A Roma c’è un posto che fa cocktail usando strumenti della cucina e sono pazzeschi
Tutte le foto per gentile concessione di Profumo

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Cibo

A Roma c’è un posto che fa cocktail usando strumenti della cucina e sono pazzeschi

Atomizzatori, roner, affumicatori, forni. Stavolta stanno dietro a un bar.
Andrea Strafile
Rome, IT

C’era una volta il vodka lemon. Con alcol scadente, un sacco di ghiaccio, in bicchieri di plastica. Alle serate lo prendevamo tutti. Perché era veloce da fare, non dovevi aspettare le ore in mezzo alla calca sudata, andava giù facile e ti incocciava al punto giusto. Ma soprattutto perché non c’era molto altro, oltre a quello e il mojito. Non volevamo bere bene. Volevamo bere, punto. Oggi è cambiato tutto. (sembra un attacco nostalgico ma non lo è, giuro)

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Le drink list sono i nuovi menù, l’angostura è più diffusa delle cannucce e la gente ama sedersi davanti a bartender con il reggibretelle per sorseggiare drink che non contengono più il blu curaçao, ma lo yuzu. Da una decina d’anni a questa parte la mixology è risorta ampliando i nostri orizzonti al bancone. Ora si incrociano sperimentazioni, si fronteggiano fazioni contrarie: ci sono la scuola molecolare, quella dei drink tradizionali, quella dei drink esotici e quella acrobatica. Nel bicchiere si cerca la stessa quadratura percettiva dei piatti di alta cucina: sapidità, acidità, eccetera eccetera. E sempre di più la mixology è compagna stretta dei menù degustazione che arrivano dalla cucina. Non c’è più solo il vino ad accompagnare i pasti, ma una gamma di cocktail pensati su misura. Che in realtà è quello che a New York si fa da almeno 80 anni.

In questa linea si inserisce il lavoro che si sta facendo a Profumo, un nuovo locale di Roma che si definisce "spazio sensoriale" dove la drink list e i piatti si fondono secondo specifiche categorie di gusto, olfatto e vista. Con una differenza rispetto agli altri: che per fare i loro drink i barman usano preparazioni che si userebbero in cucina. Per cui dietro il bancone non ci sono solamente il jigger, il boston shaker e quei cucchiai lunghissimi che servono a stirrare la miscela. No, qui ci sono atomizzatori, affumicatori a doppio filtro, roner per cuocere a bassa temperatura, perfino forni.

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A coordinare il tutto c’è Flavio Esposito, barman che ha vinto una quantità di premi piuttosto impressionante. L’ho contattato prima di andare a provare quest’esperienza e mi ha raccontato un po' del suo passato e di come gli sia venuta in mente una cosa del genere. Mi ha tenuto al telefono un’ora e un quarto mentre bevevo un caffè americano e mangiavo delle Gocciole, ma spero non se ne sia accorto.

"Ho iniziato molto presto a lavorare e stavo in cucina, che è stata la mia passione fin da piccolo. Da Napoli mi sono trasferito a Milano e ho iniziato a lavorare per il bar Gold di Dolce&Gabbana dove mi sono ritrovato nella strana posizione di stare sia in sala sia in cucina. Se ti ricordi fino a dieci anni fa era normale che la figura del cameriere si ritrovasse dietro al bancone a fare i cocktail. Lo davano tutti per scontato. Per cui, siccome avevo totale libertà, ho cominciato a proporre dei finger food in abbinamento ai drink tutto da dietro al banco. Praticamente ero diventato uno 'Chef da Bar', un po' come Dario Comini del Nottingham Forest”.

Insomma, le cose vanno avanti, apre un bar tutto suo in piazza Oberdan a Milano, poi propone un programma su Sky dal titolo Bar Fight in cui c’è un sistema di pairing tra cibo e alcol basato sulla piramide olfattiva. "Dopo il successo di questa cosa mi hanno contattato per fare diventare realtà questo mondo fatto di sensazioni dell’olfatto e del palato ed è nato Profumo”. E qui si arriva alla vera novità del locale: per preparare i drink si usano tecniche di cucina. E la faccenda si fa ancora più interessante quando mi spiega perché. Il motivo principale per cui ha iniziato a utilizzare aggeggi tipo il Sous Vide, infatti, per le preparazioni nasce dalla lotta allo spreco.

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Una delle sue creazioni più fighe consiste nel cuocere a bassa temperatura, oppure flambare, ananas e zucche, cercando di capire come sfruttare ogni parte del frutto all’interno delle diverse ricette. Quindi per esempio prende una zucca, la cuoce a bassa temperatura col roner, separa polpa buccia e semi e ne fa tre cose diverse: con la buccia uno sciroppo di zucca fermentato con salvia e whisky mentre i semi, che al supermercato costano parecchio, vengono sfruttati per farne ci fa delle chips. Agrumato, Speziato, Floreale e Marino sono le quattro grandi caegorie olfattive che prende in considerazione nell'ideare i drink. Per capire meglio come funzionasse la cosa sono andato al locale a bere un cocktail - ogni scusa è buona, eh?

Mentre ero lì a godermi drink fatti con caviale e champagne e a mangiare tataki di manzo dello chef Davide Fogliolini vedevo questi aggeggi superganzi di cui ho chiesto spiegazione. C’erano pistole e piccoli estintori (giuro, non ero sbronzo). L’atomizzatore prende l’essenza liquida e la trasforma in aria - non in gas, proprio in aria: fa una sublimazione insomma, un po' come quella che mi spiegavano filosofia greca. E poi l’affumicatore, che non è quella solita roba con cui in un bar su tre ti fanno cocktail che sanno di torba su cui hanno vissuto duecento capre sudate per venti giorni, bensì una doppia turbina che fa in modo di rilasciare l’essenza più pura possibile.

Devo dire la verità. Quando bevo le parole che utilizzo sono due: alternativamente “Tom Collins” o “Old Fashioned”. Quindi non sono proprio la persona più adatta a nuove sperimentazioni alcoliche e miscugli strani. Ma una bevuta è pur sempre una bevuta, quindi tanto valeva tentare. E questa cosa dei cocktail fatti come se si fosse in cucina mi è piaciuta, mi è piaciuta parecchio. Poi diciamoci la verità. Quanto è bella la parola ‘atomizzatore’?

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