Questo chef ha mummificato una carcassa di pecora nella cera d'api
Immagine per gentile concessione di Brambilla-Serrani

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Questo chef ha mummificato una carcassa di pecora nella cera d'api

Il risultato? Una pecora semplicemente strepitosa.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

Ai congressi di cucina una platea attenta è merce rara. Forse una platea attenta - in ascolto, che prende appunti e fa domande, senza compulsare lo smartphone - è merce rara a qualsiasi congresso, ma io frequento quelli di cucina, quindi solo su quelli posso esprimermi. Inoltre ai congressi di cucina c’è l’aggravante dell’assaggino: buona parte del pubblico risveglia l’attenzione solo al momento della distribuzione dell’assaggino, generosamente offerto dallo chef sul palco. Quest’anno a Identità Golose, il più importante congresso italiano di alta cucina, ho assistito a una scena piuttosto impressionante: tutto il pubblico ascoltava - interessato - uno chef. C’è stato perfino un momento in cui qualcosa di simile a un ‘Wooow’ di stupore si è diffuso in platea. Ed è stato il momento in cui una carcassa di pecora è stata svelata sul palco.

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Riccardo Camanini è lo chef del Lido 84, una stella Michelin sul lago di Garda. Tra gli aggettivi che possono descriverlo trovo estremamente centrati quelli del giornalista Gabriele Zanatta: “Discreto. Erudito. Incompreso”. Spesso utilizzato anche “Visionario”. Visionaria era sicuramente la preparazione che ha portato sul palco del congresso: la sbernia. Provate a googlare. L’unica referenza che troverete è “antica veste muliebre”. La sbernia di Camanini invece è una carcassa di pecora essiccata all'aria. Per trovarla si è addentrato nella Bassa Val Camonica, in mezzo alle montagne bergamasche, su su fino all’altopiano di Bossico e all’accrocchio di paesi intorno a Costa Volpino, paesi che elenca con la precisione di chi, quando intraprende un viaggio, studia ogni tappa tanto con la testa quanto con il cuore: Volpino, Corti, Branico, Qualino, Flaccanico, Ceratello. È qui che nasce la sbernia, o bernia che dir si voglia, perché qui da un versante all’altro cambiano i dialetti e conseguente i nomi. Un piatto di tradizione pastorale: quando la pecora - per la precisione quella gigante bergamasca - si azzoppava e non poteva più seguire il gregge andava abbattuta. Non si poteva sprecare la carne, però. E così, dopo una marinatura in vino e aromi, la carcassa veniva appesa all’aria aperta per settimane con la sola protezione di una rete contro gli insetti. La carne così essiccata era perfetta come 'schiscetta da pascolo' - un po’ come il beef jerky dei cowboy americani - ma anche accompagnata con la polenta o bollita. Pur non avendola mai provata, me la immagino simile all’agnello che ho assaggiato alle Faroe - qui un racconto di chi l'ha provato - appeso per mesi ad essiccare al gelido vento del Nord: un sapore super ossidato, una sapidità decisamente eccessiva (sempre un modo gentile per dire “Immangiabile”).

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"Basta un colpo di scalpello e la cera si rompe. La carne sotto sembra fresca, morbida e sanguinolenta"

“Avevo un periodo di vacanza e l’ho dedicato tutto a girare l'Italia. Volevo approfondire questa frammentazione dell’identità italiana, scoprire le realtà piccole e meno di moda. E così sono arrivato a Costa Volpino. Scendo in piazza e la prima cosa che trovo è una cabina telefonica, di quelle vecchie e gialle, con un cartello scritto a mano: libreria telefonica. Dentro, una trentina di libri per il BookCrossing. Capisco di essere arrivato nel posto giusto. Entro in una trattoria e vedo solo baffi lunghi e camicie da pastore. Il tempo sembra essersi fermato, un paese in stato di grazia”. Lo chef conosce i pastori e i pastori gli raccontano di questa sbernia. “Ma non ho fatto troppe domande. Per loro quella è semplicemente la vita quotidiana, non volevo essere invadente, solo godermi il pranzo in compagnia. E poi è bello non ottenere il quadro completo - così parte l’immaginazione”. La sua immaginazione l’ha portato in Sicilia. Come rendere addomesticabile una sbernia così selvatica? L’intuizione viene da un altro viaggio recente, nella Val di Noto da Corrado Assenza, che nel gotha della pasticceria italiana ha uno status di quasi-divinità (nel settore si parla di lui come del Maestro Assenza, detto sempre con un tono di meritatissima reverenza). “Mi ha portato in giro per produttori nell’entroterra siciliano. E lì ho scoperto il miele più buono della mia vita, che lui usa per i canditi. Mettici un altro viaggio recente a Berlino, dove in un museo di arte contemporanea ho visto delle bellissime sculture di cera, e hai l’idea”.

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L'idea di ricoprire la pecora di miele. Ma partiamo dal principio: per prima cosa lo chef immerge la carne nel vino rosso con spezie e aromi. Poi la fa essiccare tre settimane ad almeno 800 metri di altitudine. Poi la passa tre giorni nel miele, ottenendo il duplice risultato di addolcirne il sapore e ammorbidirne la consistenza. E infine la chiude in una sorta di feretro di cera d’api (circa 25 kg, sommati ai 3-4 kg di miele per 23 kg di pecora). Sul palco Camanini ha portato la sbernia appesa a un cavalletto, che è rimasto coperto da un panno per i primi minuti per poi rivelare la carcassa lucida, giallognola, magnifica nella sua brutalità primitiva. Basta un colpo di scalpello e la cera si rompe. La carne sotto sembra fresca, morbida e sanguinolenta. E a quel punto cosa si fa?

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A quel punto il Camanini storico e antropologo ritorna chef stellato. Sul palco ha preparato un brodo, una tartare di sbernia con rognoncini di coniglio e riduzione di chartreuse, una coscia grigliata e una pasta. Ma qualche giorno dopo ci racconta che i risultati migliori li ha raggiunti con un’altra ricetta: “L’ho provata con una lunga brasatura, ‘al cucchiaio’ come in Francia. Ho fatto un micro test su 1 kg e l’effetto era simile al salmì di lepre - o a un pasticcio di selvaggina, per intenderci. Il sapore è selvatico ma modulato, con tonalità di polline, l’aspetto brillante e lucido. Una bomba. Una ricetta strepitosa, la migliore che io abbia preparato. La proporrò in menu al ristorante”.

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A presentazione finita la sbernia è rimasta un po’ sul palco, vestigia di un viaggio nel passato e testimonianza di come riportarlo nel presente, unire territori e identità lontane ma vicine, valorizzare la tradizione italiana, e un sacco di altre cose che possono suonare retoriche o scontate e che, alla fine, possono essere ricondotte alla domanda: “Cos’è il genio?”. È una parola che tenderei a non scomodare mai, ma non può non venire in mente guardando Camanini, ascoltandolo e assaggiando i suoi piatti - cosa che non abbiamo avuto modo di fare con la sbernia, ma con altri, come la Cacio e pepe in vescica, gli Spaghettoni al burro e lievito di birra o il Riso nero all'aglio fermentato, sì.

Ma prima ancora la parola che viene alla mente è: umiltà. L'umiltà di chi è capace di far zittire una platea per lo stupore, ma che fuori dal palco si si limita a commentare l'intervento dicendo che “È sempre un onore essere ascoltato. L’altro giorno mia madre ha detto che mi hanno dedicato un articolo nel giornale web del paesino, una cosa come Costa Volpino News. Ecco, queste sono le cose che fanno piacere”. Io Costa Volpino News non l’ho trovato, o il giornale ha un altro nome o è indicizzato a pagina 600 di Google. Ma sicuramente diventerebbe il mio magazine preferito.

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