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salute

Quando il sesso è così doloroso da non riuscire a farlo

Si chiama vulvodinia, colpisce il 15-18 percento delle donne almeno una volta nella vita ed è il momento che i medici comincino a prenderla sul serio.
Immagine via Wikimedia Commons.

I problemi sono cominciati quasi cinque anni fa, durante un susseguirsi di terribili cistiti, racconta Luana, 24 anni, della provincia di Sassari: “Prima era soltanto un po’ di fastidio. Poi è piano piano aumentato, fino ad arrivare ad oggi che non riesco ad avere rapporti sessuali perché sono dolorosi.”

Dopo una serie di trattamenti gli antibiotici avevano smesso di fare effetto, gli esami non rilevavano alcuna infezione batterica, eppure i bruciori e i dolori non passavano, anzi erano diventati continui. “Il mio medico di famiglia—che meno male è andato in pensione—mi aveva detto che se non passavano mi restava soltanto di andare a Lourdes," ricorda.

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Un altro medico a cui si era rivolta, un ginecologo, aveva liquidato la questione come una sua “fissa”, un problema di natura esclusivamente psicologica. “È stato devastante,” commenta. “Un professionista sa quello che dice, e io devo affidarmi a chi ho davanti perché non ho le competenze per farmi un’idea mia. Ho affrontato un bruttissimo periodo perché pensavo di essere io la responsabile.”

Il dolore sessuale femminile può avere origini diverse e può insorgere—temporaneamente—ad esempio a causa di infezioni e dermatiti; tuttavia, di fatto la problematica che più frequentemente causa difficoltà nei rapporti sessuali è la vulvodinia. La vulvodinia è una condizione che coinvolge le terminazioni nervose dell’ingresso della vagina causando fastidi, bruciori e dolori, soprattutto al momento della penetrazione, spiega il dottor Filippo Murina, ginecologo e responsabile del servizio di patologia del tratto genitale inferiore all’Ospedale Buzzi di Milano.

Luana è una delle tante affette da questa dolorosa ipersensibilità, che colpisce il 15-18 percento delle donne almeno una volta nell’arco della vita, anche secondo i primi risultati degli studi condotti in Italia dal dottor Murina. Una condizione non così isolata, quindi, di cui però si sente ancora parlare poco—anche all’interno della comunità scientifica, dove i dati rimangono scarsi e l’interesse sembra ancora piuttosto basso. “Pochi medici la conoscono e ancora meno la sanno curare,” ammette. Secondo lui, da un lato, vi è probabilmente ignoranza, dall’altro, persiste la tendenza a considerarla erroneamente un disturbo prettamente psicologico.

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La vulvodinia non ha una singola causa, ma esistono fattori che, una volta sommati nel tempo e sovrapposti, possono indurla. E se tra questi, è vero, si contano anche ansia e depressione, d’altra parte la malattia stessa può avere conseguenze negative sull’umore e lo stato psicologico della paziente.

Sara* ha 32 anni e sconta dolori durante la penetrazione da quando ha perso la verginità a 17. “Andavo dai ginecologi e dicevo che provavo sempre dolore e bruciore al momento della penetrazione, e non c'era lubrificazione,” ricorda. “Molti ginecologi [che ho consultato] dicevano che era una cosa psicologica, mi dicevano di usare un lubrificante e finiva lì.” Solo a dieci anni dall'insorgere dei primi sintomi è riuscita a trovare qualcuno che riconoscesse il suo problema e presentasse una terapia.

“Da sei-sette mesi a questa parte ho avuto rapporti che non avevo più da dieci anni,” racconta—aggiungendo che sta da 11 anni con l'attuale ragazzo. Ma precisa: “Non è una cosa che avviene naturalmente, devo prepararmi con dei massaggi prima di avere un rapporto, perché sia piacevole anche per me; non può essere spontaneo come può esserlo per altri, ma è un buon compromesso per arrivare a una serenità di coppia.”

La cosa più difficile per Sara è stata elaborare il proprio disturbo alla luce degli stereotipi e delle aspettative che ogni ragazza sente sulla propria vita sessuale. “Il sesso oggi viene molto ostentato,” sostiene. "Io a 20 anni ero inibita rispetto alle altre; anche tra amiche, quando si parlava di sesso stavo sempre zitta, ascoltavo. Le altre ne parlavano in maniera strabiliante e per me non era mai stato così, quindi non era facile esprimermi.” La vulvodinia ha condizionato il suo modo di vedere le relazioni e il sesso. “Anche adesso, dopo la diagnosi, che ho trovato il coraggio di parlarne con qualche amica, mi sono sentita trattare come un’aliena. ‘Come hai fatto tutti questi anni?’ Mi sono sentita quasi in difetto, ancora.”

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Ad oggi, spiega Murina, esistono diverse possibilità di cura: farmaci, terapie fisico-riabilitative, trattamenti laser e nuove preparazioni che permettono di elaborare un programma personalizzato e raggiungere una risoluzione anche in tempi brevi, ovvero uno o due mesi. “Abbiamo molte affezioni, in ginecologia, per cui esistono linea guida: per quell'infezione prendi quell’antibiotico, per quella malattia prendi quel farmaco,” spiega Murina. “Nel caso della vulvodinia, invece, bisogna costruire un programma di cura personalizzato per una donna, per la sua età e le caratteristiche della sua malattia.”

Tuttavia, questo rende le terapie molto costose, a volte addirittura proibitive. A due anni e mezzo dai primi sintomi Luana è riuscita a ottenere la corretta diagnosi, ma non può curarsi come vorrebbe. “La prima volta ho seguito [la prescrizione] per tre mesi e stavo molto meglio. Sono riuscita ad avere un paio di rapporti senza dolore, ero molto sollevata,” racconta. “Poi, per questioni economiche, ho fatto una pausa di sei mesi [dalle cure] e sono regredita. Quando ho ripreso sono migliorata nuovamente, ma non ai livelli della prima volta.”

“La terapia è molto costosa,” concorda Valeria, 26 anni, di Bologna. “Gli integratori possono costare anche 30-40 euro a confezione, e una confezione mi dura poco più di due settimane.” A queste spese deve aggiungere quelle per le visite specialistiche private, e quelle per le creme anestetizzanti che la aiutano a gestire il dolore durante i rapporti sessuali.

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Nel caso di Valeria tutto è cominciato due anni fa, dopo una lunga cistite seguita da un'infezione da candida. "Sono finita in ospedale per dolori e sanguinamenti, sentendomi spesso sola perché mi pareva che dall'altra parte nessuno, nemmeno tra i professionisti, capisse il mio dolore,” racconta. Oggi sta finalmente cominciando ad avere una vita sessuale più regolare con il ragazzo con cui sta da quattro anni. “Sto molto meglio, ho ricadute ma ho le armi per affrontarle,” racconta. “Ma [la vulvodinia] mi ha segnata, perché al minimo bruciore penso che stia ricominciando e che ci rimetterò quasi due anni a guarire. Oppure, ogni volta che vado in un bagno—pubblico, di una mia amica o mio—sento il bisogno di disinfettare. A casa mia disinfetto il bagno in continuazione, soprattutto se ho ospiti.”

Pur non essendo la vulvodinia una malattia cronica, infatti, le pazienti rimangono comunque vulnerabili. Ovvero, se si ripresentano le condizioni che l’hanno scatenata la prima volta, è possibile che la malattia si ripresenti. Il vantaggio è che quando si sa di che cosa si tratta, è più facile interpretare i campanelli d'allarme e risolvere tempestivamente.

“La quotidianità di una persona affetta da vulvodinia è veramente frustrante,” conclude Murina. "La vulvodinia può limitare fortemente la vita di una donna, impedendole non solo di avere una vita sessuale e relazionale appagante, ma anche di indossare vestiti aderenti, andare in bicicletta, in alcuni casi anche fare una passeggiata"—tutte cose che possono causarle dolore. “Come si dice, ‘Di vulvodinia non si muore, ma nemmeno si vive’, e questo secondo me inquadra in maniera precisa cos’è questa malattia.”

*Il nome è stato cambiato per proteggere la privacy dell'intervistata.

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