Clienti ristoranti stellati
Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati. Da sinistra: Manfredi Franco, Alberto Rigolio e Dario Giulitti, Asahi Super Dry Marketing Manager
Cibo

Chi sono le persone che spendono un sacco di soldi nei ristoranti stellati?

Esiste gente che come passione ha quella di andare per ristoranti stellati (e non). E spendono centinaia e centinaia di euro al mese per mangiare lì.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

"Usciamo 2/3 volte a settimana, tra Milano e dintorni, con un gruppo di amici appassionati come noi. D’estate invece ci facciamo un viaggio, ad esempio siamo stati a El Celler De Can Roca."

La Guida Espresso 2020 è una delle numerose guide che ogni anno in autunno sancisce i migliori ristoranti italiani. Oltre ad attribuire punteggi ai ristoranti - con il sistema dei “cappelli”-, l'Espresso assegna premi a chef, maître… e ai clienti. È l'unica guida che lo fa.

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Da qualche anno il direttore Enzo Vizzari ha deciso di creare il premio al Cliente dell’Anno. Sono gli chef stessi a fare i nomi dei clienti che per loro lo meritano: quelli che si sono fatti conoscere nel mondo dell’alta ristorazione grazie alla frequenza delle loro visite, alla loro competenza, alla loro educazione, alla loro simpatia. E al fatto che pagano. Sempre. Scontato? Affatto.

Mi metto alla gogna io per prima: spesso in un ristorante non pago. Perché mi hanno invitato, perché conosco lo chef, perché sono lì per un evento. Se avessi frequentato solo ristoranti in cui potevo tirare fuori il portafoglio, mi sarei preclusa un ampio numero di esperienze gastronomiche che hanno accresciuto la mia competenza (peraltro tuttora limitatissima, eh) e mi hanno permesso di costruirmi una parvenza di carriera in questo settore. Inoltre, i ristoranti non sono tutta la mia vita. Sono il mio lavoro, sono una passione, ma non sono la mia Passione con la P maiuscola.

E invece lo sono per clienti come Alberto Rigolio e Manfredi Franco, che nel 2019 hanno vinto il premio “Asahi Super Dry - Cliente dell’anno". Lavorano in tutt'altro settore (il primo nell'azienda di famiglia di arredamento, il secondo è un avvocato). Vivono a Milano e hanno creato un gruppo di amici con cui vanno spesso fuori a cena - portandosi dietro la sagoma di cartone di Manfredi, ormai diventata un personaggio social, che lo sostituisce quando non riesce ad esserci, comparendo in numerose foto con gli chef, e che è salita con loro sul palco a Firenze in occasione della presentazione della guida.

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Questi due ragazzi provano le novità, seguono i cambi di menu, parlano con gli chef e con il personale di sala. Fanno quello che dovrebbe fare un buon giornalista (il mestiere di critico lo mettiamo in un'altra categoria, visto il teorico anonimato che dovrebbe avvolgerlo), ma lo fanno senza velleità di farne un lavoro, e soprattutto a spese proprie.

MUNCHIES: Perché siete così fissati col cibo?

Alberto: Alla mia famiglia piaceva andare fuori a cena. Quando eravamo in viaggio cercavamo sempre il ristorante più buono in zona. Poi ho iniziato ad andare fuori con gli amici, la cosa è cresciuta gradualmente. Conoscendo gente come me abbiamo iniziato a cercare i posti giusti.

È una passione economicamente difficile da portare avanti?

Alberto: Ormai è diventata una parte fondamentale della mia vita. Di recente anche i miei genitori si sono resi conto che la cosa è lievitata: si sono resi conto di quanti souvenir - il libro dello chef, il menu - avessi accumulato dai miei viaggi. Però questo li ha fatti incuriosire e ora mi fanno molte domande! È una passione sana.

"Siamo la faccia buona della ristorazione. Vogliamo solo stare bene a tavola e fare quello che ci piace. Per me i ristoranti sono libertà e spensieratezza"

Ogni quanto andate a mangiare fuori?

Alberto: Esco 2/3 volte, ma in questa cifra comprendo anche il panino che compro al mercato. Poi con gli amici organizziamo anche l’uscita mirata, da prenotare in anticipo, magari fuori città, ma quasi sempre nel weekend; durante la settimana mangio a casa.

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Mi hanno chiesto di fare il critico: ho provato e non mi è piaciuto.

Perché gli chef vi hanno eletto a "clienti dell'anno" secondo te?

Cosa vi piace dell'andare al ristorante?

Alberto: Sembra una sviolinata, ma i posti dove torno più volentieri sono quelli in cui costruisci un legame, un’amicizia forte. Il fattore umano insomma. Tendo a tornare dove c’è qualcuno con cui fare due chiacchiere. Mi piacciono i posti dove c'è quella tensione a interessarsi al cliente, e a farlo interessare alla cena.

Qual è la cifra più alta mai spesa in un ristorante?

Manfredi: Meglio che non pensi al tempo e alle cifre che ci spendo [ride, NdR]. Direi una cena all’Osteria Francescana, lo scorso luglio, con Alberto: quasi 500 euro a testa.

Alberto: In questo momento non so dirti. Forse la Francescana? Comunque mai più di 500 euro. Certo è un bell’impegno, economico e logistico, perché anche i viaggi vengono "vincolati".

Qual è l’esperienza più bella mai fatta?

Manfredi: Sempre la Francescana. Ci sono stato 4 volte ma quest'ultima è stata nettamente la migliore, anzi, devo ringraziare il maître Giuseppe Palmieri per l’esperienza che ci ha fatto vivere. E poi una super cena da Antonino Cannavacciuolo.

Alberto: Il momento più emozionante in un ristorante è stato la mia seconda volta alla Francescana. Siamo stati benissimo, abbiamo mangiato benissimo, e quando abbiamo chiesto un piatto in più ci hanno portato i tortellini in brodo e quelli con la panna. Ai miei amici li hanno serviti nel piatto, a me hanno lasciato il pentolino. Quell'in più che fa la differenza.

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Quali sono i posti dove sogni di andare, adesso?

Manfredi: Ce ne sono così tanti! Quando sono in viaggio provo ogni posto in cui posso entrare. Durante le vacanze di Natale cenerò da Etxebarri e Azurmendi. Vorrei anche andare da Hiša Franko.

Alberto: Mi piacerebbe tantissimo l'Alchemist di Copenaghen ma prenotare è difficilissimo.

Hai mai pensato di farne un lavoro?

Alberto: Non credo di essere adatto a scrivere. Sono pigrissimo anche sui social. Non sopporterei l'avere una scadenza, le pressioni. Se mi capitasse un'opportunità potrei considerarla, ma come idea, ma la sentirei un po' come una forzatura. Poi io non sono interessato alle tecniche come Manfredi, sia nei piatti che nel vino. C'è gente più preparata da me.

Ecco, dopo aver parlato un paio d'ore di ristoranti, chef, cene, viaggi, non ne sono più così sicura, che nel settore esistano tante persone capaci di amare questo mondo più di loro.

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