A Parigi un pizzaiolo (italiano) fa pizze con lo champagne
Tutte le foto per gentile concessione di Gennaro Nasti

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Cibo

A Parigi un pizzaiolo (italiano) fa pizze con lo champagne

Gennaro Nasti aveva un sogno: mettere la pizza al pari della grande ristorazione. Ci è riuscito in Francia.
Andrea Strafile
Rome, IT

Quando scendi alla fermata di Anvers della metro di Parigi ti ritrovi proiettato in un viale multietnico, con alcune tracce di sexy shop che si dipanano dalla vicina Pigalle. Qualche passo più in là, verso destra, si sbuca in una via che ti porta nella parte più intima di Montmartre. E qui, affacciato su una piazzetta e sui tetti color carta da zucchero, si trova un locale che sembra una deliziosa e innocua brasserie parigina, ma in realtà è una delle pizzerie migliori in circolazione. Quando arriviamo da Bijou è ancora presto per l’ora di cena, la pizzeria è vuota tranne che per lo staff che mangia un boccone prima del servizio (nell’aria si sentono le note, piacevolmente incongruenti a Parigi, di “Cosa Mi Manchi A Fare”). A capotavola c'è Gennaro Nasti. “Ciao, ti aspettavo due ore fa”, mi dice un po' piccato. “Gennà, veramente l’appuntamento era adesso”, gli rispondo. “Hai ragione, ma sono fatto così, c’ho sempre la testa da un'altra parte”. L’avevo conosciuto velocemente tempo fa, a Roma, e mi ero ripromesso di andarlo a trovare, un giorno o l'altro. Il primo approccio è quello che conta e in questo caso quello che viene fuori da quest’uomo ben piazzato, con la barba curata e i tatuaggi anche sulle dita, è che hai davanti a te una mina vagante. Non chiedevo altro.

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L’idea con cui è partito Gennaro Nasti era semplice e semplicemente ambiziosa: prendere il piatto più italiano e popolare che ci fosse e farlo diventare un’esperienza gastronomica nel segno del lusso. Qui non fanno delle pizze, fa dei gioielli a otto spicchi.

La prima cosa che salta all’occhio guardando il menù è che quelle classiche - marinara, margherita, capricciosa - sono in fondo. Quello che interessa a Gennaro sono le quindici pizze creative dai 18 euro ai 50 euro abbinate a una carta di vini con più di 250 etichette, selezionate tra i migliori champagne e vini francesi e italiani. Nelle prime pagine di una carta che cambia una volta al mese ci potete trovare una pizza con farina di mais, manzo al sale e pepe del Vietnam, pecorino, cipollotto e scorze di lime. “In questo mondo mi sono fatto da solo”, mi dice. “Sono napoletano, ma non vengo da nessuna famiglia di pizzaioli come spesso succede: mia madre è figlia di un ristoratore e mio padre un pasticcere. Ho fatto la mia gavetta prima nelle pizzerie di quartiere e poi ho lavorato dai Fratelli Abbate. Ma appena ho potuto sono andato all’estero. La prima tappa è stata Barcellona, dove ho aperto il mio primo ristorante che è fallito dopo sei mesi. Fare il ristoratore è come stare a un tavolo da poker: ti giochi tutto ma rischi di perdere. Ero giovane e può capitare a chiunque, è un mondo fatto di mode anche il nostro. Quello che però considero la mia vera palestra, che mi ha portato a pensare la pizza in modo diverso, sono stati gli USA. Seattle, Portland, New York, Chicago e Boston, in cui ho fatto le mie consulenze, mi hanno insegnato a lottare e ad aprire la testa a nuove prospettive, anche se è 'solo pizza'. Quando sono partito per l’America ho dato a mia moglie, che rimaneva in Italia con mio figlio, 80 euro, e io sono partito con 15 euro in tasca. Era tutto quello che avevo. Una volta arrivato mi sono ritrovato a dormire una notte sul divano della hall dell’hotel perché non mi sono passati a prendere, sono stato tre giorni senza mangiare visto che nessuno ti cambia 15 euro.”

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"A Parigi sono capitato per fare una consulenza. Ho visto che poteva esserci spazio per la mia idea e mi sono dato un anno e mezzo per aprire un locale. Fortunatamente c’ho messo meno e ho aperto Pop-In, che fa pizze napoletane classiche, ed è andato molto bene. Ma siccome sono pazzo e mi annoio facilmente, ho pensato di realizzare il mio sogno di fare una pizza completamente diversa dal solito in un locale da pochi tavoli, proprio come fosse uno stellato. I miei soci mi hanno appoggiato e abbiamo aperto Bijou.”

Oggi i pizzaioli sono sulla bocca di tutti. Volevo capire se per lui un pizzaiolo è solo un pizzaiolo o può essere una star. “C’è il pizzaiolo e c’è l’imprenditore. In questo senso al Nord Italia si sta sviluppando un bel filone di ragazzi che fanno cose interessanti e hanno le mani in pasta. Io ho le mani in pasta. E mi considero uno chef pizzaiolo. Voglio superare l’idea bigotta che la pizza debba essere solo in un modo, assolutamente quello e basta. Ma perché? Perché deve essere per forza una cosa popolare e non un’esperienza gastronomica da stellato? Io cucino, sperimento, creo, ho sempre nuove idee.

"Se fossi venuto il mese scorso avresti assaggiato una pizza con guacamole e gamberi, ora ne farò una con battuta di fassona, friarielli e pecorino sardo. Non mi pongo limiti”. All'ingresso c’è una lista con tutti i suoi produttori nella più totale trasparenza, e tra poco arriverà la forma di Parmigiano che ha fatto con le sue mani. Tutte le farine che usa sono integrali ("Non esisteva nemmeno la farina 00 una volta, è assurdo che ancora si usi). "A me sta bene pagare la margherita quattro euro, è giusto, ma non è il mio. Qui mangi la pizza di Gennaro Nasti. Come se vai da Mc Donald's o dall’hamburgeria accanto a prendere un panino da 20 euro. Per me la qualità è tutto. Coi produttori in Italia non è stato facile. Sono spesso contadini o pescatori, ma io devo avere il meglio. A volte non sapevano nemmeno come spedirmeli e ho mandato io qualcuno a prenderli magari fino in Sicilia da un signore che parlava solo dialetto stretto. Questa è la ricchezza, sono le cose che mi fanno cucinare col cuore. Se hai il cuore e buoni ingredienti puoi fare anche una schifezza, ma sarà buono, sempre.

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Una delle cose che avevo sentito dire di Bijou è che qui, oltre a topping come mousse di foie gras e piccione cotto in acqua di pomodoro, Gennaro si è messo a fare un impasto con lo champagne. "È nato per caso. Considera che amo lo champagne, ma tanto. Una sera ero giù in laboratorio e bevevo uno champagne medio mentre guardavo l’impastatrice girare. Mi sono detto: ‘Ma se tolgo tutta l’acqua dall’impasto e ci metto lo champagne?’. Ho provato, l’ho cotta ed era una merda. Ma l’idea mi è rimasta, così ho provato le varie farine e sono arrivato a un risultato soddisfacente con quella di semola di grano duro: l'alcol va via subito, si fa una maturazione di 10 ore e viene fuori una pasta compatta”.

E i parigini come hanno preso tutte queste innovazioni sul tema della pizza italiana? “I parigini sono i miei migliori clienti. Non hanno la nostra mente bigotta, sono abituati a una grande cucina e vengono qui per questo. E poi quale pizzeria ha una sommelier? All’inizio non dormivo la notte, cercavo di tranquillizzare i miei collaboratori, ma in realtà non sapevo cosa fare. Allora mi sono detto: alziamo i prezzi e facciamo le cose ancora più strane. Dopo un mese avevo la fila fuori”. I tavoli intanto si riempiono, lo champagne fa effetto e arrivano le prime pizze.

"La marinara ho impiegato due anni a metterla in carta. Mettila in bocca e si scioglie in cinque secondi”. 5…4…3…2…1… e non c’era più.

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Vino, altro vino, altra pizza con il ragù della nonna senza carne. Al posto dei classici pezzettoni di manzo, solo pomodoro stracotto.

La pizza con mousse di foie gras

Arriva l'ultima pizza.

Impasto allo champagne, stracciatella e perle di tartufo nero. Un morso, la stracciatella che finisce ovunque sul palato, il tartufo che scoppia, una leggera acidità nell'impasto, ma soprattutto il sapore dello champagne che invade la bocca.

Gennaro Nasti è una mina vagante, ma ha ragione: quando ci metti il cuore quel cuore si sente.

Wow.

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