ristoranti del mondo. E l’Italia è in cima, due volte.

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Roba che potremmo anche dimenticarci i Mondiali (scherziamo, scherziamo).

Lara e Massimo sul palco di Bilbao/Foto per gentile concessione di Osteria Francescana

Quest’anno sul palco a ricevere il premio c’erano Massimo Bottura, chef e fondatore dell’Osteria Francescana, e la moglie Lara Gilmore. Lara lavora con lui dall’inizio: si sono conosciuti a New York - lei è americana - 25 anni fa, e qualche mese dopo lei si era già trasferita a Modena, entrando sempre più a far parte del ristorante, mentre da misconosciuta realtà di provincia diventava famoso, conquistava le tre stelle Michelin e serviva clienti come Barack Obama o Mark Zuckerberg.

Quando si parla di ristoranti di questo calibro è piuttosto ovvio - almeno per chi lavora nel settore - che dietro ci sia un ufficio comunicazione, che si occupa di gestirne l’immagine, gli impegni in giro per il mondo il rapporto con i giornalisti. Non si arriva a quei livelli solo perché ‘si mangia bene’ o ‘c’è una bella carta dei vini’. Sono necessari investimenti ingenti, decine di dipendenti, una rete di relazioni ben intessute e la capacità di raccontarsi in maniera vincente. Ad occuparsi di tutto questo c’è Lara, e il fatto che sia salita sul palco durante la premiazione dei World's 50 Best a fianco al marito lo dimostra.

Lara è l’epitome del carisma. Chiedetelo a chiunque la conosca e vi dirà la stessa cosa: è impossibile resisterle. Sale sul palco vestita Gucci e una volta scesa si mangia un hamburger, tiene speech davanti a milioni di persone e poi, per raccontare i festeggiamenti seguiti alla vittoria di Bilbao, esclama ‘Abbiamo fatto baracca tutta la notte!’, e capisci che l’ha fatta davvero.

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MUNCHIES: Prima di tutto, Lara, come dobbiamo definirti?
Lara: Business partner e moglie di Massimo Bottura. Mi ha chiesto di sposarlo nel 1995, il giorno che inaugurava l’Osteria Francescana. Ho capito dopo che mi chiedeva di sposare il ristorante. È il nostro primo figlio, la nostra causa, il nostro matrimonio, la nostra vita.

Il tuo ruolo è quello comunicativo. Come si costruisce la narrativa di un ristorante?
Per noi è stato abbastanza intuitivo. Non abbiamo applicato nessuna formula - nessuno ha studiato marketing. All’inizio il menu rispecchiava la grinta di Massimo, la sua voglia di emergere, di provocare. Ad esempio serviva un cappuccino di patate con brioche salata e mortadella, un cubo di cotechino con gelatina di Lambrusco… tutti questi cambiamenti però non funzionavano perché non sapevamo come comunicarli. Non avevamo un vocabolario adeguato, così rimanevano provocazioni fini a se stesse: volevamo essere avant garde ma ci siamo trovati al muro, soprattutto con il pubblico italiano un po’ scettico e tradizionalista. Dopo i primi cinque anni abbiamo capito che dovevamo partire da altro.

E qui entri in gioco tu con i tuoi studi di storia dell’arte.
Siamo stati illuminati da un quadro di De Domicinis: il ritratto di un collezionista, bianco, con un puntino rosso in mezzo. Quel puntino era il committente. Abbiamo capito che dovevamo riempire il paesaggio intorno a Massimo, un puntino, con il landscape emiliano. Quella è la narrativa, le cose vere: chi sono, cosa faccio, quali sono i miei valori. Molto facile e allo stesso tempo molto difficile.

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Lara sul palco/Immagine per gentile concessione dell'Osteria Francescana

Il processo creativo di un ristorante si può sistematizzare?
Non abbiamo mai diviso la parte creativa da quella produttiva. Non puoi essere produttivo ‘a certi orari’. Io traduco le sue idee in chiave più facile per noi esseri umani - lui non lo è, è alieno [ride, NdR]. Scrivo i suoi libri. Gestisco i rapporti con la stampa. Concettualizzo.

Quante persone lavorano nell’ufficio comunicazione della Francescana?
Dieci, compresi due stagisti. Nell’ufficio arrivano centinaia di proposte e richieste, e noi proviamo a gestirle, pensando a cosa possa esserci utile. Di recente abbiamo detto sì a una conferenza a Budapest solo perché non eravamo mai stati in Ungheria e ne eravamo incuriositi. Abbiamo ancora bisogno di essere stimolati.

Molti definiscono Massimo un genio…
È un genio per la sua capacità di fare sintesi, per la sua capacità di cucinare veicolando idee, cultura e messaggi. Non è un ‘genio dei fornelli’: ha la capacità un po’ alchimistica di trasformare ingredienti in qualcosa di più.

Ti dà fastidio se ti dicono che tu sei ‘dietro le quinte’?
A me piace essere behind the scenes. Andare sul palco è stato un messaggio importante: posso essere dietro ma anche davanti, fisicamente. Negli scatti finali dei 50 Best, con tutti i premiati, non trovi mai una donna davanti: quest’anno mi ci sono messa io. Spesso sono proprio le donne che non vogliono mettersi davanti, perché non hanno il coraggio di esporsi alle critiche. Dobbiamo smettere di limitarci e incolpare il sistema.

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Quando diciamo che Lara si occupa di ‘tutto questo’ non intendiamo solo il ristorante: Lara guida Food for Soul, la no-profit che si occupa di fondare in tutto il mondo (al momento ce ne sono 6) i Refettori, luoghi di accoglienza e ristoro per persone in difficoltà dove si usano le eccedenze alimentari di locali e supermercati.

Cosa vuol dire essere il ristorante migliore del mondo?
Miglior ristorante del mondo non è esattamente appropriato. Un ristorante è fatto di tantissimi fattori. L’accoglienza. La descrizione dei piatti. L’arredamento. L’esperienza totale. E sì, il modo di comunicare. Spero che 'migliore' si riferisca all’influenza che abbiamo sulla società, al nostro impatto sul mondo. Da un ristorante piccolo, con 12 tavoli, siamo riusciti a fare tanto.

Quindi sei ottimista sul 'cambiare il mondo'? L’attuale situazione politica, in Italia e negli USA, non fa ben sperare.
A Modena siamo agitatori di idee. Forse in generale lo siamo in Emilia. Voi italiani siete cresciuti circondati da arte e cultura, in condizioni di vita storicamente non facili, e siete stati spinti a tirare fuori genialità ed eccellenza. Non mi sentirai mai lamentarmi, nemmeno per la politica. Le ultime elezioni non contano niente. Guarda Trump: non si possono perdere tempo ed energie a lamentarsi. Si fanno cose meravigliose comunque.

Foto di Paolo Terzi per gentile concessione di Osteria Francescana

Il ristorante migliore del mondo in una cittadina come Modena. L’amministrazione come si comporta?
In modo trasparente. L’Osteria è in centro storico: prendiamo tante multe quanto gli altri. Vorremmo altri parcheggi per i nostri ospiti? Certo. Ma il Comune non fa favoritismi. E alla fine è meglio avere un trattamento corretto, senza precedenze. La cosa più importante è essere riconosciuti dai cittadini che sono fieri di avere un ristorante come il nostro in città. Per me vale di più il complimento del fruttivendolo che del Primo Ministro.

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Cos’ha cambiato di più gli affari? Tre stelle Michelin, primo posto nella 50 Best?
Il cliente Michelin è un gourmet storico, che viaggia per mangiare; il cliente 50 Best è più giovane e dinamico. Ma ha fatto molta differenza anche Chef's Table di Netflix. Noi e altri chef della nostra generazione abbiano portato umanità e accessibilità all’alta ristorazione, eliminando l’idea di chef sul piedistallo, grasso e brutto, che fuma e beve. E abbiamo fatto capire che possono cambiare il mondo facendo quello che sanno fare meglio: cucinare. Devono solo aprire gli occhi alla comunità che hanno intorno e guardare oltre le mura del ristorante.

Prima di questa intervista mi ero prefissata due obbiettivi: non chiederle ‘Come si conciliano lavoro e famiglia?’ e ‘In casa chi cucina?’. Quest’ultima ce l’ho fatta a evitarla, la prima no, vista la quantità di viaggi, spostamenti internazionali e impegni che riempiono le sue settimane. Quindi Lara, come si concilia il lavoro con la famiglia, con i tuoi due figli che hanno meno di 25 anni?

I miei figli sono parte della Francescana. Spero che gli studi di Alexa - sta studiando marketing, comunicazione e brand management negli USA - la portino a far parte del nostro team. Io sarei molto contenta. E i ragazzi della brigata sono come i fratelli più grandi di Charlie.

Tu dici spesso che la sindrome genetica di Charlie è stata un aiuto, e non un ostacolo.
Sì, in un certo senso avere un figlio con una sindrome genetica ci ha aiutato. Per anni non abbiamo avuto risposta sulla sua malattia e il mio pediatra ha detto: ritieniti fortunata, tutte le strade sono aperte, niente è impossibile. E quel concetto l’ho applicato a tutto. Lui di se stesso dice: “Certo che sono diverso. Parlo inglese e italiano. Gioco a calcio e faccio i tortellini”. Charlie mi aiuta a spostare il mio 'limite' sempre un po' più in là.

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A proposito di Charlie, ci racconti de Il Tortellante?
È un progetto abbastanza rivoluzionario. D’altronde in Francescana lo diciamo da sempre: la rivoluzione siamo noi. Un gruppo di ragazzi autistici prepara la pasta fresca, il tortellino in primis. È cominciata come un’attività da doposcuola, radunando le varie nonne e zie insieme agli educatori: si stabilivano ruoli specifici - chi stende la pasta, chi taglia i quadretti… - e si portava a casa il frutto del proprio lavoro dalla famiglia. Forse è stata questa la chiave di volta per dare entusiasmo, fare più tortellini e farli meglio: “Io sono un Tortellante, io faccio la pasta fresca!” è diventata la loro identità. Ci siamo resi conto che poteva diventare un lavoro: finita la scuola dell’obbligo sono poche le opportunità lavorative per questi ragazzi. Abbiamo dato una nuova identità alla parola disabile. Dopo tre anni abbiamo trovato uno spazio in disuso che stiamo ristrutturando, sarà pronto per ottobre. E abbiamo già molte ditte che li richiedono per la loro mensa.

Se dovessi scegliere un piatto per raccontare la Francescana?
Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano, sempre più buono di anno in anno. Omaggio a Thelonius Monk e La neve si scioglie al sole: mi hanno fatto capire quanto concettuale può essere la cucina. E Oops! I dropped the lemon tart, ovviamente!

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