Ho partecipato a Top Chef Italia. E lo rifarei.
Foto by Maurizio Camagna per gentile concessione di Matteo Fronduti

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Cibo

Ho partecipato a Top Chef Italia. E lo rifarei.

Dopo la televisione i clienti del mio ristorante sono aumentati del 300%. La maggior parte veniva per farsi il selfie con me.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

In un mondo migliore, o semplicemente in un articolo migliore, Fabri Fibra non dovrebbe mai aprire un articolo. E invece è precisamente ciò che mi accingo a fare.

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Il fenomeno della cucina in televisione ha assunto proporzioni tali da finire in una canzone chiamata Fenomeno . Ma se sappiamo quali sono le conseguenze dell'esposizione sul piccolo schermo per i non professionisti della cucina - ovvero nessun risultato professionale tangibile se non la partecipazione a cooking show di dubbio gusto e la pubblicazione di un libro di cucina con la foto in copertina un po' sghemba - cosa succede quando a venire intrappolato nel tubo catodico è un vero e proprio chef?

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Per capirlo abbiamo deciso di parlare con qualcuno che in televisione ci è stato ed è sopravvissuto per raccontarlo: Matteo Fronduti.

Quando entro nel suo ristorante - Manna a Milano - Matteo è al telefono. La sera prima, giovedì 7 settembre, su canale NOVE è andata in onda la prima puntata di Top Chef Italia 2 , il talent show culinario in cui un gruppo di cuochi professionisti si sfida per il titolo di Top Chef italiano e per 50mila euro in gettoni d'oro.

Matteo è il vincitore della prima edizione. La pluristellata giuria del programma - Annie Féolde, Giuliano Baldessari, Mauro Colagreco e Moreno Cedroni (l'unico non presente quest'anno) - ha decretato la vittoria dello chef del Manna, il suo ristorante nella NoLo milanese, che in finale ha sfidato l'amico e collega Matteo Torretta, con cui ora sta commentando al telefono la prima puntata. "Ormai è la mia fidanzata, ci sentiamo una volta al giorno" scherza.

Siamo risultati algidi (…) nessuno ha pianto, nessuno ha litigato, abbiamo fatto i professionisti quali siamo. Abbiamo avuto poco appeal sul pubblico generalista.

Siete rimasti in buoni rapporti con tutti i concorrenti?
Essendo tutti cuochi per professione il nemico non era l'avversario ma il lavoro. Ci siamo aiutati e quasi tutti siamo rimasti in buoni rapporti.

Impressioni a caldo sulla prima puntata?
Io e Matteo siamo stati in studio come ospiti in una puntata e ho avuto modo di parlare con lo staff e i giudici. La mia impressione è che i casting quest'anno sono stati finalizzati a trovare gente con meno professionalità ma storie personali più trucide. Lasciami enunciare una legge di psicologia spicciola: la casalinga disperata, il disoccupato, il licenziato, il fallito… i concorrenti che puntano tutto sulla televisione per svoltare la vita arrivano in tv con un carico di ansie e aspettative mostruoso. E il meccanismo in cui vengono inseriti è fatto per aumentare l'ansia: basta che un giudice alzi il sopracciglio perché si mettano a piangere. Noi che invece siamo stati nelle cucine vere - tutti avevamo lavorato almeno in un bistellato - eravamo abituati a gestire la pressione. La pressione vera me la mette il conto corrente.

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[mi mostra una clip della prima puntata di Top Chef Italia 2 in cui un concorrente si mette a piangere. Il giudice Mauro Colagreco lo guarda con un'espressione di sommo disprezzo. Non riusciamo a smettere di zoomare sulla sua faccia]

E questo non funzionava?
Gli ascolti sono andati bene - oltre le previsioni del canale - ma c'è stata poca empatia. Siamo risultati algidi, non ci siamo spesi televisivamente: nessuno ha pianto, nessuno ha litigato, abbiamo fatto i professionisti quali siamo. Abbiamo avuto poco appeal sul pubblico generalista - ovvero quello che serve a fare i grandi numeri - a cui la cucina interessa solo come idea. A loro piace l'effetto MasterChef, tornare a casa dopo una serata di lavoro e trovare qualcuno più sfigato di te, che viene vessato più di te, in cui immedesimarsi. E se alla fine vince pensi "C'è speranza anche per me". Adesso Top Chef lo guarda già il doppio della gente che lo guardava l'anno scorso: è arrivato il grande pubblico e il grande pubblico vuole altro.

Era un periodo che stavo facendo casting su casting. Avevo intuito che quella roba lì è uno strumento micidiale. Ma solo uno strumento, non l'obbiettivo: volevo aumentare la visibilità del ristorante

Come mai hai deciso di partecipare?
Era un periodo che stavo facendo casting su casting. Avevo intuito che quella roba lì è uno strumento micidiale. Ma solo uno strumento, non l'obbiettivo: volevo aumentare la visibilità del ristorante. All'inizio quando mi hanno contattato da Top Chef ho sempre detto di no. Non volevo andare in televisione per fare il burattino e non sarei venuto a farmi giudicare da Alessandro Borghese o Simone Rugiati - se avesse criticato un mio piatto gli avrei staccato la testa dal collo. Non perché mi ritenga migliore di loro: ognuno ha le sue competenze, io faccio il cuoco e loro i personaggi televisivi.

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E come hanno fatto a convincerti?
Mi hanno detto che nella giuria c'erano in ballo otto stelle Michelin e soprattutto hanno promesso che sarebbe stato tutto incentrato sulla professionalità e non sullo sventramento del concorrente di turno. I conduttori sono stati intellettualmente molto onesti - ovviamente nel ridurre 1000 ore di girato in 75 minuti qualche imprecisione c'è ma non posso lamentarmi. Però tutte le parti caustiche dei miei discorsi sono state edulcorate: nella realtà sono molto peggio di così.

Durante le otto settimane di programma hai chiuso il ristorante?
No, l'ho tenuto aperto. Ho riunito lo staff e abbiamo deciso insieme. A fine riunione per scherzo qualcuno ha detto "Se vinci dividiamo!". E mi è toccato dividere sul serio.

Ho notato una groupizzazione nell'atteggiamento dei clienti: meno critiche e più entusiasmo. Se un piatto l'ho fatto io, che sono andato in televisione, si fidano.

La tua partecipazione a Top Chef quanto ha cambiato le cose per il ristorante?
Da metà della messa in onda fino a dicembre è stato un periodo folle, + 300% di pubblico: non avevo abbastanza spazio in frigo, eravamo tutti stravolti, ma ci siamo divertiti. È così che dovrebbe sempre essere: lavorare a ristorante pieno e a spreco zero. Però quelli erano i clienti che mi avevano visto in televisione e volevano farsi il selfie con me ma non sono più tornati. Nella seconda fase invece sono arrivati quelli che hanno guardato il programma perché appassionati. Ignoravano la mia esistenza, si sono incuriositi e hanno aspettato un po' prima di venire, ma ora siamo nel loro novero ristoranti.

Che reazione hanno avuto i tuoi colleghi?
Tutti hanno detto "Finalmente un programma di cucina vero con i cuochi veri".

E le groupie sono arrivate?
Non ai livelli di Cracco, ma sono arrivate. Più che altro ho notato una groupizzazione nell'atteggiamento dei clienti: meno critiche e più entusiasmo. Se un piatto l'ho fatto io, che sono andato in televisione, si fidano.