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Cibo

Il Papa che ha cristianizzato la bevanda del diavolo

Da bevanda degli infedeli a bandiera dell'Italia nel Mondo.
Giulia Trincardi
Milan, IT

Questo post fa parte de La Guida di MUNCHIES al caffè, realizzato in collaborazione con Lavazza

Al ritornello pizza, pasta e mandolino qualcuno aggiungerebbe naturalmente il "caffè". Il suo arrivo in Italia — avvenuto all'incirca durante il Cinquecento — è stato oggetto di una diatriba religiosa, legata alle origini arabe della bevanda, che era stata introdotta inizialmente a Venezia tramite gli scambi commerciali con l'Oriente.

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Qualche secolo fa, bere caffè in Italia non era un'attività ben vista, finché, nel 1600, papa Clemente VIII non ha deciso di cristianizzarlo, ritenendolo troppo buono per essere retaggio esclusivo degli "infedeli."

Per essere un prodotto ampiamente consumato in gran parte del mondo oggigiorno, il caffè ha una storia piuttosto turbolenta in Europa e dintorni. È stato infatti messo al bando o demonizzato in diversi paesi, per i motivi più disparati.

Federico il Grande di Prussia, per esempio, riteneva che bere caffè interferisse con il fondamentale consumo nazionale di birra — una bevanda a suo avviso ben più salutare della stimolante caffeina — e, nel 1777, formulò un manifesto per ribadire la superiorità del luppolo sul chicco di caffè.

In Svezia invece, sempre alla fine del Settecento, il re Gustavo III mise al bando il caffè e qualsiasi oggetto relativo al suo consumo (immaginate tazzine e piattini di porcellana confiscati come se fossero oggetti di contrabbando).

Per un certo periodo, a partire dal 1511, il caffè è stato messo al bando persino alla Mecca, dove alcuni rappresentanti politico-religiosi più conservatori ritenevano che le proprietà stimolanti della bevanda potessero spingere gli oppositori a fare fronte unito e rovesciare il governo.

"Nel 1535," scrive lo storico Richard Evans nel suo libro A Brief History of Vice: How Bad Behavior Built Civilization, "l'odio per il caffè alla Mecca aveva raggiunto un tale livello che folle di dimostranti anti-caffè, infervorati da un sacerdote rancoroso, correvano per le strade della città per bruciare i negozi e locali di caffè". Cosa che portò a una bizzarra guerra civile, finché il governo di allora non si decise a rendere nuovamente legale la bevanda.

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La storia del proibizionismo del caffè ricorda — per ovvie ragioni — quella del proibizionismo degli alcolici. A prescindere dagli effetti reali o presunti sulla salute, il parallelo tra i diversi casi è, ovviamente, soprattutto politico: la ragione di un divieto — e ancor più quella di una legittimazione, legalizzazione, santificazione — è stata del tutto arbitraria anche per la storia del caffè, per quanto in tempi ormai lontani da noi.

Anche in Italia, nel Seicento, l'opinione pubblica sulla bevanda era ricca di pregiudizi culturali. Per un paese in cui il consumo di alcool e "il cadere addormentati al dolce suono del proprio vomito era accettabile per il Signore," scrive sempre Evans, una diffidenza tanto forte nei confronti del caffè appare quantomeno esagerata, eppure era più che reale.

Spaventati dalla potenziale diffusione nel Paese della cultura musulmana introdotta dalle floride rotte commerciali dei primi Comuni, diversi consiglieri dell'allora Papa Clemente VIII, cercarono di convincere il sommo sacerdote a vietare il caffè, ritenendolo una bevanda sacrilega.

Ma Clemente VIII, che è passato alla storia per altre ben poco etiche decisioni, come mandare al rogo Giordano Bruno e tentare di eradicare le famiglie ebree dalla città santa — decisione che ha poi ritirato in fretta e furia, una volta resosi conto del loro apporto positivo all'economia locale —, non era dello stesso avviso.

"Leggenda vuole," racconta Evans nel suo libro, "che [il Papa] fece il primo sorso e dichiarò che 'il caffè dovesse essere battezzato, per renderlo una vera bevanda cristiana'".

L'amore per il caffè di un sovrano religioso — ma fondamentalmente anche politico, in un momento storico in cui il confine tra i due tipi di governo non era esattamente netto — è bastato a convincere un popolo intero che bere caffè non fosse eresia, ma, anzi, una buona abitudine. Con un'operazione che si può tranquillamente definire appropriazione culturale, Clemente VIII ha fermato sul nascere qualsiasi polemica a riguardo, santificando di fatto un costume straniero e gettando le basi di quella che è oggi la sacrosanta fissazione per il caffè tutta italiana.

C'è, indubbiamente, una morale in questa storia, che riguarda in parte la futilità del proibizionismo, ma anche il potere che un personaggio potente come un Papa nel Seicento possa aver avuto nel condizionare gli usi e costumi del proprio popolo. Chissà di quale bevanda o cibo che ora ci appare inconsueto rivendicheremo la potestà di qui a qualche secolo.

Questo post fa parte de La Guida di MUNCHIES al caffè, realizzato in collaborazione con Lavazza