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Cibo

In Turchia c'è un bar a tema prigione che non c'entra nulla con la politica

All’Haft i camerieri indossano tute arancioni e servono caffè fra sbarre e orinatoi in stile prigione. I clienti, ovviamente, lo adorano (e si fanno un sacco di selfie).
Tutte le foto dell'autore

In seguito al fallito colpo di stato in Turchia nel 2016, al quale è seguita un’ondata di repressione senza pari, più di 50000 persone sono state arrestate. Di queste, più di 150 erano giornalisti (tutt’oggi dietro le sbarre), una delle categorie che, statisticamente parlando, rischia di essere arrestata in Turchia più che altrove al mondo. Giornalisti a parte, anche migliaia di lavoratori degli uffici governativi si sono ritrovati licenziati prima e senza passaporto valido con cui lasciate il Paese dopo, vivendo in quella che, di fatto, è una prigione a cielo aperto.

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Ed è così, nel mezzo degli arresti, delle condanne e dei verdetti, che in Turchia è sbucato fuori un bar a tema “prigione” chiamato Haft Coffee Roastery. Situato a Yalova, una dormiente cittadina costiera sul lato opposto del Mar di Marmara (a circa 90 minuti di traghetto di distanza da Istanbul), L’Haft Coffee Roastery ha ufficialmente aperto i propri servizi al pubblico nel gennaio del 2018, permettendo a chiunque decida d’entrarvi di ritrovarsi davanti un personale vestito con tute arancioni (in stile carcerato, appunto). L’Haft (“ haft” in turco significa “carcerazione”), racchiude fra le sue mura un ascensore dotato di cartellone per i “selfie segnaletici,” nonché una cella con sbarre e orinatoio (da non utilizzare per il suo scopo naturale però, il personale del bar preferirà sempre voi lo utilizzate come protagonista delle vostre foto).

Nonostante la recente apertura, l’Haft presenta una fila lunghissima di clienti desiderosi d’entrare già a partire da un qualsiasi primo pomeriggio. Il locale a quattro piani è, infatti, estremamente popolare soprattutto fra gli studenti dell’università locale, la cui attività preferita è prevedibilmente quella di fotografarsi fra gli arredi “fuorilegge”.

Il comproprietario dell’Haft, Canhür Aktuğlu, era un grafico di successo prima di decidere di mollare tutto per diventare il capo di se stesso. Ci tiene inoltre a specificare che l’Haft sia semplicemente un’impresa commerciale, respingendo categoricamente qualsiasi tipo d’affiliazione o dichiarazione politica.

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“Lo abbiamo aperto solo per esercitare attività commerciali, per portare dagli schermi alla realtà un’ambientazione da film d’azione o telefilm in stile Orange is the New Black,” ci ha spiegato Aktuğlu in un’intervista tenutasi proprio nel suo bar.

haft bar

Il comproprietario Canhür Aktuğlu. Foto dell'autore.

“L’architettura e gli interni dell’Haft ricordano quelli di una prigione, con tanto di uniforme arancione dei camerieri per enfatizzare il tutto. Sono davvero costumi pazzeschi,” continua.

Secondo Aktuğlu, l’Haft è il primo bar a tema “prigione” del mondo ma, stando a varie ricerche, sembra proprio che un primo locale simile fosse stato aperto a Parigi intorno agli anni Ottanta dell’Ottocento. Più recentemente, invece, un altro bar analogo è spuntato anche al Cairo, mentre quello di Mumbai è rimasto senza proprietari, perché sono stati arrestati con l’accusa di aver servito alcolici a minori.

Fra i dipendenti dell’Haft c’è Sana, ventitreenne dai lunghi capelli neri, gli occhiali dalla montatura fine e il pizzetto folto. Sana è di fede Baha'i, una delle più perseguitate in Iran, suo Paese d’origine. Temendo d’essere arrestato per il proprio credo, Sana è scappato in Turchia.

“Sarei finito in prigione, quindi sono scappato via,” spiega a MUNCHIES.

“E ora sono qui, in un caffè a tema prigione,” continua, sogghignando, notando come la natura dell’Haft in questo preciso contesto storico in Turchia sia sottilmente ironica. Lo stesso fatto di trovarsi a lavorare “in prigione,” in un ambiente assolutamente piacevole, quando lui stesso rischiava di finire dietro le sbarre in Iran, aggiunge sicuramente ulteriore ironia all’ironia.

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bar prigione

Sana, uno dei baristi. Foto dell'autore.

Fra un sorso di caffè (che la squadra di Aktuğlu tosta personalmente), e l’altro, osservo gli studenti intenti a scattarsi foto fra le uniformi arancioni. Il loro mondo, lì dentro, sembra gravitare anni luce dalla dura realtà turca, che ogni giorno dà dimostrazione di quanto sia labile il concetto fra giustizia e verità.

Deniz Yücel, giornalista turco-tedesco incarcerato il 16 febbraio con l’accusa (fasulla) di “diffusione di propaganda a sostegno di un'organizzazione terroristica” e “incitamento alla violenza,” è stato rilasciato il giorno prima dell’incontro a Berlino fra Angela Merkel e Binali Yıldırım, Primo Ministro turco. I festeggiamenti per il rilascio son durati poco però, perché lo stesso giorno sei giornalisti sono stati condannati all’ergastolo in seguito alle accuse (anche qui pretestuose), di aver preso parte al golpe sventato del 2016.

Su suggerimento di Aktuğlu, m’infilo una tuta arancione, pronto a farmi scattare una foto da dietro le sbarre. E mentre sono lì non posso che soffermarmi a pensare a quanto sia pericoloso esercitare la mia professione qui, in Turchia. Sospiro, sperando siano le uniche sbarre che terrò fra le mani.

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Quest'articolo è originariamente apparso su Munchies US.