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Tutte le foto per gentile concessione di Kurt Bauer.
Cultura

Perché così tanti fotografi stranieri hanno la fissa per la 'dolce vita italiana'?

Ne abbiamo parlato con Kurt Bauer, fotografo, direttore artistico austriaco con il pallino dell’Italia e autore del progetto "Love Letters from Sicily".

Di recente, c’è stata una crescita esponenziale del numero di fotografi stranieri che, arrivati in Italia per periodi di tempo più o meno lunghi, fanno dello stile di vita nostrano—e in particolare del sud—il focus principale della loro produzione.

Sebbene a primo impatto questa celebrazione della “bellezza italiana”, del suo incedere lento e dei piccoli piaceri che ne derivano possa sembrare una boccata d’aria dalla routine caotica, guardando meglio ci si rende conto di quanto a trarne beneficio siano proprio i creator, che ci marciano sopra con i loro curatissimi account Instagram di anziani al bar e bambini che giocano a calcio contro il portone di una chiesa.

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Come spiega Viola Stefanello in un articolo uscito di recente su Il Post, oltre a essere fuorviante, questa rappresentazione idilliaca dell’Italia contribuisce ad alimentare il turismo di massa ai danni di chi, qui, non trascorre soltanto le vacanze. Secondo Sam Kemp, giornalista di viaggio presso la testata inglese Far Out Magazine, pur non essendo l’unico fattore a peggiorare la portata di questo fenomeno, Instagram partecipa a “trasformare oasi di pace in viavai frastornanti di coppie pronte a posare e modelli semivestiti.” Ma da dove nasce questa fascinazione per l’Italia e che conseguenze ha sulla percezione che gli stranieri hanno del paese? 

Per schiarirmi le idee ho fatto una chiacchierata con Kurt Bauer, fotografo e direttore artistico austriaco con il pallino dell’Italia. Cresciuto in una piccola cittadina austriaca e attualmente residente a Graz, da sempre Bauer si rivolge alla fotografia per fare chiarezza su ciò che, per lui, “sta al di fuori del ‘familiare’.”

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Qui ci parla di cosa lo spinge a documentare la dolce vita all’italiana: una realtà che, “in netto contrasto con un mondo in perenne accelerazione,” per il fotografo “ha un che di audace, quasi controculturale.”

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VICE: Che siano serie fotografiche personali o campagne pubblicitarie da te realizzate in passato, molti dei tuoi progetti sono ambientati in Italia. Cosa ti lega al paese?
Kurt Bauer:
Mio nonno materno veniva da Bergamo e, pur essendo morto prima che nascessi, la sua presenza è stata costante nella mia vita grazie ai racconti di mia madre. Era una specie di Casanova e aveva avuto figli con diverse donne. Da quel che so sul suo conto, ho dedotto che fosse dipendente da automobili, donne, alcol e gioco d’azzardo e che fosse piuttosto ricco. Mia madre, comunque, ne ha sempre parlato positivamente. Le mie prime impressioni dell’Italia derivano proprio dalle storie che, di tanto in tanto, lei mi raccontava e che, ancora oggi, alimentano il mio legame. 

Cosa ricordi della tua prima vacanza italiana?
Da bambino visitai con la mia famiglia Lignano Sabbiadoro, Caorle e Jesolo. Tra le giostre che tappezzavano le spiagge chilometriche e le migliaia di turisti tedeschi e austriaci, quelle località avevano ben poco di italiano se non per il cibo, che era un paradiso. Ricordo di avere mangiato i crostini, la pizza, la pasta e le bruschette migliori che avessi mai assaggiato fino a quel momento. Al liceo, grazie al mio professore di latino, mi appassionai alla storia dell’Impero Romano. Poco dopo, iniziai a volere scoprire di più sull’Italia e le mie radici italiane.

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Qual è la tua visione dell’Italia?
Da una prospettiva austriaca, l’Italia è un paese di contraddizioni dove caos e ordine coesistono, così come fanno la quiete e la frenesia. Dal cibo ai suoi paesaggi, dall’architettura alla moda, passando per il gesticolare vivace dei suoi abitanti, l’Italia è una festa per i sensi—a volte sofisticata, altre kitsch e sgargiante. Quel che conta però, è che nell’aria c’è una sensazione contagiosa che avvicina coloro che ne vengono coinvolti. 

Naturalmente, da straniero, la mia prospettiva mancherà di sfumature. Tuttavia ciò che mi colpisce dell’Italia è questo continuo dialogo tra crudezza e civiltà; tra il “sale della Terra” che ne caratterizza i cittadini più spavaldi e la raffinatezza di cui gli italiani si fanno portavoce nel mondo. Come avvenne con la mia gita a Roma a 17 anni, durante la quale io e i miei compagni in piena tempesta ormonale alloggiammo in un convento: in Italia il rigore della religione cattolica incontra la sensualità di ciò che è proibito. 

Camminare accanto a monumenti antichi e imponenti come il Colosseo, testimonianze di un Impero ormai scomparso, ci ricorda di come tutto sia in costante cambiamento. Poi c’è l’estetica Made in Italy, dettata da un’eleganza senza tempo sospesa tra modernità e tradizione, e la sua eterna devozione verso l’apprezzamento del ‘bello’. Ciascuno di questi elementi rende l’Italia un luogo difficile da comprendere e, proprio per questo, incredibilmente affascinante.

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Tra tutti i luoghi che hai visitato in Italia, quale ti ha colpito di più? 
Ritrovarmi sull’isola vulcanica di Stromboli mi ha ricordato di come la Terra conservi il suo ordine caotico creando e distruggendo a suo piacimento. Sebbene paradossale, ho goduto di più tranquillità su un’isola il cui vulcano avrebbe potuto eruttare da un momento all’altro che in qualsiasi altro luogo.

Mentre ero lì, ho sperimentato una calma insolita che mi ha portato a dimenticarmi di tutto. La mia documentazione di Stromboli si concentra sulla vita dell’isola, sulla realtà cruda di chi la abita, e sull’impatto che la prossimità del vulcano ha avuto sull’urbanistica. 

Love Letters from Sicily, uno dei tuoi ultimi progetti fotografici, esplora l’atmosfera che permea le strade di paese, i lidi balneari e la campagna di Gibellina, vicino a Trapani. Come è nata questa serie?
Gibellina e Gibellina Nuova parlano di una realtà che è stata inghiottita dal tempo. Quando la città di Gibellina fu distrutta da un terremoto negli anni Sessanta, Gibellina Nuova venne costruita a nove chilometri di distanza dal suo centro originale. Pur essendo stata concepita per ospitare gli abitanti del paese colpito dalla scossa sismica, non tutti coloro che ci vivevano decisero di trasferirsi nel nuovo comune. 

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Visitare Gibellina Nuova dimostra come non sia solo il presente, e coloro che lo assaporano, a dare vita a una realtà sociale, ma anche—e soprattutto—la storia che permea gli edifici e le persone. Quando questa viene distrutta, come è successo a causa del terremoto, la sua essenza non può semplicemente essere ‘spostata’ di qualche chilometro lungo la strada, ma è, anch’essa, persa per sempre.

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Sebbene contengano innumerevoli significati in base alla prospettiva da cui le si guarda, le fotografie che ho realizzato qui esplorano il concetto di ‘luogo’ e come un luogo sia molto di più di quel che è visibile a un primo sguardo. Questi scatti sono intrisi di sensazioni che trascendono qualsiasi spiegazione. Sensazioni che forse neppure l’obiettivo riesce pienamente a catturare.

Negli ultimi anni sempre più fotografi stranieri sono arrivati in Italia per immortalarne lo stile di vita apparentemente perfetto, spesso rivolgendo lo sguardo verso la popolazione anziana e i loro rituali giornalieri. Quello che però viene omesso dalla loro narrazione sono le problematiche che affliggono lo stesso paese. A cosa ritieni sia dovuto questo trend?
Penso che per chi visita l’Italia senza una conoscenza approfondita della sua situazione socioeconomica, sia molto più semplice ritrarne gli aspetti affascinanti che sottolinearne le criticità. Questo vale soprattutto se chi scatta considera la propria vacanza italiana come una via di fuga dallo stress del proprio paese. Essendo l’Italia una delle mete più ambite in tutto il mondo, chi ha modo di spenderci del tempo vuole catturarne la bellezza e la positività, specialmente se le immagini verranno poi condivise sui social media. Immortalarne le diverse sfaccettature richiede invece un rapporto prolungato—un rapporto all’interno del quale le sue complessità possano emergere ed essere comprese gradualmente. 

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Quando penso all’Italia, mi viene in mente il modo in cui auto e moto si intrecciano tra loro lungo le sue strade. Ecco, niente riassume la mia percezione degli italiani meglio di quanto non faccia il traffico: proprio come quei veicoli, le persone non hanno paura del contatto fisico ma, al contrario, lo ricercano quotidianamente. Allo stesso modo, così come gli italiani amano prendersi cura delle auto d’epoca pur essendo ormai datate, questi ripongono la stessa attenzione nel dedicarsi alla porzione più anziana della popolazione. Contrariamente a quanto avviene in altri paesi, in Italia gli anziani ricoprono un ruolo prezioso: forse è da qui che nasce l’ossessione dei fotografi stranieri per la maniera in cui questi trascorrono le loro giornate tra passatempi tradizionali e momenti di socializzazione. 

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Fino a che punto ritieni che i tuoi scatti parlino della realtà contemporanea italiana?
Più che ispirate da una vera e propria agenda, le mie fotografie prendono forma da ciò che cattura la mia attenzione. Le immagini scattate a Stromboli e in altre località siciliane, ad esempio, sollevano interrogativi riguardo alle condizioni di vita di coloro che vi compaiono. Penso a quando, per strada, mi sono imbattuto in una bancarella di vestiti e oggetti di seconda mano. A quella volta in cui, camminando sulla spiaggia, ho fotografato uno stabilimento balneare ormai in disuso. O ancora, a un cartellone pubblicitario ritraente una donna nera con al collo un ciondolo su cui si legge “HAPPY”. Partendo da quelle foto, mi domando che vita abbia chi si ritrova a vendere merce sotto il sole cocente. Com’era quella spiaggia che, oggi deserta, anni fa veniva calpestata da centinaia di persone. E come sia abitare in Italia—un paese con un governo di estrema destra—per le minoranze etniche e gli immigrati che la chiamano casa.

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In una società in continua evoluzione, che funzione ritieni debba avere la fotografia? 
Per me la fotografia è un qualcosa di istintivo che non può essere tradotto in parole. È un sentimento. Piuttosto che avere una finalità politica, le mie fotografie vogliono favorire l’introspezione. Non si tratta di essere voyeuristico o brusco, ma di ispirare una conversazione interna su ciò che ciascuno di noi prova quando viene messo difronte a un determinato scatto.

Per quanto mi riguarda, la fotografia ha più a che fare con il porre domande che con il trarre conclusioni affrettate. È un processo intimo in grado di promuovere una maggiore consapevolezza in tutti coloro che vi prendono parte. Per questo credo che ogni scatto abbia un peso enorme e che, alle volte, anche una sola immagine possa fare la differenza.

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Come hai intenzione di espandere la tua documentazione dell’Italia nei prossimi anni?
Da quando sono diventato padre, sento la necessità di mettere in discussione lo status quo e guardare ciò che mi circonda da una prospettiva tanto critica quanto costruttiva. Sto perdendo interesse nel condividere le mie fotografie come strumento attraverso cui raccogliere consenso o promuovere una visione unilaterale del mondo. In futuro vorrei raccontare il lato più oscuro dell’Italia per parlare di come, anche questo, contribuisca ad alimentarne la realtà complessa e misteriosa da cui i più, compreso me, vengono attratti. 

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