Ocd
Illustrazione di Calum Heath.

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Salute

Le tante ossessioni che puoi avere col disturbo ossessivo-compulsivo

Non esiste una gerarchia della sofferenza, non ci sono ossessioni più gravi di altre. L'ossessione peggiore che tu possa avere è quella che hai in questo momento.

Qual è la prima cosa che ti viene in mente quando senti parlare di disturbo ossessivo-compulsivo? Forse la mania per l’ordine, la tendenza a posizionare gli oggetti in modo simmetrico, o forse pensi a chi si lava le mani continuamente, conta i propri passi o controlla di continuo se i fornelli sono spenti.

In realtà, l'OCD può manifestarsi in qualsiasi forma di pensiero ossessivo persistente e invasivo che provoca ansia, ed è generalmente associato a un comportamento che cerca di allontanare quest’ansia. La portata di questo tipo di disturbi può andare ben oltre la paura dei germi o il conteggio dei passi. Alcune ossessioni sono più difficili da affrontare e in alcuni casi più complesse da individuare, anche quando ci si rivolge a specialisti.

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Io ne ho sofferto sin da bambina, ma la diagnosi è arrivata solo a 26 anni. Ho avuto i sintomi più classici, come la necessità di lavare le mani in modo compulsivo per paura di germi e malattie, e altri sintomi meno comuni, come la fissazione per alcune funzioni involontarie del mio corpo, nel mio caso la deglutizione. Comunque si manifesti, l'OCD è un disturbo che si basa sul dubbio, la paura e l’incertezza.

Un terapeuta una volta mi disse che non esiste una gerarchia della sofferenza, non ci sono ossessioni più gravi di altre. L'ossessione peggiore che tu possa avere è quella che hai in questo momento.

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Calum Heath

Tra le forme più rare in cui si manifesta il disturbo ossessivo-compulsivo c'è quella che gli esperti definiscono hyperawareness: è un’ossessione che si sviluppa nei confronti di una determinata parte del corpo o funzione involontaria del nostro organismo.

Ogni mattina per 25 anni, il primo pensiero di Christopher Weston appena sveglio è stato: “Sto sbattendo le palpebre?” E questo pensiero, generalmente, lo accompagnava durante tutta la giornata. Stava sempre pensando alle sue palpebre? E adesso? Avrebbe pensato alle sue palpebre per sempre? Avrebbe davvero passato tutta la sua vita a pensare alle palpebre?

“Pensavo che sarei diventato matto,” mi dice. “Temevo che sarei finito in un centro, e che quella sarebbe stata la mia vita. Ero convinto che da lì a dieci anni sarei stato ancora a pensare a sbattere gli occhi.”

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Quando Weston aveva circa 20 anni, il lavoro l’ha portato a contatto con persone che soffrivano di schizofrenia. Uno di loro, per esempio, era convinto di avere dei cavi lungo il collo, e questo ha spinto Weston a concentrarsi e a pensare al suo stesso collo. Poco dopo, si è trasformata in un’ossessione, come se il colletto della camicia gli stringesse il collo. “Mi ha provocato molta ansia, perché non avevo idea di cosa significasse,” dice. “Dentro di me pensavo, ‘Perché sto pensando a questa cosa così intensamente?’” Quando è iniziata l’ossessione delle palpebre, quella poi è rimasta.

Weston ha cercato aiuto, ma non ha trovato terapeuti in grado di capire quello che gli stava succedendo. “Non capivano cosa fosse,” mi dice. “Nessuno mi aveva parlato di OCD e di hyperawareness.”

Quando digitava i sintomi su Google, “sbattere continuamente le palpebre,” il motore di ricerca restituiva pochissimi risultati. Quando ne parlava nei gruppi di ascolto, le altre persone che soffrivano di OCD non riuscivano a capire. “Tutti pensiamo che sia talmente strano, che ce lo teniamo per noi fino a quando qualcun altro non ne parla apertamente.”

Per quanto mi riguarda, mi ricordo il momento preciso in cui ho iniziato a pensare all’atto di deglutire. Era nel 2015, e io stavo facendo uno stage presso la redazione di un magazine. Stavo mangiando della zuppa.

Questo succedeva un anno prima della diagnosi di OCD, e all’improvviso la sensazione di deglutire era diventata vivida, inevitabile, pensavo a ogni singola deglutizione in modo ossessivo, e avevo l’ansia al pensiero di scoprire quando e come sarebbe stata la deglutizione successiva. A un certo punto le cose sono peggiorate e io ho iniziato a isolarmi in pausa pranzo, mangiare in pubblico mi provocava troppo stress. Pochi mesi dopo, però, il disturbo è sparito magicamente. Mi ricordo anche esattamente cosa stavo mangiando in quel momento: stavo mangiando uova sode e croissant con un amico; era la prima volta che mangiavo di fronte a qualcuno dopo mesi.

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La mia ossessione per la deglutizione non è più ricomparsa fino alla fine del 2016, ma poi è tornata. Quando mi hanno diagnosticato l'OCD per altri sintomi, come ossessione da contaminazione e perfezionismo, nessuno mi ha parlato dell’hyperawareness e di come quella fosse un’ossessione a sé. In terapia, cercavo di pranzare di fronte al mio terapeuta per superare l’ansia della deglutizione, e quell’esposizione in un luogo sicuro aveva aiutato, ma non è comunque mai sparita del tutto.

Jon Hershfield, psicoterapeuta e direttore dell’OCD and Anxiety Center di Baltimora, mi dice che l’hyperawareness e le ossessioni sensomotorie sono ossessioni dell’attenzione. In qualsiasi momento, al tuo cervello arrivano segnali di quello che succede nelle diverse parti del tuo corpo, tipo dove sono le tue mani, come va il battito cardiaco, e se il tuo stomaco è pieno oppure no. Ma la maggior parte delle persone non presta attenzione a queste cose. Tutti deglutiscono e sbattono le palpebre, ma quasi nessuno ci pensa mai.

Ma quando inizi a pensarci—anche se non soffri di OCD—questi processi involontari possono accentuarsi. “Inizi a renderti conto che è abbastanza strano che tutti noi facciamo queste azioni, ma non abbiamo controllo su di esse,” dice. “Alcune persone che soffrono di OCD, rimangono intrappolate in quello stato di hyperawareness delle parti del proprio corpo, o di alcuni segnali che arrivano al cervello.”

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Per la maggior parte dei suoi pazienti, dice Hershfield, l’ansia è generata dalla paura di non riuscire mai più a smettere di concentrarsi su quelle azioni involontarie, come il fatto di sbattere le palpebre, deglutire o respirare. “Ovviamente più ci fai caso e osservi queste azioni involontarie, più ti sembra impossibile riuscire a smettere di pensarci,” spiega. E questo produce molte altre ossessioni collegate: e se divento pazzo? E se non riuscissi più a concentrarmi su nient’altro? E cosa succederebbe se non mi ricordassi più come ci si sente a non pensare a queste cose?

Brian, 30 anni, mi dice che io sono la prima persona che incontra con questo tipo di ossessione. “Onestamente, sono tanti anni che parlo con persone che soffrono di OCD e ascolto i consigli di tutti, ma questa non mi era mai capitata,” dice.

Brian soffre di disturbo ossessivo-compulsivo da quando ha 13 anni. Ha iniziato con pensieri intrusivi, ricorrenti, e la necessità di dover ripetere alcune parole. All’inizio pensava fosse solo una fase, che sarebbe passata con il tempo. Ma più gli anni passavano, più i sintomi peggioravano, fino a quando Brian si era deciso a parlarne con i propri genitori, “Penso di avere qualcosa che non va.” Poco dopo, un consulente gli avrebbe diagnosticato il disturbo ossessivo-compulsivo.

Un giorno, Brian ha notato un neo sul fianco e ha realizzato che non l’aveva mai visto prima. Il neo è diventata la sua nuova ossessione. “È diventato un pensiero costante, di cui non riuscivo a sbarazzarmi,” dice. “Ero ossessionato da quel neo, e lo sono ancora oggi, onestamente.”

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Il suo timore, dice Brian, era che non sarebbe mai più riuscito a pensare ad altro oltre a quel neo, e il fatto che il neo fosse parte del suo corpo non faceva che accentuare il tutto. “Il corpo è sempre con te, qualsiasi cosa tu faccia,” dice. “Sarà sempre lì. Quindi la paura è che l’ossessione ti possa perseguitare per sempre.”

Come spiega Hershfield, non è che Brian abbia paura del neo—la sua ossessione nasce dalla paura di pensare sempre al neo, con il rischio di non riuscire mai a toglierselo dalla testa. Hershfield dice che l’elemento della paura e del dubbio è proprio quello che conferma che questo è un disturbo OCD come tutti gli altri, anche se più raro.

Hershfield dice che la combinazione tra esposizione, ACT (terapia dell’accettazione e dell’impegno) e mindfulness aiuta molto i suoi pazienti. All’inizio, la mindfulness potrebbe sembrare un metodo contraddittorio: stare lì seduto senza fare nulla a pensare al respiro o ai movimenti del tuo corpo. Eppure, Hershfield dice che c’è molta differenza tra l’osservazione consapevole del nostro comportamento, senza cercare di interferire con esso o modificarlo, e un approccio più attivo di pensare al respiro o alla deglutizione cercando di farlo nel modo “giusto.” Quello che cerca di fare Hershfield è insegnare alle persone a essere meno severi con se stessi riguardo alle proprie esperienze e sensazioni.

In terapia, Brian aveva cercato di guardare foto del suo neo, scrivendo poi quello che lo faceva sentire più a disagio, ed esponendosi ai propri stessi pensieri. Ma a volte, quando gli sembrava di avere il controllo sul neo, spuntavano nuove parti del corpo a catturare la sua attenzione. Per un periodo, per esempio, è stato l’ombelico.

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Brian dice che l’unico modo che gli dà un po’ di sollievo è cercare di accettare i suoi pensieri. “Devi arrivare al punto in cui pensi, ‘Fanc*lo’, e non te ne frega più nulla, anche se ci pensi ancora,” dice.

Certo è più facile a dirsi che a farsi. E il problema non va sottovalutato poiché è effettivamente molto destabilizzante per chi ne soffre, anche se all’apparenza potrebbe sembrare banale. Weston e Brian prendono entrambi dei farmaci per tenere sotto controllo i sintomi.

Dopo 25 anni di percorso, Weston ha trovato sollievo dalla sua ossessione da circa cinque anni. Ora ha 52 anni. Ci sono giorni in cui non pensa mai a sbattere le palpebre, nemmeno una volta. “A volte torna per un paio di giorni, e mi dà un po’ fastidio, ma non come prima,” racconta.

La più grande difficoltà per chi soffre di hyperawareness, spiega Weston, è che quasi nessuno dei terapeuti è in grado di capire, e che soltanto gli studiosi specializzati possono offrire supporto. Hershfield è d’accordo, e conferma che spesso i suoi clienti provano un forte senso di isolamento. Non avevo mai pensato che altre persone potessero essere ossessionate dalla deglutizione, ma poi ho scoperto che questa ossessione specifica è la terza forma di ossessione sensomotoria più diffusa.

Non avendone parlato per così tanto tempo, dice Weston, ora non gli interessa nemmeno quello che pensa la gente. Adesso è in pensione, ma è tornato a studiare per ottenere una laurea in Family Therapy, con cui vorrebbe aiutare le altre persone che soffrono di OCD. Dopo la nostra telefonata, Weston mi ha scritto una mail dicendo che se mai avessi avuto bisogno di parlare di deglutizione, lui c’era. “Se io sono migliorato,” mi ha scritto, “tutti possono farlo.”