cosa mangiavano zar russia
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Cibo

Ho scoperto cosa mangiavano gli zar e ho capito perché è scoppiata la Rivoluzione Russa

Ne è valsa la pena per ingozzarsi di tutto quel foie gras e quel tartufo? Forse sì.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

L’Impero Russo è ufficialmente nato nel 1721 ed è caduto nel 1917. Quasi due secoli di gozzoviglie

La mia immagine della dinastia dei Romanov e dello stile di vita degli zar prima della Rivoluzione Russa è stata pesantemente influenzata dalla visione di Anastasia. “Feste balli fantasia è il ricordo di sempre…”. Quando poi sono cresciuta, letto Orlando Figues e ascoltato diligentemente alle lezioni di storia, mi sono resa conto di non essere così distante dalla realtà. La mia recente visita a San Pietroburgo me l’ha confermato. Gli zar amavano fare festa. Amavano un sacco fare festa.

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Nella Hermitage Library, fondata il 27 luglio 1862 durante il regno di Caterina La Grande, sono tuttora conservate decine di migliaia di documenti che ci rivelano com’era la vita di corte durante l’Impero Russo. La nostra guida ha estratto con mani fasciate in guanti bianchi e grande reverenza i menu dei banchetti indetti dai diversi zar. “Quando si organizzavano i banchetti?” chiediamo io e gli altri giornalisti, mentre implacabili danneggiamo secoli di impeccabile conservazione d’archivio ricoprendo libri e pergamene di fotografie “Beh, dipende. Per i compleanni. Per Natale. Per Capodanno. Per gli anniversari. Ah, e per la consegna di medaglie. Ovviamente per le incoronazioni. Quando si ricevevano diplomatici stranieri… ”. Capite cosa intendo quando dico che amavano davvero fare festa?

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Ogni dettaglio dei cerimoniali di corte, come la disposizione dei tavoli e la successione delle portate, veniva conservato. I banchetti venivano considerati più un atto teatrale che un pasto - era importante mostrare, mettendo alberi sui tavoli e illuminando candelabri cinesi, che mangiare. “Le persone non erano poi così interessate in quello che mangiavano” ci spiega la nostra guida “Però bevevano, bevevano moltissimo”.

Il numero medio di invitati a questi festeggiamenti era circa 300, ma a volte si arrivava a 2000, mettendo gli ospiti sulle scale del Palazzo d’Inverno o delle altre residenze imperiali. A dirigere tutta questa estravaganza c’erano maestri di corte, più o meno equivalenti alla figura di restaurant manager di adesso, spesso divisi in dipartimenti. C’era il master of bread, per capirci. E ovviamente quello della vodka.

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Nicola II amava i pelmeni. Nicola I il cetriolo salato e il porridge di grano saraceno - due fondamentali della cucina russa.

L’Impero Russo è ufficialmente 1721 ed è caduto nel 1917. Quasi due secoli di gozzoviglie, insomma. Anche di più, se consideriamo anche il regno di Pietro Il Grande, fondatore di San Pietroburgo, il più noto dei regnanti russi, e colui che ha fatto di più per ‘europeizzare’ il paese.

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Sobria rappresentazione del ristorante Tsar/Foto via Facebook

Visto che l’Impero si estendeva su tre continenti, capirete che era difficile - e lo è tuttora - definire cosa sia cucina russa, vista la mescolanza di influenze siberiane, asiatiche orientali, asiatiche centrali, caucasiche, scandinave ed europee che la caratterizzano. Una cosa è certa: l'influenza prevalente a corte, tanto nello stile di vita quanto nella cucina, erano francese. I menu erano scritti quasi sempre in francese (molti nobili palavano solo francese). Gli chef chiamati alla corte degli zar erano stranieri - soprattutto francesi.

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Olivier Salad del ristorante Tsar/Foto dell'autrice

Il più famoso è il franco-belga Lucien Olivier, inventore della Olivier Salad, che con la sua copia sbiadita diffusa in Europa, la Russian Salad, ha davvero poco a che fare. La provo al ristorante Tsar, uno di quei casi il cui nome è più che esemplificativo della proposta.

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Toilette del ristorante Tsar/Foto dell'autrice

All’ingresso c’è un trono su cui ci si può fare un selfie con scettro e corona. All’interno, in mezzo a candelabri e ritratti dorati di nobili russi, un gruppo di figuranti in costume si esibisce in balli di coppia al suono di un pianoforte. A un certo punto è arrivata perfino una ballerina ed è riuscita a fare una splendida performance tra i tavoli senza inzaccherare il tutù bianco di crema di barbabietola. Perfino le toilette sono a forma di trono - se c'è una cosa che ho capito della Russia è che il concetto di sobrietà, qui, è decisamente relativo.

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via GIPHY

Il menu di Tsar è una riscoperta della tradizione russa, almeno quello che viene riscoperta nel 1800, un periodo di Rinascimento culinario in cui gli chef sperimentano di più e iniziano a guardare ai loro stessi prodotti dismettendo parte dell'esterofilia forzosa che li aveva caratterizzati fino a quel momento. È in questo periodo che nascono piatti come appunto la Olivier Salad - un misto di sottaceti, verdure tagliate a cubetti, maionese, uova, carne - o il manzo alla Stroganoff.

Dai menu che sfioriamo con reverenza , comunque, emerge come nel 1800 prevalesse ancora l’influenza francese. C’erano molti più ‘Consommé à la Parisienne’, ‘Caldo freddo di foie gras ai tartufi del Perigord’ o ‘Asparagi con salsa olandese’ che ‘Storione alla russa’ o ‘Storione all’imperiale’, il quale pareva essere l’unico piatto russo che comparisse con frequenza nelle degustazioni - quasi tutte dalle quindici portate in su.

Da bere? Non era sempre segnato sul menu. Riesco peròa scorgere uno Château d’Yquem, Sauternes tuttora leggendario, o champagne Mumm. Gli zar adoravano lo champagne. Nicola II ha fatto impiantare molti vigneti in Crimea, di cui la maggior parte è stata distrutta dall’epidemia di filossera di metà 1900. Oggi però, concordano tutti i russi con cui parlo, stiamo assistendo a una ‘new era of wine making’. L'aggettivo che sento pronunciare più spesso dalle persone, in riferimento alla ristorazione, è proprio: nuovo. Un nuovo interesse alle tradizioni russe. Una nuova riscoperta dei prodotti (in parte dovuta alle sanzioni, certo). Un nuovo interesse a rendere nuovamente San Pietroburgo la capitale culinaria della Russia.

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Sono stata a San Pietroburgo per partecipare ai Gourmet Days, un festival gastronomico internazionale che si pone l’ambizioso obbiettivo di restituire alla città il suo ruolo di culinary capital. Sì, perché i due ristoranti russi più famosi al mondo, White Rabbit - lo chef Vladimir Mukhin è stato anche protagonista di Chef’s Table - e Twins Garden, sono a Mosca, ma è indubbio che San Pietroburgo stia vivendo un fermento gastronomico senza precedenti. Il festival è organizzata con il supporto di Ginza Project, che possiede oltre 40 ristoranti in tutta la città, di ogni genere e prezzo.

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Tartarbar/Foto via Facebook

Ambassador dell’evento quest’anno è Dmitriy Blinov, proprietario del Tartarbar, locale specializzato in tartare - stupiti, eh? Nei piatti si incontrano molte influenze asiatiche, come i funghi shiitake o il wasabi, ma è quando scompagina le carte della tradizione del suo paese che lo chef dà il meglio di sé, come nel Granchio speziato con cavolo verde, nel Cervello di vitella con grano saraceno o salsa al malto o nelle Carote al forno con peperoncino e mousse di patata dolce. Quest’ultimo è un piatto sinceramente straordinario, ma che noi rubricheremmo come dessert. I russi in generale salano poco, perché tradizionalmente al posto del sale utilizzavano il caviale: fatevene una ragione - e chiedete sempre di farvi portare il sale a tavola.

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Beef Zavod/Foto via Facebook

Altro concept interessantissimo è quello di Beef Zavod, che i proprietari definiscono un po’ ristorante e un po’ macelleria ‘creativa’. Prima di aprirlo hanno studiato presso due mostri sacri della macelleria italiana, Fracassi e Cecchini, visto che non potevano guardare alla tradizione di macelleria del loro paese: “Fondamentalmente in Russia butchering, fare macelleria, equivale a chopping, tagliare”. Fanno i propri salumi in casa, promuovono la filosofia nose-to-tail e fanno frollare la carne direttamente nelle vetrine del ristorante. Le porte dei bagni sono quelle dei macelli. Appese al soffitto ci sono seghe. Diciamo che il gusto hipster russo è un po’ più spinto di quello europeo. L’impressione generale è quella di una città in grande fermento gastronomico, che sta tornando ai fasti del passato, a quel 1800 dorato in cui in città si contavano circa 6000 culinary venues. Ovviamente, inutile dirlo, di tutto quel bendidio il popolo non poteva usufruire, a differenza dei nobili e dell’alta borghesia. Ma la cosa sorprendente è che ci sono stati tramandati anche i gusti degli zar - ed erano incredibilmente frugali.

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Syrniki/Foto dell'autrice

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Biscotti al papavero/Foto dell'autrice

Nicola II amava i pelmeni. Nicola I il cetriolo salato e il porridge di grano saraceno - due fondamentali della cucina russa, questi due, che assaggiamo a colazione. Le colazioni russe sono tra le migliori che io abbia mai fatto: non sono colazioni, sono prove di forza. Distese di dolce e salato che sembrano dirti minacciosamente“Quando avrai finito con noi sarà già ora di pranzo”.

Al ristorante Marivanna - ci hanno messo davanti a una tavolata ricoperta di syrniki, frittelle dolci ricoperte di cottage cheese locale; pickles di cetrioli e pomodori, perché qui i pickles si mangiano a ogni ora del giorno e della notte, e perché sono perfetti per qualsiasi hangover; un delizioso porridge di zucca e miglio (sì, mi piace il porridge. Sono una persona adulta, non mi scuserò per questo); pierogi con cavolo, patate o carne; blini da accompagnare con panna acida, marmellata e uova di luccio, il ‘caviale locale’; da bere il latte fermentato rjazhenka e il mors, una sorta di succo di mirtilli, e ovviamente tè perché il tè si deve bere “fino a sudare”.

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Il nostro shot mattutino di vodka al peperoncino/Foto dell'autrice

Nel 1800 il ristorante era un’abitazione privata, e mantiene tuttora l’accogliente arredamento di una casa alto borghese. Compresa una cantina in cui ci portano dopo che abbiamo finito di mangiare - perché sì, abbiamo mangiato tutto quello che c’era - per servirci un mattutino shottino di vodka.

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Un piatto del ristorante Repa/Foto via Facebook

L’esperienza più interessante, però, arriva da Repa, dove ceniamo dopo aver visto l’opera al Teatro Mariinskij. Il ristorante si trova a pochi passi del teatro e questa - andare all'opera, bere un bicchiere di bollicine nel foyer del teatro, dormire per tutto il secondo atto e poi andare a cena - è un'esperienza che da sola vale il viaggio in Russia.

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Il menu degustazione si chiama Back to Roots, ritorno alle radici, ed è un gioco di parole sia sul riprendere le tradizioni russe sia sui tuberi, uno staple della cucina russa che qui compare in ogni forma, compreso nel dessert come gelato di scorzonera che accompagna le fragole fermentate. I sapori sono netti e intensi, la storia dietro ogni piatto avvincente. Questa non è la cucina dei nobili, quella dei banchetti immaginifici con decine di portate: è la cucina del popolo russo, dove al posto del burro si usava il fegato di merluzzo, le zuppe di tuberi e cavoli erano la base dell'alimentazione, e si mangiava più pesce che carne. Il nome Repa vuol dire rapa bianca ma in russo si usa anche nel detto “Dovresti prendere repa, ripetizioni”, un po’ come il nostro “Sei una testa di rapa”. Ho preso ripetizioni di cucina russa.

Il mio fegato è stato rimandato, io me la sono cavata eccellentemente.

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