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Un'esperta spiega come si presta soccorso psicologico alle vittime del terremoto

Abbiamo parlato con la dottoressa Dentone, presidente della Società Italiana Psicologia dell'Emergenza, per farci spiegare cosa succede a chi vive un trauma simile e che aiuto possono dare le squadre di psicologi sul posto.

Foto di Fabrizio Di Nucci/VICE News.

Aggiornamento: alle 10 del 28 agosto, le vittime accertate risultavano più di 280.

Questa notte, un terremoto di magnitudo 6 ha colpito il centro Italia distruggendo alcuni comuni al confine tra Umbria, Lazio, Marche e Molise. Le scosse sono state avvertite da Rimini a Napoli e al momento in cui scrivo la Protezione Civile ha stimato 73 morti—anche se il numero potrebbe crescere nelle prossime ore, mano a mano che si scava sotto le macerie.

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Insieme a Vigili del Fuoco, Croce Rossa e Protezione Civile sul posto sono accorse anche le prime unità di aiuto psicologico, tra cui i volontari della SIPEM SoS Federazione [dove SIPEM sta per Società Italiana Psicologia dell'Emergenza], che da anni si occupano di portare soccorso psicologico alle vittime di calamità. Sono stati presenti all'Aquila così come nel recente scontro tra treni che ha causato decine di morti in Puglia all'inizio dell'estate.

Abbiamo raggiunto al telefono la Presidente della SIPEM, la dottoressa Cristiana Dentone, per farci spiegare cosa succede a livello psicologico in chi vive un'esperienza così tragica, e quali strumenti usano i volontari dell'ONLUS—tutti psicologi e operatori sociali—per aiutare le vittime.

La pagina SIPEM con tutti gli aggiornamenti. Screenshot via Facebook.

VICE: Ci sono già due vostri volontari sul luogo. Quali sono i primissimi soccorsi psicologici che si stanno portando alla popolazione, e in che modo sono messi in atto?
Dott.ssa Dentone: Al momento siamo nella fase cosiddetta di impatto, in cui si fornisce assistenza alla popolazione raccolta nei centri medici avanzati o negli ospedali da campo, così come ai feriti che sono stati portati in altre strutture o negli ospedali. È molto importante anche occuparsi di assistere i soccorritori—le cosiddette vittime di terzo livello—che non solo sono soggetti a traumi "propri": ricordiamoci che in circostanze come queste sono anche loro cittadini della zona, vere e proprie vittime che, pur avendo magari a loro volta subito perdite, si prodigano di portare aiuto. Oltre a questo, i nostri volontari sono nelle strade, al servizio di tutti.

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In che condizioni trovate le vittime del terremoto—lei non è ancora sul posto, ma nella sua esperienza quali sono gli elementi del trauma di questo tipo?
Considerato che il fatto è purtroppo appena accaduto, le persone si confrontano con quello che mai avevano immaginato di poter vivere, qualcosa che non solo li ha spaventati e terrorizzati ma ha minato qualsiasi possibile senso di sicurezza interiore. Regnano la disperazione, lo spavento, la paura e l'angoscia. Ma è anche vero che tante persone cercano di mobilitarsi e sostenersi in qualche modo per partecipare al soccorso.

Questo in una fase iniziale, poi col tempo si possono osservare altri tipi di reazioni emozionali legate ai vissuti traumatici, e legati alla rabbia, alla paura, allo sgomento, dell'angoscia del ritorno alle proprie case, la paura di non poterle riavere. E questo interessa sia chi ha subito vittime in modo diretto sia chi ha vissuto l'evento in modo indiretto, ovvero non ha perso nessuno o non ha tra parenti o amici feriti.

Immagino che ogni persona abbia una sua storia e una sua "perdita" individuale—chi i propri cari, chi la casa, chi la sicurezza. In che modo ci si rapporta alle diverse esigenze?
Diciamo che sul momento bisogna agire come l'emergenza, appunto, richiede. Quindi la prima cosa è aiutare i ricongiungimenti e anche, nei casi di morte di persone care, i riconoscimenti.

Solo in seguito, una volta che la situazione si sarà normalizzata, potremo fornire un tipo di assistenza personalizzata per far sì che le persone possano avere strumenti e sostegni utili a elaborare vissuti traumatici e prevenire le patologie principali legate ai vissuti traumatici. In tutte le fasi è particolarmente importante fornire alla popolazione tutte le informazioni utili per entrare in contatto e gestire il proprio vissuto emotivo.

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Parlando appunto di questi vissuti traumatici, quali possono essere gli aspetti a lungo termine di un evento come questo che non venga rielaborato?
Gli effetti più noti a lungo termine sono quelli relativi o correlabili al disturbo post traumatico da stress—infatti la psicologia dell'emergenza nasce dai riscontri dopo l'attentato di Oklahoma City o effettuati sui reduci del Vietnam: la mancata elaborazione di determinati vissuti porta a situazioni perduranti di scompenso emotivo. Questi compaiono anche molto in là nel tempo, e il nostro intervento immediato mira proprio a prevenirli.

Voi avete seguito molti eventi catastrofici, l'ultimo dei quali lo scontro dei treni in Puglia. In che modo si diversifica il vostro intervento a seconda della situazione?
Le principali differenze dipendono dal tipo e dalla vastità della popolazione coinvolta e dal numero di persone in fasce deboli, ovvero da proteggere maggiormente: anziani, vittime, malati cronici, bambini rimasti soli. In un terremoto i numeri sono generalmente, e nello specifico, più alti che nel caso di un incidente di circolazione come quello in Puglia. In questo caso il primo problema è la gestione delle nostre risorse, ovviamente, come è successo con l'Aquila.

Quanto dura il vostro impegno su un territorio colpito da una calamità, per esempio proprio in riferimento al terremoto dell'Aquila?
La psicologia d'emergenza si occupa appunto delle emergenze, l'obiettivo principale è normalizzare l'esperienza vissuta e fare in modo che tutte le persone possano riattivare le proprie risorse individuali così come la comunità riattivi le proprie, compresi i centri di salute psicologica presenti sul territorio. Noi interveniamo nel periodo più difficile a supplire, perché nella prima fase anche i colleghi sono vittime. Diciamo che la durata e i tempi dei nostri interventi variano e vengono concordati con la protezione civile e con le strutture sanitarie sulle base appunto della vastità e della "distruzione".

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In riferimento al terremoto, una delle particolarità è che la vittima si relaziona con una totale incertezza nel proprio futuro—in che modo le istituzioni possono contribuire a dare speranza?
È banale dirlo, ma con i fatti e la concretezza. Questo si aspettano le persone. Di sicuro all'inizio con la vicinanza e la certezza che la macchina dei soccorsi è attiva—e poi, per quanto, di nuovo, sia banale, con la certezza di non essere dimenticati.

Immagino che la conoscenza di come sono state dimenticate situazioni analoghe—come quella dell'Aquila—da parte delle istituzioni possa avere un impatto negativo sulla psiche di chi ha perso tutto quello che aveva.
Incide, al momento, nel senso della paura che questo possa accadere: vedere gli esiti di altri terremoti ed eventi simili, e quello che tutt'ora è in corso all'Aquila, ha un impatto molto, molto negativo. Naturalmente, soprattutto chi opera con la Protezione Civile e noi che siamo ONLUS e quindi siamo professionisti ma volontari, cerca sempre di esserci per quello che può essere utile. Poi il resto anche noi possiamo solo sperare per il meglio.

Se siete vittime del terremoto e avete bisogno di aiuto psicologico, o volete dare una mano con i soccorsi, scrivete alla SIPEM Sos Federazione qui o qui.

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