Perché lo Spuntì è il simbolo degli anni '80 e della nascita del fuori pasto
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Perché lo Spuntì è il simbolo degli anni '80 e della nascita del fuori pasto

Non è il solito articolo nostalgia: lo Spuntì è un caso di marketing molto interessante, che ci aiuta a capire il cambiamento dell'Italia anni 80/90.

“È scoppiata la guerra degli spalmabili: Spuntì contro Tartì”.

Così tuonava un articolo della Repubblica in un giorno di luglio del 1984, firmato dal recentemente scomparso Antonio Ramenghi. “La Simmenthal, la società italiana controllata dalla multinazionale USA General Food, contro l’italiana Star, accusata di concorrenza sleale”. Il motivo di questa guerra? Secondo la Simmenthal, il prodotto Tartì sarebbe stato copiato nel contenuto nel packaging e nell’idea dal suo prodotto spalmabile di punta, lo Spuntì.

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Spuntì, Tartì, Urrà, Peperlizia, Piedone. L’elenco di nomi è infinito ed è lo specchio di una decade, quella degli anni ’80, dove industria e distribuzione dettavano l’andamento dei consumi degli italiani e animavano il mercato con naming accattivanti, giocosi e spensierati. Esattamente come tutto ciò che è figlio degli anni ’80. Anni dove gli adulti (donne comprese) dedicavano sempre più tempo alla carriera e sempre meno alle incombenze tipiche della vita di casa, e dove bambini e ragazzi scoprivano il piacere di smangiucchiare, sbocconcellare e conquistare la propria indipendenza anche attraverso il cibo. Per venire incontro alle esigenze di entrambe le generazioni, nasceva il momento dello spuntino e del fuori pasto, da consumare a casa o in strada, in ufficio: venivano alla luce la categoria degli alimenti spalmabili.

L’epoca è segnata da bisogno di novità, praticità e diciamolo, di rinnegare il passato a favore di soluzioni più moderne.

Ve lo ricordate lo Spuntì? Era il più famoso della categoria. Io non ero ancora nato quando è stato messo in commercio, nel 1982, ma l’hype del prodotto è rimasto in fase crescente fino a fine anni ‘90. Nel 1984, quando usciva l’articolo di Ramenghi, “gli spalmabili salati sono arrivati alla rispettabile cifra di circa 30 milioni di pezzi l'anno consumati in Italia, qualcosa come 30 miliardi di lire. […] La Simmenthal, che ha cominciato per prima, detiene l' 80% del mercato; la Star, arrivata dopo, il 20%”. Ma che cosa fosse lo Spuntì ce lo dicono le tante pubblicità ancora disponibili in rete, attraverso le quali è possibile fare un bel salto indietro nel tempo.

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Una spuntino “diverso dal solito”, una crema spalmabile al gusto carne, tonno e da ultimo salmone, contenuto in un packaging parecchio originale. Ancora in molti ricordano quella lattina con l’apertura a spirale, che dava soddisfazione già nel semplice gesto che faceva click!.

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La crema si spalmava con un coltello a punta arrotondata su una fettona di pane, come suggerivano le pubblicità, et voilà: lo spuntino era servito e la fame smorzata.

Lo Spuntì e gli anni ’80 sono legati indissolubilmente, l’uno è il figlio dell’altro e al contempo ne è la legittimazione culturale.

L’epoca è segnata da bisogno di novità, praticità e diciamolo, di rinnegare il passato a favore di soluzioni più moderne. Come scrive Alberto Capatti in “Storia della Cucina Italiana” (Guido Tommasi Editore, 2013), si è in presenza di una “società senza regole in grado di saziare oltre gli appetiti, i sogni. Ognuno degli snack facili e veloci non evocano la fame e il bisogno ma la conturbante disponibilità”. E la pubblicità ne sottolineava il carattere sostanzioso e pieno di nutrienti, in grado di far crescere robusti i bambini e far dormire sonni tranquilli alle loro mamme, che non avevano più il tempo di vegliare sulla loro alimentazione 24h/24.

Quello dell’essere “roba da grandi” è stato il leitmotiv che ha accompagnato lo Spuntì in tutta la sua rappresentazione pubblicitaria. Dai primi spot del 1982, fino agli ultimi di metà anni ’90, si nota un’evoluzione che è stata fedele a quella della nostra società: al principio la mamma che offre il fuori pasto gustoso a figlio e marito in un contesto bucolico, contenta di renderli felici con il minimo sforzo, poi la mamma di città, probabilmente in pausa pranzo, che placa il languore della sua famiglia con una soluzione pratica e veloce; dopodiché la mamma sparisce e i protagonisti diventano i ragazzi, che ballano e preparano uno snack in tutto simile ai nuovissimi hamburger (iniziava la generazione “fast food”); ed infine una serie di campagne memorabili che vedono una coppia fratello grande smargiasso e sorellina/fratellino piccolo sempre attratto dallo Spuntì e sempre redarguito con il monito “ma è roba da grandi!”

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I bambini crescevano e avevano voglia di diventare grandi, come nel film “Da Grande” (1987) con Renato Pozzetto, per poi capire che l’età adulta non era poi un granché. Ma l’industria pensava a tutto, così ammaliava i bambini con latte e cereali per rimpiazzare il biberon e creme spalmabili tipo lo Spuntì per sostituire gli omogeneizzati, altri protagonisti assoluti della decade Ottanta.

Un’epoca controversa, piena di ombre, ma ancora incredibilmente affascinante.

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