Salute

Uno studio sulla cannabis ha smentito lo stereotipo del “fattone fancazzista”

Lo dice la scienza: chi fuma cannabis non è più pigro né meno motivato di chi non lo fa.
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT
Cannabis ed effetti sul cervello
Foto a scopo illustrativo. Foto: Photoholgic, Unsplash.

Le prove a nostra disposizione indicano che l’uso di cannabis non dimostra di avere alcun effetto sulla motivazione per chi la consuma a scopo ricreativo

Lo stereotipo del “fattone fancazzista” è da molto tempo il più usato nei media per dipingere l’immagine di chi usa la cannabis—ed è uno dei pilastri delle campagne anti-droga in tutto il mondo. Ma un nuovo studio ha introdotto l’idea che questa rappresentazione sia una semplificazione eccessiva ed errata.

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La ricerca, guidata dagli scienziati dell’Università di Cambridge, dell’University College London e del King’s College di Londra, pubblicata nell’International Journal of Neuropsychopharmacology ad agosto 2022, ha messo a confronto i livelli di apatia (perdita di motivazione) e anedonia (perdita di interesse o piacere nelle ricompense) di chi usa cannabis con quelli di chi non la usa, e stabilito tramite dei test se i primi siano meno disposti a fare sforzi fisici per ottenere una ricompensa rispetto ai secondi.

“Siamo così abituati a vedere il ‘fumatore pigro’ sugli schermi che non ci chiediamo nemmeno se sia una rappresentazione accurata di chi usa cannabis. I risultati che abbiamo raccolto dimostrano che questo non è più di uno stereotipo e che le persone che usano cannabis non sono più propense a essere meno motivate o più pigre di chi non la usa,” ha dichiarato Martine Skumlien, co-autrice dello studio.

La cannabis può essere ovviamente associata ad altri effetti psicofisici, a seconda di fattori come la varietà della pianta e le peculiari caratteristiche fisiche della persona che la consuma. Ma una comprensione più chiara di ciò che fa e non fa la cannabis può portare a una migliore comprensione di chi la usa e a modi più efficaci di parlare di questa pianta in generale.

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Lo studio ha coinvolto 274 adolescenti e adulti che consumano cannabis almeno una volta alla settimana e con una media di quattro giorni alla settimana nel corso degli ultimi tre mesi, e un gruppo di persone di pari età e genere che non usano cannabis. Con lo scopo di misurare apatia e anedonia, i partecipanti hanno assegnato un valore a delle frasi per indicare quanto apprezzano passare il tempo con amici e parenti, quanto sono interessati a imparare cose nuove e quanto sono propensi a portare a termine un lavoro iniziato.

I ricercatori hanno scoperto che le persone che usano cannabis non hanno riportato maggiori livelli di apatia né di anedonia rispetto alle persone che non la usano.

Anzi, le persone che usano cannabis sono risultate leggermente meno propense all’anedonia di quelle che non la usano, il che permette di ipotizzare che le prime siano maggiormente in grado di svolgere volentieri le attività menzionate rispetto alle seconde. Secondo gli autori dello studio, potrebbe essere perché le persone che tendono ad andare alla ricerca del piacere tendono anche di più a usare la cannabis. Ma gli autori hanno anche sottolineato che la differenza rilevata è piccola e va presa con le pinze.

Gli adolescenti, consumatori di cannabis e non, hanno riportato maggiore apatia e anedonia rispetto agli adulti. Questo suggerisce che gli adolescenti non siano più vulnerabili ai percepiti effetti negativi della cannabis degli adulti.

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I ricercatori non hanno rilevato alcun legame tra frequenza di utilizzo di cannabis e apatia o anedonia.

“Le prove a nostra disposizione indicano che l’uso di cannabis non dimostra di avere alcun effetto sulla motivazione per chi la consuma a scopo ricreativo. I partecipanti al nostro studio includevano anche utilizzatori che assumono cannabis quotidianamente e nemmeno loro erano più propensi a mancanza di motivazione,” ha detto Barbara Sahakian, un’altra co-autrice dello studio.

Tuttavia, Sahakian ha anche sottolineato che lo studio non può escludere la possibilità che un uso più frequente della cannabis, come in persone con disturbo da uso di cannabis, può avere effetti sulla motivazione.

Poco più di metà dei partecipanti hanno anche dovuto portare a termine alcuni test comportamentali. Il primo misurava la disponibilità a fare uno sforzo in cambio di una ricompensa. Ai partecipanti veniva data la possibilità di premere dei pulsanti per accumulare punti che poi avrebbero potuto scambiare con dei dolci da portare a casa. C’erano tre livelli di difficoltà e tre livelli di ricompensa: i punti venivano assegnati a chi accettava e completava i compiti richiesti. Più punti accumulati significavano una maggiore propensione del soggetto a esercitare uno sforzo per ottenere una ricompensa.

Il secondo test ha misurato il piacere che i soggetti derivavano dalla ricompensa. Ai partecipanti è stato prima chiesto di stimare quanto desideravano ricevere ognuna delle tre ricompense (30 secondi di una delle loro canzoni preferite, un pezzo di cioccolata o altro dolce e una moneta da una sterlina, equivalente a circa 1,14€) in una scala da “nessun desiderio” a “desiderio intenso.” Poi hanno ricevuto le ricompense e gli è stato chiesto di classificare il piacere provato in una scala da “nessun piacere” a “piacere intenso.”

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I ricercatori non hanno rilevato differenze significative tra le persone che usavano la cannabis e quelle che non la usavano, né tra persone di diverse età, in nessuno dei test. Questo suggerisce che le persone che usano la cannabis sono altrettanto disposte a esercitare uno sforzo per ottenere una ricompensa e altrettanto tendenti a desiderare e provare piacere da una ricompensa quanto le persone che non usano cannabis.

Va notato che ogni partecipante era sobrio durante lo studio ed è possibile che la motivazione cali quando si è sotto l’effetto della cannabis. È anche possibile che i partecipanti utilizzatori di cannabis abbiano voluto mostrarsi più motivati nello studio proprio per contrastare lo stereotipo del fumatore pigro.

Alcuni mesi prima, lo stesso team di ricerca ha pubblicato uno studio che usava la risonanza magnetica funzionale per mostrare che le persone che usano la cannabis hanno sistemi di ricompensa simili a quelle che non la usano.

“I pregiudizi possono arrivare a creare uno stigma e a ostacolare le iniziative per la riduzione del danno,” ha detto Skumlien. “Bisogna essere sinceri e trasparenti su quelle che sono e quelle che non sono le conseguenze negative dell’uso di droghe.”