A est del sole, a ovest della luna

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A est del sole, a ovest della luna

Il nuovo progetto di Ahndraya Parlato e Gregory Halpern contiene una serie di foto scattate esclusivamente durante solstizi o equinozi, per "navigare facendo affidamento su due punti costantemente mutevoli".

Se dovesse capitarti di risvegliarti in un ospedale, disorientato, il dottore ti farebbe tre domande: ​​1) Come ti chiami?
​2) Sai dove sei?
​3) Sai in che anno siamo?

Identità, spazio e tempo: le tre dimensioni fondamentali dell'orientamento, i nuclei che mantengono salda la nostra coscienza esistenziale. Senza una risposta a queste domande ovvie ci troviamo senz'ancora e non siamo che zattere alla deriva. E quando ci troviamo in questo stato ci facciamo prendere dal panico perché vengono improvvisamente meno gli elementi epistemologici costitutivi della nostra esistenza.

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Ovviamente nel corso della storia molti personaggi noti per la loro intelligenza si sono posti delle domande circa la propria identità o la propria collocazione spazio-temporale. Molti grandi artisti, filosofi, scienziati, teologi o anche semplicemente persone qualunque che hanno passato almeno una parte della loro vita a riflettere sull'esperienza umana hanno scoperto che queste ancore non sono poi così pesanti. Nel progetto East of the Sun, West of the Mooni fotografi Gregory Halpern e Ahndraya Parlato hanno lavorato con ancore sufficientemente pesanti da non perdersi in mare, ma abbastanza leggere da offrire loro uno spazio da esplorare.

Il lavoro è composto da una serie di fotografie scattate esclusivamente durante solstizi o equinozi perché a Halpern e Parlato "piaceva l'idea di navigare facendo affidamento su due punti costantemente mutevoli" e perché volevano cercare di dare voce, attraverso l'immagine, alla differenza tra "l'ora percepita esteriormente" e quella "percepita interiormente." È chiaro quindi che la scelta dei solstizi e degli equinozi non è dettata solo da ragioni estetiche, ma vuole essere una vera e propria riflessione sul nostro senso dell'orientamento.

Il punto è che se usiamo punti di riferimento mutevoli non siamo in grado di orientarci. Quando ci spostiamo siamo abituati a usare punti fissi per ritrovarci e collocarci nello spazio. Cerchiamo la Stella Polare, le montagne immobili, ci fissiamo su quegli unici elementi che permangono stabili in un ambiente che è in costante mutazione.

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In East of the Sun, West of the Mooninvece, l'immaginario rappresentato da Halpern e Parlato mira a dimostrare che questi elementi stabili sono in realtà mutevoli. Non vogliono semplicemente dirci che in un grande universo tutto è in costante movimento, ma stanno cercando di dimostrarci che la nostra capacità di stabilire chi, quando e dove siamo è strettamente legata a punti di riferimento che, a loro volta, sono tali perché si riferiscono ad altri punti di riferimento, che si riferiscono ad altri punti di riferimento e così via. In queste foto Halpern e Parlato giocano con lo spazio e con la luce, ma soprattutto giocano con una teoria vagamente einsteniana secondo cui nessuno di noi è davvero radicato nel punto in cui si trova. O forse giocano con l'idea che in fondo siamo tutti alla deriva e che l'unico orientamento possibile è quello dato dal condividere questa situazione con gli altri.

Ma al di là di queste riflessioni esistenzialiste, il progetto è attraversato da una sincera curiosità. Perfino le immagini pregne di terrore e dolore—come quella dell'uomo inerme, con la testa bassa, seduto al tavolino di un self-service dell'aeroporto, o quella della folla che osserva ciò che potrebbe essere allo stesso tempo un tramonto o un terribile incidente stradale—non trasmettono alcuna ansia. Le scene rappresentate sono ancora più statiche e immobili di quanto non lo siano già di per sé le fotografie.

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Forse la quarta domanda che dovrebbe porre il medico al paziente disorientato dovrebbe essere più aperta: "Cosa ti ancora a questo posto?"

Ma East of the Sun, West of the Moonnon è il progetto che finge di poter rispondere a questa domanda. Il suo spessore risiede in quella inspiegabile e misteriosa somiglianza che si stabilisce tra il soggetto (equinozi e solstizi) e il mezzo che Halpern e Parlato utilizzano per immortalare questo soggetto (cioè la fotografia). Una fotografia particolare, così come questi giorni particolari dell'anno sono dei fenomeni nel vero senso del termine. Entrambi infatti sono il risultato di un numero infinito di parti che si muovono casualmente e che si combinano in un modo singolare che dona senso al risultato finale.

Ma che dire allora degli altri 361 giorni dell'anno, o di quelle innumerevoli fotografie brutte che vengono spesso eliminate? Si tratta di prodotti composti da parti disorganizzate, di dati leggibili ma completamente privi di significato. Ma durante quattro giorni su 365, così come durante 4 scatti su 365, accade qualcosa di straordinario: i diversi elementi si combinano e si mischiano tra loro come se fossero parte di un disegno.

Apparteniamo ad una specie strana che è per natura attratta da ciò che riesce ad afferrare e a controllare con la forza delle mani o con quella del pensiero. Per questa ragione, in un mondo fatto di punti di riferimento mobili e mutevoli, ci sentiamo disorientati. Se ci sono punti fissi da trovare o elementi costanti grazie ai quali orientarsi, probabilmente si scoprono proprio nei momenti in cui tutto quel movimento arbitrario produce qualcosa di ancora più straordinario—quando cioè tutto il movimento ci porta a comprendere.

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Di seguito trovate una selezione di foto di Ahndraya Parlato e Gregory Halpern dal loro nuovo libro ​East of the Sun, West of ​the Moon, pubblicato da Études Studio. 

Gideon Jacobs è il direttore creativo di Magnum Photos. Seguilo su Twitter.