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Cibo

Lo strano caso dei manifesti della Peta a Città del Vaticano per la Quaresima

Dove c'entra il flexitarianesimo, ovvero essere vegetariani e vegani, ma con riserva.
Foto di Sam Carter su Unsplash

Funziona così. Una mattina ti svegli, esci di casa, ti stupisci alla vista dell’ennesimo cartellone pubblicitario, simpatico o provocatorio che sia, e continui per la tua strada, spesso incurante del fatto che quel cartellone possa segnare o meno l'inizio di un'era nuova. Ormai ci siamo un po’ tutti abituati. Io però un po’ mi chiedo che espressione abbiano fatto molti romani alla vista dei nuovi cartelloni pubblicitari della Peta affissi per la Città del Vaticano.

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L’invito dell’organizzazione è di passare al vegan “Io sono qualcuno, non qualcosa. Per questa Quaresima” (i toni sono stranamente meno minatori del solito).

Esatto, solo “per questa Quaresima”.

Foto di Francesca Mazzara viaTwitter.

Sebbene anche alle trovate pubblicitarie della Peta ci abbiamo fatto tutti il callo, non posso fare a meno di constatare quanto peculiare sia l’accostamento fra dottrina religiosa, monito salutista/politico e invito a praticare una determinata abitudine alimentare per un breve periodo di tempo (spesso, infatti, gli inviti al vegetarianesimo o veganesimo sono a lungo termine).

Questa prospettiva acquisisce toni ancora più interessanti se si considera il passato decisamente provocatorio della Peta nei confronti della Chiesa Cattolica, il cui immaginario sacro è spesso stato al centro di tantissime campagne pubblicitarie (anche non della Peta).

Nonostante la diatriba i veri cattolici dovrebbero essere vegetarianivs. “no, grazie, bastano i venerdì di Quaresima” combattuta a colpi di versetti, gli obblighi assoluti di natura dietetica non esistono tra i dettami della Dottrina, e scaturiscono quello che probabilmente molti attivisti animalisti percepiscono come una falla incoerente fra la predica e la realtà dei fatti.

Angela Simmons, reality star americana e dichiaratamente vegetariana, in una pubblicità della Peta.

Tradotto in slogan pubblicitari, quindi, i tópoi da cui attingere sono pressoché infiniti.

Se c’è infatti una cosa “che tira” sempre nel marketing pubblicitario quando si tratta di cibo ed etica è la riduzione a una partita di calcio fra le due fazioni, soprattutto quando si tratta di cartelloni da affiggere nel Paese i cui abitanti amano discutere più di tutti sul cibo (arrabbiandosi).

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Che i cartelloni (a ora), non abbiano quindi ancora scaturito un caos mediatico, non siano stati vandalizzati completamente e siano ancora lì, fra le mura del Vaticano, a promuovere uno stile di vita (anche temporaneamente) vegetariano/vegano, è oltremodo sorprendente. Eh sì, perché solo una dieta vegana accende le micce del litigio tanto quanto un ‘arancino’ chiamato ‘arancina’ o viceversa.

Sebbene i recenti rapporti diano la popolazione vegana e vegetariana italiana in aumento (si parla di un 7% totale dai 18 anni in su), la percezione nei confronti di vegani e vegetariani è ancora carica d’odio, nonostante alcune istanze a livello ambientale e salutistico portate avanti dalle suddette categorie siano legittime e interessanti quantomeno da analizzare. Il problema, nella maggior parte dei casi, è dato da un cortocircuito comunicativo che vede i vegani tacciati come fautori di slogan martellanti e asfissianti, che non lasciano spazio a flessibilità alimentare alcuna (anche per ammissione di vegani stessi).

Quindi, ritornando un attimo al punto di partenza, perché abbiamo scomodato il Vaticano e la Peta?

Quella volta che Joanna Krupa è riuscita a far arrabbiare davvero tutti, sempre per la Peta.

Che la Peta abbia invitato il popolo italiano a provare a essere flessibile (c’è chi magari ci vedrà un cambiamento dal vegetarianesimo al flexitarianesimo), per una delle festività sacre più rispettate dalla popolazione (almeno sulla parola), senza incappare in moniti apocalittici e ritrovandosi ricoperta d'insulti, è davvero indice di un cambiamento che potrebbe addirittura dare il via a una discussione sana e priva di allarmismi pseudoscientifici inutili (What the Health, parlo a te).

Insomma, possiamo ufficialmente trovare una "regola 34 di internet" che però indichi la validità di un trend gastronomico solo se pubblicamente tollerato/accettato in Italia?