Rino Duca è lo chef del ristorante Il Grano di Pepe a Ravarino, nella bassa modenese.Io e lui siamo amici da tanti anni. Quello che mi piace di Rino - oltre al fatto che prepara i cannoli siciliani più buoni del mondo - è il suo essere diverso da qualsiasi altro cuoco conosca, a partire dalla sua storia personale: ha iniziato a cucinare molto tardi, dopo aver lavorato, tra le altre cose, nelle carceri. Questo inizio tardivo e l'esperienza nel sociale hanno avuto diverse conseguenze su di lui: il costante desiderio di viaggiare, ad esempio, visto che gli sono mancati gli stage all'estero ormai tipici del 'canonico' percorso di formazione di uno chef, oltre ad una straordinaria apertura mentale, una predisposizione ad assorbire ogni stimolo, a creare connessioni con le persone più inaspettate. Ed è così che è finito in Giappone.
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Tutto è cominciato quando una coppiadi Hong Kong è venuta al suo ristorante. Dopo la cena si sono complimentati e hanno iniziato a parlare con Rino, scambiandosi opinioni. Lui ha espresso il desiderio, che covava da tempo, di fare un'esperienza lavorativa in Giappone. E loro l'hanno messo in contatto con la sorella di lei, che gestisce un ryokan, albergo tradizionale giapponese, nell'isola di Hokkaido, una località ancora relativamente poco turistica ma in forte espansione.E così Rino è finito a passare qualche settimana a Zaborin, nel cuore della foresta di Hokkaido, in cucina con lo chef Yosishiro Seno. Appena è tornato, mi sono fatta raccontare tutto quello che ha riportato a casa da questa esperienza.Per loro la centralità dell’umami è tutto: se un piatto è umami è centrato, punto. La ricerca ossessiva dell’umami è un punto cardine della loro cucina, una traccia sottesa, una trama fondamentale per capirne il disegno. Spesso ci riescono con un uso sapiente delle alghe: le mettono nel dashi, nelle insalate, nel ramen, nello shabu shabu… per giungere allo stesso scopo mettono il prosciutto di Parma nel brodo. Il dashi (brodo di pesce, NdR) è un elemento fondamentale della cucina giapponese. Purezza, pulizia, essenzialità: il dashi li rappresenta tutto. Al ristorante sto aspettando che arrivi la stagione fredda per buttarmi nei brodi e nei ramen.Un giorno ero al mercato e ho notato un signore che sfilettava un pesce in modo incredibile. Mi sono fermata incantato a guardarlo… e ho visto che buttava via le uova, la bottarga. Mi sono fermato a parlargli e, con l'aiuto dei miei amici giapponesi, gli ho insegnato come conservarla. In generale non usano gli scarti del pesce, ad esempio per fare i fondi di cottura. D’altronde sono specchi di prospettive. Anche noi semplifichiamo e banalizziamo le possibilità di alcuni loro prodotti, come il mondo bellissimo della salsa di soia, o il tofu, che per loro ha la varietà dei nostri formaggi.
Prosciutto crudo nel brodo
Stereotipi reciproci
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Parmigiano Reggiano, olio extravergine di oliva, capperi, farine, Aceto Balsamico Tradizionale di Modena… tutto quello che ho portato è diventato il canale di comunicazione tra me e lo chef, che parlavamo entrambi poco inglese. Un canale non completo ma decisamente incisivo.
Questione di prospettiva
I giapponesi non hanno l’impazienza dell’italianità, sono pronti a imparare. I momenti più belli sono stati quelli della panificazione. Vedevi i loro sguardi puri, come quelli di un bambino, davanti alla magia della cottura, alla fragranza della focaccia immersa nell’olio… non me lo dimenticherò mai.
Rice first
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