Esistono piatti che col tempo si sono riscattati meglio di Beatrix in Kill Bill. È il caso delle polpette - dieci anni fa mangiarle fuori casa era un reato contro la nonna e l'umanità - o del veto sul pesce a inizio settimana perché "è quello avanzato dal venerdì". Cibi sdoganati, sì, ma non tutti. Per capire cosa ordinare (e soprattutto cosa non ordinare) quando si mangia fuori casa e si è di fretta, come in pausa pranzo, ho esplorato per due giorni il panorama bolognese con lo chef Daniele Bendanti del ristorante Oltre.
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Non saltare la pausa pranzo è il mantra di tutti i dietologi e di chiunque abbia un minimo di buonsenso. Digiunare a pranzo, infatti, è peggio - dicono - che cibarsi di cibo spazzatura: il rischio è un calo di energie fisiche e mentali, e un intorpidimento generale dell’attenzione. Anche con poco tempo e pochi soldi in tasca, tuttavia, è possibile gustare un pranzo sano ed equilibrato: basta solo sapere come fare. È qui che entra in gioco Daniele che, in tutta la sua bolognesità, forti braccia tatuate, ed esperienza, mi ha spiegato cosa sarebbe meglio mangiare quando pranziamo fuori.Decidiamo di tentare varie soluzioni: la prima è una tavola calda nella zona universitaria, a cui non siedono solo studenti ma anche diversi lavoratori in cravatta.Ordiniamo dell'acqua guardando con sospetto i bicchieri opachi e calcarei che ci vengono portati. Il mio, in più, presenta testimonianze archeologiche di un malcelato passato di spremute. Daniele sospira e beve a collo. Ci dirigiamo verso il buffet. Se fosse un album di Gigi d'Agostino si chiamerebbe Universo Perverso. È il trionfo dell'opulenza low cost: paste fredde, cous cous, patate in tutte le salse, salse su tutte le patate, carni, verdure, prosciutto e melone, salumi vari, anguria, insalate, lasagne, crocchette di x, anelli fritti di y, profiteroles affogati nella panna, una forma di parmigiano, torte, sushi. A onor di cronaca è doveroso specificare che gli ultimi sei elementi si trovano nello stesso angolo del tavolo tutti insieme appassionatamente. Un bigné al surimi, s'il vous plait.
Le salse, evitate le salse
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Daniele, come primo consiglio, mi mette in guardia dalle salse: "La maionese, o tutto quello che è fatto con le uova, ogni giorno andrebbe rifatto". O, se industriale, almeno ricomprata, penso osservando un ossidato dentifricio giallino. "Sono sospette anche le paste fredde", prosegue, "che spesso vengono oliate per renderle lucenti alla vista".
"Qui il cuoco non è giovane". Lo guardo perplessa, e lui mi indica un pelo bianco sul suo rotolino. Chiudo gli occhi e ingoio quello che sto già mangiando.
"Bisogna invece sfatare il mito del congelato. Se compro un pesce ad amo e lo metto in freezer, quando lo vado a cucinare sarà comunque sempre meglio di un pesce fresco d'allevamento. Ma attenzione al pesce. I ristoratori che vantano la scritta 'pesce fresco' non sempre seguono norme igieniche adeguate, ed è pericoloso, specialmente adesso, con la moda dei crudi. Il pesce va abbattuto a -22 gradi. E non è una cosa che fanno tutti".Pesce in pausa pranzo? “Assolutamente sì, purché sia di qualità. Il gambero crudo dell’all you can eat, ecco, non prendetelo mai”. A questo punto, per coerenza, assaggiamo il sushi del buffet. Molliccio e insapore. Triste.
Con le solite salse sopra per cercare di dargli sapore. Sul pesce non saprei bene cosa dirvi, terza scelta del supermercato o di frodo, ma Frodo proprio l'hobbit: il nostro sushi è più piccolo del normale e peloso. Sì, peloso. Non me ne accorgo finché Daniele annuncia: "Qui il cuoco non è giovane". Lo guardo perplessa, e lui mi indica un pelo bianco sul suo rotolino. Chiudo gli occhi e ingoio quello che sto già mangiando. "Considerato quanto costa il pesce", mi distrae nel frattempo, "personalmente diffido dei sushi all you can eat. Con 15 euro ti puoi saziare, ma non puoi dire di avere mangiato bene".
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Vivisezioniamo nuovamente il buffet. Lo sguardo vaga da una lonza di maiale al limone affogata nel suo brodino ad un pollo secco talmente poco pollo che inizialmente era stato scambiato per coniglio. "Lo assaggi?", chiedo. "Me lo merito?", risponde con la voce incrinata. Non ha tutti i torti. "Sa di mensa", dice Daniele. Per fortuna ha detto mensa.
Ma qualcosa si salva, sempre. I fagiolini e melanzane grigliate sono più che onesti, le insalate hanno un je ne sais quoi de plastique, ma non sono tanto peggio di quelle confezionate dei supermercati. Il cous cous è piacevole, le patate al forno buone. Tiriamo le prime somme: con dieci euro a testa, in un locale di qualità medio-bassa, chiudendo gli occhi sulla carne (ma chiusi proprio forte), con le verdure del buffet ci siamo saziati. Mangiare verdura in pausa pranzo, forse è scontato dirlo, è una buona scelta. Economica, leggera, e senza il rischio di brutte sorprese se non i filini di spinaci tra i denti. In alternativa il cous cous, che aveva meno litri di olio rispetto agli altri primi.Il giorno seguente battezziamo un bar del Quadrilatero di Bologna che espone in vetrina panini e foto di primi. Tentiamo la sorte (giochiamo ad harakiri con la sorte, più che altro) e ordiniamo una tagliatella e una lasagna.
Nel dubbio meglio un panino
Arrivano i piatti che abbiamo ordinato. Il cameriere si premura di farci sapere che la sfoglia non è tirata al momento. L’aspetto non è male: gratinata sopra, almeno cinque strati, la quantità della besciamella è giusta. Industriali sì, ma poteva andare peggio. Daniele invece mi parla delle sue tagliatelle come "udon al ragù, ed è quasi un complimento”. La morale di questa storia è che era meglio ordinare un panino. Qui il pranzo, due primi e due birre piccole, ci è costato ventiquattro euro di microonde e prodotti surgelati. Lo chef ribadisce il consiglio: panini. Evitando quelli con la maionese.
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