FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Com'era l'East London prima che lo rovinaste

Quando sono arrivato l'East London era una terra desolata piena di potenziale. Oggi quel vecchio bastardino trasandato è diventato il buco di culo pettinato di un barboncino, e non ha più posto per me.

Un negozio dell'East End nel 1978 (Foto via)

"'Quando mi paghi?' dicono le campane di Old Bailey. 'Quando sarò ricco,' rispondono quelle di Shoreditch." Così recita la filastrocca popolare Oranges and Lemons. Nell'immaginario comune, questo è il ruolo che Shoreditch ha sempre avuto: il cuore dell'East End, l'angolo buio della città, quello che i vittoriani chiamavano "The Abyss", con i sui mangiatori di zuppe di piselli, Jack lo Squartatore, Elephant Man e i gemelli Kray.

Pubblicità

"Quando sarò ricco." Il monolocale sotto al mio appartamento è appena stato venduto per mezzo milione di sterline. Da tempo ormai non riesco più a far quadrare l'affitto con la mia comprensione delle leggi dell'universo. Il che mi dice che il fatidico giorno della filastrocca è decisamente giunto, e che la fase di transizione per arrivare a quel punto—i tempi rilassati della creatività e del colore che hanno segnato l'East End durante i miei giorni qui—si è completata. L'inevitabile conclusione è che questo peculiare stile di vita che ho tanto amato ha i giorni contati.

Quando sono arrivato qui, l'East London era una terra desolata piena di potenziale. Io ero giovane, e Shoreditch sembrava un luogo dove tutto era possibile, con i marciapiedi pieni di spazzatura fino allo Sclater Street Market e un cartello che recitava ALCOL ECONOMICO a grandi lettere dipinte a mano sopra una macchina bruciata. Non riuscivo a credere alla mia fortuna: avevo trovato una periferia abbastanza trascurata da potermi permettere il lusso di vivere in Zona 1 mantenendomi con lavoretti part-time, in una terra di nessuno dove le regole normali sembravano non valere.

All'ora di pranzo mi svegliavo nell'ufficio con la moquette grigio acrilico in cui vivevo, su Rivington Street. Ci voleva di più per scendere tutte le scale fino al piano terra che per raggiungere il Bricklayer's Arms, che a quel tempo era poco più di uno sgangherato pub di paese. Era il tipo di quartiere dove uscivi per comprare un litro di latte nel tuo giorno libero e tornavi a casa barcollando a mezzogiorno del giorno successivo.

Pubblicità

Facevo anche il tipo di lavoro che mi lasciava spazio sufficiente per scrivere il mio primo romanzo, in quei pomeriggi mezzi morti, dove al posto dei modaioli e degli svedesi c'erano degli uomini coperti di stracci e proprietari di fabbriche che sembravano Sid James. Solo Dio sa dove saranno finiti, ora che i loro laboratori clandestini sono diventati gastronomie sarde. Ci sono voluti tre anni per scrivere quel libro, tre anni di lavoro distratto, tant'è che alla fine mi hanno licenziato. Era quel tipo di lavoro.

In realtà a Shoreditch in quei giorni nessuno aveva un lavoro vero. Avevano tutti dei progetti e dei lavoretti qua e là, ma non ricordo molte persone con un impiego da ufficio. Sarebbe stato impossibile: sembrava che non si dormisse mai. Girava la storia di un tizio che era caduto dal balcone del settimo piano durante una festa, era atterrato sopra al tettuccio di una cabrio, si era spolverato i vestiti ed era tornato alla festa. Quelle non erano persone la cui priorità era scalare il mercato immobiliare. Non erano i padri di famiglia con le biciclette che hanno mumfordizzato l'East End al giorno d'oggi.

Mi sembra così strano pensare che quando mi sono trasferito qui, i miei amici di Camden non avevano nemmeno idea di dove fosse Shoreditch. Ma allora tutto era sconosciuto—non c'era nulla da vedere, solo una serie di vecchie fabbriche fatiscenti, molte ancora sfondate e senza tetto. Non esistevano dei supermercati, e trovare del cibo che non fosse un Mars o un Bounties era un'impresa. Shoreditch a quei tempi non era user-friendly come lo è ora. Era ostile, e questo era per l'appunto il suo forte.

Pubblicità

Hoxton Square era piena di buche, veri e propri crateri lasciati dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale, particolarmente pericolosi per tutti gli ubriachi che ci inciampavano durante le serate buie. C'era un buco di dimensioni simili in uno dei magazzini di Charlotte Road che per un certo periodo ospitò una galleria d'arte, per poi diventare il punto vendita principale di una nota multinazionale di jeans. Il destino di quel buco è il destino del quartiere in generale.

Il Bricklayer's Arms così com'è oggi (Foto via)

L'altro giorno sono passato davanti al mio vecchio appartamento, o almeno al luogo in cui sorgeva lo stabile. La mia vecchia casa è scomparsa, rasa al suolo e sostituita con il colossale pilone del "Ginger Line", il ponte in stile Dubai. Il quartiere è stato sacrificato alle infrastrutture emergenti della metropoli del ventunesimo secolo. La lunga serie di fabbriche fatiscenti è stata sostituita dalla stazione di Shoreditch, un colossale parallelepipedo in cemento a vista figlio dell'austera architettura in stile bunker che sembrava così futuristica negli anni Novanta.

Old Tom, l'uomo coperto di stracci a cui servivo casse di birra all'ora di pranzo al Brickies, tira ancora a campare in zona. Vende chincaglieria nell'unico fazzoletto di terra rimasto, all'ombra della monorotaia e del club con l'infinity pool. Tom è stato bandito dal Brickies poco dopo che i nuovi proprietari avevano messo un po' di arachidi e olive sul bancone per cercare di renderlo un bar figo. Tom si cagò addosso, mise la mano nei pantaloni e poi nella ciotola, ottenendo così il divieto d'entrata a vita. La parte divertente è che ha seguito i modaioli più a est e l'hanno avvistato su Broadway Market a puntellare il Cat & Mutton.

Pubblicità

Sto cercando di non farne un dramma, ma più un'accettazione della traiettoria inevitabile verso il futuro post-industriale di Londra. Forse Shoreditch è diventato quello che era sempre stato destinato ad essere. Un centro scintillante dove i treni scivolano sopra a ponti un tempo abbandonati e gocciolanti, dove il vapore si leva nuovamente nel cielo sopra ai grattacieli, dove HoxDitch è diventata la nuova SoHo e TriBeCa.

La Streetfest di Shoreditch nel 2012 (Foto di Joshua Haddow)

Ma non posso fingere che non mi rattristi camminare in posti come Boxpark. Quei container accatastati mi sembrano l'ultimo ammonimento del cul-de-sac in cui si è infilata la cultura della moda e del consumismo. Tutti questi marchi che fingono, tutti allo stesso modo, di essere contro-cultura: "L'altro nostro punto vendita è a Westfield," esclamerà inevitabilmente il commesso. Sembra il prossimo set di X-Factor, con l'inevitabile RnB-pop sparato a tutto volume.

Non posso neanche far finta che non mi irriti. Il fallimento creativo e la vacuità dell'epoca in cui siamo intrappolati trova la sua massima e perfetta incarnazione in questi stronzi che riempiono le pagine di Grazia, a spasso con i loro altrettanto inquietanti amici conduttori televisivi, pavoneggiandosi come se il posto fosse di loro proprietà. Il peggio è che in realtà lo posseggono davvero, fino all'ultimo appartamento di lusso—case così nuove che somigliano a simulazioni al computer, stanze così pulite e senz'anima da sembrare uscite direttamente da Minecraft.

Non c'è niente da fare: questo vecchio bastardino trasandato è diventato il buco di culo pettinato di un barboncino. Nella Shoreditch 2.0 non c'è più posto per me, e suppongo che mi limiterò a spingermi più lontano, molto più lontano, oltre al noioso tocco di Midas per le Olimpiadi che ha segnato il destino di Hackney, verso i quartieri di merda di cui nessuno ha mai sentito parlare. E mentre me ne vado in giro per questi posti mi ricordo di un vecchio sentimento, della sensazione che il mondo intero in tutta la sua bellezza disordinata si sia stipato nelle strade di Londra, con tutta la complessità caleidoscopica e le collisioni che ne risultano, e mi ricordo cosa mi piaceva tanto dell'East End—una sensazione che mi manca, e che di tanto in tanto, quando ci penso, mi fa venire i brividi.

Michael Smith è uno scrittore, regista e giornalista. È autore di tre opere di narrativa, The Giro Playboy, Shorty Loves Wing Wong e Unreal City.