Un ragazzo di 24 anni in Italia sta coltivando il pomodoro più antico del mondo
Tutte le foto per gentile concessione di Lorenzo Maggi

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Cibo

Un ragazzo di 24 anni in Italia sta coltivando il pomodoro più antico del mondo

Lorenzo Maggi nel suo Orto di Clapi nel Parco Di Bracciano, fra gli altri, coltiva un'antica varietà di pomodoro. No, non quello che vendono al supermercato.

“Non ci sarà da qualche parte un giovane, audace imprenditore capace di far rinascere i pomodori?”

La risposta alla domanda di Pietro Citati in Elogio del pomodoro è “certo che sì!”. Mentre scorrevo le pagine in cui l'autore ricorda con nostalgia l'aroma dei frutti mangiati da bambino, mi sono chiesta: “Qual è l'autentico sapore del pomodoro?” Il suo gusto si sta perdendo, soppiantato da quello di prodotti standardizzati, sciapi e acerbi.

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Mi porta una bacca, che oltre a essere minuscola, è gialla. D'altronde se è vero che pomodoro viene da pomo d'oro era intuibile che all'inizio di tutta questa storia il rosso non c'entrasse

Allora ho cercato qualcuno che me lo ricordasse. È Lorenzo Maggi, giovane agricoltore di 24 anni che possiede un ettaro di terra a ridosso del lago di Martignano, nel parco regionale di Bracciano, a nord di Roma. Coltiva da solo, ma parla al plurale perché dice: “lavoro insieme alla natura”. Ecco, lui ha deciso che i pomodori, quelli veri, li fa rinascere sul serio.

Il suo Orto di Clapi, racconta, è un “farmer's market che accoglie su piccola scala tanti ortaggi con lo scopo di riportare in tavola sapori dimenticati”. Come? Coltivando piante a partire da semi antichi.

Gli chiedo di mostrarmi il “principe dell'orto”: il pomodoro più antico sulla faccia della terra. (Ok, PROBABILMENTE il più antico).

Lui mi porta un ribes. Almeno quello che a prima vista sembra un ribes, in versione dorata. Sono un po' perplessa: questa cosa grande quanto l'unghia del mio mignolo non può essere un pomodoro (Gérard Depardieu perdonalo perché non sa quello che dice!). E invece sì. È un antichissimo pomodorino selvatico che si trova spontaneo in Messico. Ha la forma primordiale di una bacca e cresce su un cespuglio basso e fitto. Oltre a essere minuscolo, è giallo.

D'altronde se è vero che pomodoro viene da pomo d'oro era intuibile che all'inizio di tutta questa storia il rosso non c'entrasse. Ma qual è il suo sapore? Salato, indubbiamente. Fruttato e intenso, con un retrogusto asprigno che ricorda i frutti di bosco.

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La questione passa in un attimo da “i pomodori di oggi fanno schifo” a “chi decide cosa sono i pomodori oggi?"

Pomodoro nero

La tentazione di correre a comprare i ciliegini più piccoli e più gialli in circolazione è forte. Ma Lorenzo mi smonta in un secondo: “Hai presente che da un paio d'anni a questa parte nei supermercati si trovano tanti pomodorini colorati? Ecco, nella maggior parte dei casi sono ibridi che nulla hanno a che vedere con le varietà originarie e selvatiche”.

Quando gli chiedo come siamo arrivati ad avere i pomodori così come li conosciamo, mi risponde: “Sono il frutto di selezioni umane che non sono da demonizzare a tutti i costi. Serve distinguere tra una selezione fatta dai contadini, che sfrutta la variabilità genetica naturale, e le derive da laboratorio. Per intenderci, non c'è niente di strano nel piantare pomodori e ricavare i semi per l'anno successivo dalla pianta che ha dato i frutti più buoni. Allo stesso modo, non mi stupisco che qualcuno tenti di incrociare varietà diverse per ottenere nuovi risultati.

A sinistra i pomodori selvatici. A destra l'orto di Lorenzo.

Il problema vero è che al giorno d'oggi i semi ibridi (F1), risultato delle selezioni di mega multinazionali del settore come Bayer-Monsanto e Chemchina-Syngenta, impediscono alla pianta di dare frutti la stagione successiva e, a volte, persino di ricrescere.”

“Monopolizzare i semi significa limitare l'accesso al cibo e avere il controllo su quello che finisce sulle tavole ogni giorno”.

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Se poi aggiungi che questi colossi mondiali delle tecnologie agricole detengono il monopolio delle varietà legalmente coltivabili, ecco che la questione passa in un attimo da “i pomodori di oggi fanno schifo” a “chi decide cosa sono i pomodori oggi?”

Il contadino, abituato in passato a riprodurre le proprie piante, si trova ora a doverne acquistare di nuove ogni anno. E lo fa dalle stesse aziende che poi gli vendono gli agrofarmaci per curarle quando si ammalano. Ah, il conflitto di interessi così caro a noi italiani.

“Monopolizzare i semi significa limitare l'accesso al cibo e avere il controllo su quello che finisce sulle tavole ogni giorno”. Per questo nelle nostre campagne ci sono agricoltori come Lorenzo che lottano contro la tendenza a omologare le varietà coltivabili.

C'è di più. Lavorare con le proprie varietà, le rende più forti. Le piante hanno una “memoria” e, di anno in anno, immagazzinano le informazioni necessarie per adattarsi meglio al clima e al tipo di terreno che le ospita. La loro salute si traduce nella salute dei loro frutti, più saporiti e più ricchi di nutrienti.

Con i semi antichi Lorenzo crea accostamenti interessanti che arricchiscono il sapore del raccolto. Il pomodoro pesca, vellutato all'esterno proprio come una pesca e di colore giallo acceso, viene esaltato dall'aroma dolce del basilico cannella, suo vicino di orto: difficile a farsi con prodotti di scarsa qualità.

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Perché allora i contadini comprano i semi dalle multinazionali? Lorenzo mi spiega che “spesso se ne fa una questione di produttività: perché hanno una resa maggiore”. Bisognerebbe intenderci su cosa questo significhi. Ottenere tanti frutti insapore, acquosi e con poche sostanze nutritive vuol dire avere una buona produzione?

Basilico Cannella.

Negli anni a causa dei brevetti depositati all'Unione Europea, il commercio di alcune varietà è diventato illegale. Far arrivare i semi dall'America latina è praticamente impossibile. L'autoproduzione, però, è (ancora) consentita ed esistono luoghi e associazioni di scambio e raccolta che mantengono viva l'antichità della nostra terra.

Speriamo ancora per molto.

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