App e consegne a domicilio: ansia ed euforia
Illustrazione di Alina Petrichyn

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Cibo

App e consegne a domicilio: ansia ed euforia

Per alcune persone app come JustEat e UberEats sono dei mezzi veloci per accaparrarsi la cena. Per altre sono solo fonte di ansia e senso di vergogna.
AP
illustrazioni di Alina Petrichyn
VC
traduzione di Virginia Cafaro

In seguito a una brutta ferita, Jim Perlingiero si stava preparando a passare tre giorni a letto e, come io stessa sono convinta, non pensava ci fosse nulla di male a ordinare quattro barattolini di gelato Ben&Jerry a domicilio. O almeno, così pensava fino a quando non ha visto l'espressione della donna che ha bussato alla sua porta.

Perlingiero, che vive ad Amsterdam e lavora come professore, così ricorda quella sua esperienza: "mi guardava come se nessun essere umano al mondo avesse davvero bisogno di fare un simile ordine, come se io fossi la persona più grassa e disgustosa al mondo. E io non sono né grasso né disgustoso, o almeno credo. Ma so che lei credeva non necessario ordinare così tanto gelato."

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Spesso chi ordina cibo via app si sente giudicato da chi, quelle stesse pietanze, le recapita poi alla porta. A dimostrarlo ci sono dozzine di post su forum dedicati, compreso un thread del 2014 su Reddit che chiedeva direttamente agli operatori di queste app di elargire le proprie opinioni sugli ordini recapitati. Forse avrete sentito parlare di questo thread perché, nel marzo dello stesso anno, un suo messaggio era diventato virale. Il post raccontava di un ordine di tre porzioni di mozzarella stick corredato da un onestissimo "per piacere, non giudicatemi. Sto passando una settimana davvero pesante."

Il processo solitario di selezione che avviene tramite app ormai popolarissime come JustEat o Foodora, o anche semplicemente tramite opzioni di consegna a domicilio, può essere quasi paragonato a un'esperienza voyeuristica nell'esatto momento in cui aggiungiamo il fattore "corriere". Questo senso di agitazione non cessa nemmeno al suono del citofono, perché è lì che iniziano a subentrare altri fattori.

Cosa ne penseranno i vicini? E i coinquilini? I sensi di colpa e vergogna interiorizzata aumentano e, come per qualsiasi altra cosa legata al cibo, si fanno forza grazie a tutta una serie di implicazioni sociali ed economiche.

"Non importa che si tratti di cibo spazzatura o super sano," spiega Tatiana Kuvardina, coach motivazionale e comportamentale che tratta specificatamente di abitudini alimentari. "Ambedue le tipologie di clienti possono sperimentare lo stesso stato di inquietudine, preoccupandosi del fatto che chi effettui un loro ordine o semplicemente si trovi dietro di loro in fila per pagare a un ristorante, possa giudicarli in base alle scelte alimentari. Chi ordina sempre lo stesso piatto teme di risultare noioso, mentre chi ne ordina tanto crede di passare per un pozzo senza fondo. Chi opta per dei piatti piccoli, invece, ha paura di risultare pigro e di far perdere tempo alla gente, o persino di passare per povero."

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Julia Hormes, psicologa, assistente professore di psicologia e direttrice del Health Behaviors Laboratory all'università di Albay, aggiunge che, in realtà, "non sbagliamo a credere che altre persone ci giudichino per quello che mangiamo." Hormes studia e lavora nel campo di quelli che vengono chiamati "food cravings", i desideri incontrollabili di determinati cibi, e mi rivela che le persone tendono a buttarsi su opzioni di cibo abbastanza stereotipate. Ad esempio è comune che le donne in gravidanza o in sindrome premestruale abbiano una voglia irrefrenabile di cioccolato. Tuttavia, continua Hormes, non c'è nulla di psicologico dietro a questi desideri. Si tratta piuttosto di strutture sociali che possono essere ricollegate a sentimenti di imbarazzo che alcune persone provano quando ordinano cibo d'asporto, e che si traducono in una domanda ben precisa: quello che "dovremmo" mangiare coincide con quello che effettivamente poi ritroviamo nel pacco ordinato?

"Le persone traggono conclusioni su chiunque in base alle scelte alimentari. Soprattutto se si tratta di donne."

Alcune persone, come il nostro amico amante dei mozzarella stick, giustificano le proprie scelte aggiungendo spiegazioni specifiche nella sezione delle "indicazioni speciali", legittimando i propri ordini con racconti di settimane stressanti o persino chiarendo che sì, per (quello che loro percepiscono essere) un ordine così ricco, hanno bisogno di un solo set di posate.

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Altri messaggi chiedono ai corrieri di sostituire lo scontrino della consegna a un bigliettino di scuse per la scelta di un cibo spazzatura rispetto a uno più salutare, asserendo si tratti di una sorpresa per un ricevente che ha appena trascorso una giornata "no".

"Le persone traggono conclusioni su chiunque in base alle scelte alimentari. Soprattutto se si tratta di donne," continua Hormes. "Chi consuma porzioni piccole viene visto come magro, mentre chi mangia cibo sano e buono è solitamente considerato più attraente e dalla spiccata morale etica." Stando alle ricerche del settore, però, questo modo di pensare non è etichettabile a chi il cibo lo consegna. "Credo che in realtà si tenda a far propri altrui pensieri che, in realtà, non lo sono."

E così arriviamo a Dan, che per lavoro consegna cibo d'asporto per un ristorante a Philadelphia. Tra una chiacchiera e l'altra è venuto fuori che, in effetti, lui qualche giudizio su alcuni ordini se lo lascia anche scappare, ma che perlopiù si tratta di valutazioni logistiche date dallo sbilanciamento fra quantità di cibo e bevande. "Ordinano una pizza grande e solo una bottiglia d'acqua. Quindi solo una delle due persone avrà sete?". Dan mi racconta anche che, assieme ai suoi colleghi, ha sviluppato un mondo parallelo di storie sui clienti abituali, basandone le sfaccettature su quello che riesce a decifrare dall'apparenza e dal contesto in cui vivono tali clienti.

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Tutto il resto, continua Pay, è abbastanza giustificabile, persino quando a richiedere una consegna a domicilio è chi abita al lato opposto del ristorante.

Gary Pay, un autista per l'azienda di consegne a domicilio Postmates, vive a Long Beach in California ed entra in modalità "giudizio" solo quando i clienti non lasciano mance. Mi racconta di come gli autisti siano sempre infastiditi dagli appartamenti o complessi abitativi intricati e poco funzionali, soprattutto quando si tratta di beccare le entrate giuste, e di come i clienti non cerchino nemmeno di venire (letteralmente) loro incontri. Tutto il resto, continua Pay, è abbastanza giustificabile, persino quando a richiedere una consegna a domicilio è chi abita al lato opposto del ristorante. "Una volta è capitato che il costo della consegna fosse più alto dell'ordine effettuato. È stato strano."

Effettivamente, non ci vuole un genio della matematica per capire che ordinare a domicilio implichi costi aggiuntivi. Moltissime app richiedono costi extra, mentre molti ristoranti prevedono invece costi di ordinazione minimi. Tuttavia, pure laddove l'aspetto finanziario non si traduce in un costo insostenibile, i sensi di colpa dati dalla consapevolezza di essere privilegiati possono instaurarsi ugualmente.

Anna e suo marito spesso lavorano da casa, in un bell'appartamento di un palazzo senza ascensore a Brooklyn. Dati i loro turni di 16 ore e la quasi totale assenza di negozi con cibi sani nei paraggi, Anna e il marito si ritrovano a ordinare i propri pasti a domicilio a cadenza giornaliera. Date le mura sottili del palazzo e il continuo su e giù dal pianterreno al loro appartamento, tutti i condomini sanno esattamente quando stiano mangiando qualcosa. "Abbiamo ricevuto un sacco di occhiatacce e sorrisi beffardi. 'Ordinate un sacco di cibo d'asporto, eh,' ci dicono. Sono persino arrivati a chiederci se ci capita mai di cucinare. È una sensazione fastidiosa. Abbiamo fatto i nostri conti e il cibo d'asporto ci fa risparmiare soldi e tempo, ma non la situazione di essere costantemente giudicati dai vicini. Il beneficio tratto viene così cancellato," mi rivela Anna.

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"La natura umana tende, per principio, a evitare le difficoltà e le situazioni spiacevoli. Di rimando, è in costante ricerca di tutto quello che è piacevole e facile."

Sapendo che molti dei loro vicini non godono del lusso di potersi permettere takeaway tutti i giorni, i coniugi si sentono irrimediabilmente in colpa. Sperano così di potersi trasferire presto in un vicinato munito di negozi di alimentari migliori, di modo da ricevere l'ispirazione e la motivazione adatta a cucinare qualcosa a casa.

Anche Marc Snitzer si ritrova a cucinare raramente in casa. Il suo coinquilino, invece, lo fa spesso. Nonostante vivano insieme da anni e di aumenti salariali sotto i ponti ne siano passati, quelli di Snitzer hanno visto un balzo ancora più sostanziale. Tradotto in cibo consegnato a domicilio, questo significa che per lui spendere $25 in spaghetti e polpette d'asporto non è un grosso problema. Quel che però lo infastidisce è come il suo coinquilino riesca sempre a far notare le mancate dote culinarie di Snitzer agli amici.

"Ho poca fiducia nelle mie abilità, sentirmi inadeguato mi crea ansia. Penso che ordinare cibo d'asporto sia diventata quindi una dipendenza. Non so se sia la pigrizia o se sia il senso d'inadeguatezza a frenarmi dal fare le cose, cucinarmi un pasto completo incluso. Piuttosto che cercare di scardinare questa questione venendone a termini e, magari, sentendomi un fallimento, preferisco non affrontarla," racconta Snitzer.

A tal proposito Kuvardina ha qualcosa da dirci. "La natura umana tende, per principio, a evitare le difficoltà e le situazioni spiacevoli. Di rimando, è in costante ricerca di tutto quello che è piacevole e facile. Non amiamo quando qualcuno ci fa notare le nostre imperfezioni. Se, ad esempio, cucinare viene ritenuta un'abilità non vitale e facilmente raggirabile, allora è facile che chi può permetterselo si 'procacci' cibo altrove piuttosto che cucinarlo."

Ritornando a Jim Perlingiero, sappiate che non ha più ordinato Ben&Jerry d'asporto. Non ha però comunque rinunciato totalmente alle consegne a domicilio. Quello che ora fa, invece, è contare sempre il numero di buste e pacchi delle consegne che gli amici hanno buttato nei cestini di casa propria.

"Mi fa sentire meglio. Sento di non essere il solo, l'unico. Non c'è vergogna in questo."