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Cibo

A Milano apre il paradiso degli amanti del carboidrato

La ferrovia sotterranea dei panificatori è arrivata anche da noi. E ci ha portato il Forno Collettivo.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT
Tutte le foto per gentile concessione di Forno Collettivo

Visitare in anteprima locali come Forno Collettivo ti getta in uno stato di grandi ambasce. Da un lato c'è l'onere professionale di dover dare la notizia dell'apertura; dall'altro, il personalissimo ed egoista desiderio di volersi tenere per sé la scoperta, di non farlo sapere a nessuno e goderselo in solitaria.

Ovviamente vince il dovere. E quindi: Forno Collettivo apre domani, giovedì 30 agosto, in via Lecco 15 a Milano.

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“Il pane per noi è sempre stato qualcosa di liturgico. Abbiamo deciso di aprire un locale dedicato al pane ma a modo nostro, senza fighettismi” racconta Alessandro Longhin, fondatore del forno insieme al socio Davide Martelli, con cui ha già aperto The Botanical Club e la vineria naturale Champagne Socialist. Consulente del progetto è Laura Lazzaroni, autrice di “Altri grani, altri pani”, mentre a mettere le mani in pasta - passateci la metafora super abusata, dai - è Carol Choi: pastry chef dai celeberrimi Per Se (New York) e Noma (Copenaghen) e head baker da Christian Puglisi, prima al Relae e poi nella bakery Mirabelle, di cui ha guidato l’apertura.

La nouvelle vague del pane finora non aveva soffiato sull’Italia. Intendiamoci: negli ultimi anni nel nostro paese hanno aperto tantissimi forni di grande qualità. Panificatori come Davide Longoni, o pizzaioli come Gabriele Bonci, hanno aperto una strada che stanno seguendo molti giovani di talento. Ma fino a questo momento non c'era un locale come Forno Collettivo, più ispirato a un modello scandinavo o statunitense - come Tartine Bakery, in cui la Choi ha fatto uno stage - di forno da fruire tutto il giorno, dove il sourdough bread è protagonista principale ma non unico.

“In Italia c’è una scena interessante di giovani che fanno ricerca sul pane. Ma spesso il problema è che non si ricerca la piacevolezza” spiega Laura “È questione di compromesso: se ti concentri solo sulle materie prime poi la crosta non ti viene come la vuoi, l’acidità la puoi spingere solo fino a un certo punto… è come se dovessi scegliere tra un pane ‘che fa bene’ e un pane davvero delizioso. Noi volevamo vedere se i due mondi si potevano incontrare”.

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Quindi, cosa si potrà fare da Forno Collettivo? Prima di tutto, molto semplicemente, si comprerà il pane. Non aspettatevi però scaffali pieni di impasti strani, colori curiosi - carbone vegetale o curcuma, anyone? - e diavolerie assortite. Le tipologie di pane, almeno all’inizio, saranno due.

Uno è l'entry level bread che ha sì dietro mesi di ricerca ("Abbiamo testato acidità e struttura di 15 prodotti diversi. Non finivamo più di sfornare, dovevamo portacelo a casa. Le nostre cucine assomigliavano a quelle di Fantozzi" scherzano) ma a livello di prezzi - nonché di gusto - è 'accessibile' a tutti. La base è il cosiddetto miscuglio evolutivo: un mix di varietà vecchie e nuove di grano duro e tenero. Questo del miscuglio evolutivo, in tempi in cui si parla solo di grani antichi e sembra che tutti i panettieri stiano riscoprendo varietà millenarie dalle proprietà portentose, è un discorso particolarmente interessante. "I miscugli evolutivi hanno l'aroma e il profilo nutrizionale dei vecchi grani ma offrono le performance grano moderno. Sono straordinariamente adattabili" mi racconta Laura "Uno di quelli che utilizziamo è stato pensato per Aleppo da un agronomo italiano, Salvatore Ceccarelli. È il cosiddetto 'breeding partecipativo’: si mette a punto un mix che si adatta a un terreno e poi il contadino ne diventa custode. Il miscuglio evolutivo è il futuro. Le vecchie varietà sono affascinanti e raccontano storie romantiche e bellissime, ma non diventeranno mai il grano prevalente: se sono stati abbandonati c'è un motivo, coltivarli è difficile”.

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L’altro pane in vendita è il tasting bread, la cui farina predominante - antica varietà o miscuglio evolutivo - cambierà ogni settimana. All’inizio verranno scelte solo in Italia, poi in Europa, poi chissà (“Ci sono grani interessanti anche in Francia, Spagna, perfino Scandinavia. Anche se nessuno ha la nostra varietà: basti pensare che ce ne sono 50 nella sola Sicilia"). Di ogni pane si avrà la ‘carta di identità’: che grano è, chi l’ha coltivato, dove, come è stato molito, eccetera. E ovviamente verranno forniti consigli di abbinamento.

E poi si mangerà. Dalla colazione (pane e marmellata, croissant e lievitati come il babka o il rugelach) al pranzo (i piatti saranno quasi solo vegetariani, con particolare influenza mediterranea) all’aperitivo - con la scelta dei vini naturali di Champagne Socialist - e alla cena. Ovviamente i progetti in fase di sperimentazione per il futuro sono tantissimi: paventano un grilled cheese sandwich (cuore mio, reggi!), toast, pane in cassetta per la vendita e ulteriori sperimentazioni sui dolci.

Inoltre il Forno sarà Collettivo davvero. "Due volte a settimana ci sarà la possibilità di cuocere i propri impasti nel nostro forno e di acquistare le nostre farine. E poi organizzeremo incontri con ospiti da tutto il mondo" racconta Alessandro. Quella dei panificatori, mi raccontano, è davvero una grande famiglia a livello mondiale. Si esaltano a ogni nuova apertura. "L’ideale del pane ideale azzera la competizione e crea solo un immenso piacere” spiega Laura "È come se ci fosse una ferrovia sotterranea di bakers".

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A questo punto sarebbe legittimo che vi chiedeste: ma questo pane di Forno Collettivo, com'è? Io posso dirvi: è buonissimo. Ma se volete termini di riferimento parliamo di grandi pezzature, crosta spiccata ma mollica fondente, acidità presente ma non invadente. Chiedo a Laura: quando si parla di pane, esistono criteri descrittori 'universali' per considerarlo buono, di qualità? “Se trattiamo grandi forme a lievito madre bisogna partire dal naso: deve trasmetterti qualcosa. Deve profumare. La maggior parte del pane moderno sa di lievito di birra. Quanto alla consistenza, deve risultare croccante fuori e cremoso all’interno. Il resto è soggettivo, ma di solito la salivazione - non eccessiva, provocata da un'acidità bilanciata - è un fattore determinante".

Impossibile non farsi travolgere dall'entusiasmo di questi nerd del pane. “Il Noma è stato il primo posto in cui ho realizzato che il pane aveva un sapore. Ovviamente sapevo già che ce l’avesse, è un food item, no? Ma è stata la prima volta in cui mi sono resa conto di come avesse un sapore proprio, anche mangiato da solo. Ne sono rimasta incantata” racconta Carol “Mi piaceva toccarlo, mi piaceva che fosse vivo. Se è buono lo capisci subito: con il pane non si mente".

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