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Cibo

La crisi del burro francese è una cosa molto seria

Un francese, in media, consuma 8 chili di burro all’anno.

Se c’è una cosa della quale non possiamo stupirci, è il consumo di burro in Francia, dopotutto i francesi sono la nazione delle baguette e dei quintali di dolci, quindi è piuttosto naturale siano uno dei consumatori mondiali maggiori di burro. Un francese, in media, consuma 8 chili di burro all’anno. Il sandwich preferito dei parigini è a base di burro e prosciutto, e persino espressioni come “avere la botte piena e la moglie ubriaca” ritrovano il burro fra i suoi protagonisti (in questo caso “avoir le beurre et l'argent du beurre,” avere il burro e i soldi del burro).

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Tuttavia, chi si ritroverà in un supermercato francese in questi giorni, noterà l’evidente desolazione sulle mensole destinate al burro, perché il 30 percento della richiesta di questo prodotto sta rimanendo insoddisfatta, in quella che persino il Figaro descrive come la peggiore carestia di burro dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. E sebbene i francesi abbiano subito condannato come colpevole la richiesta di dolci francesi in Cina, la realtà dei fatti è un po’ più complicata.

Un altro aspetto importante di questa vicenda è dato dal reale inizio di questa carestia, poiché nonostante gli effetti siano visibili ora, in realtà la scarsità del burro è iniziata nel 2015 con la fine del regime quote delle latte nell’Unione Europea, intesa inizialmente come un incentivo e aiuto per il commercio dei prodotti diari sul mercato internazionale.

A un’iniziale eccedenza di latticini (che pare costellassero le campagne europee con laghi di latte e montagne di burro dopo le quote richieste nel 1984), è seguita una compensazione che, unita a condizioni climatiche nefaste, ha portato la produzione di burro francese a un calo del 3% tra il 2015 e il 2016.

A questo bisogna aggiungere il fatto che gran parte del burro industriale prodotto in Francia necessiti di bastimenti carichi di panna provenienti dalla Nuova Zelanda, e che i prezzi del burro (così come del latte), siano saliti alle stelle proprio in Nuova Zelanda per via della costante crescita delle diete Paleo e chetogenica. I supermercati francesi non vogliono, di conseguenza, pagarne il prezzo, anche perché parliamo di 7000 euro alla tonnellata rispetto ai precedenti 2500 euro alla tonnellata di aprile.

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E non finisce qui. Gli agricoltori e i contadini francesi stanno portando le proprie attività altrove, lasciando le bocche dei propri connazionali senza burro.

“Ci stanno facendo credere che sia in corso una carestia di burro, ma la reale colpa è da attribuire a tutte quelle attività di vendita al dettaglio che non vogliono pagare il reale prezzo del burro,” spiega Nicolas Beets, un produttore di latte della Loira, a franceinfo. “Il burro c’è ma viene venduto fuori dai confini francesi.”

“Io sono una di quelle persone che combatte per far sì che il prezzo del burro non si abbassi. Il burro necessita di tanto latte e duro lavoro, e molti francesi hanno preso il brutto vizio di comprare burro economico in sconto nei negozi d’alimentari."

Pierre Coulon, produttore di formaggio, racconta proprio a MUNCHIES che l’aumento dei prezzi del burro fosse ormai inevitabile.

“Per produrre il burro serve un sacco di latte. Con 100 litri di burro si producono solo 4.5 chili di burro. Io sono una di quelle persone che combatte per far sì che il prezzo del burro non si abbassi. Il burro necessita di tanto latte e duro lavoro, e molti francesi hanno preso il brutto vizio di comprare burro economico in sconto nei negozi d’alimentari.”

I minimarket a cui Coulon fa riferimento sono quelli in cui quasi tutta la popolazione francese si ritrova a fare la spesa. In effetti, stando a un blind test effettuato dall’Express, volto a testare 18 tipi di burro diverso in commercio, è il Noisy Elle & Vire (un burro commerciale) in cima alla lista dei prodotti preferiti. Si deve però anche sottolineare il fatto che i burri più costosi stiano comunque macinando successi, sia dentro che fuori i confini francesi.

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La Isigny Sainte-Mère è un’impresa casearia con base in Normandia che produce uno dei tre burri francesi con certificazione DOP, esemplificando perfettamente il concetto francese di terroir, che si ha quando un alimento è collegato alle tradizioni e al luogo in cui viene prodotto (sempre grazie a questa certificazione, per esempio è illegale produrre lo Champagne all'infuori della provincia omonima).

La Normandia, nota per il suo clima piovoso e i prati verdi rigogliosi, rappresenta il prefetto terroir in cui produrre burro, panna e formaggio di qualità. A differenza di molti prodotti caseari americani, che derivano tipicamente da mucche nutrite a mais e cereali vari, quelli francesi nascono da greggi di bovini nutriti con l’erba dei prati, e che a loro volta producono un burro naturalmente fresco e giallognolo nelle sue colorazioni, senza la necessità di additivi.

Benoit de Vitton della Isigny Sainte-Mère mi spiega inoltre che “d’inverno il colore del burro è un po’ meno giallo. Lo è di più in primavera.”

Il tipo di mucche allevate in Normandia dà un po’ una mano alla Insigny, poiché sebbene questi animali producano quantità inferiori di latte, la consistenza dello stesso è ben più ricca rispetto a quella di altre zone. La ricchezza di questo latte non è l’unica chiave di lettura per il successo del burro francese; bisogna infatti anche considerare la quantità maggiore di grassi presente nel prodotto finito (si tratta di una percentuale dell’81-83 rispetto all’80% di grassi del burro americano).

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E nonostante molti produttori americani stiano cercando di riprodurre una sorta di “burro in stile europeo,” con anche l’86% di grassi, l’intensità del gusto presente in quello francese è irripetibile. Dopotutto, il burro francese, sia esso commerciale o artigianale, è parte di un processo di “coltivazione” specifico.

La produzione del burro è simile a quella dello yogurt. Le colture di batteri che conferiscono il classico aroma acidulo al burro vengono lasciate crescere indisturbate, permettendo al burro stesso di riposarsi un po’ di più. Il burro industrializzato, invece, è prodotto mediante l’aggiunta di acidi sintetici alla panna, e quindi non in modo completamente naturale.

“Noi non usiamo agenti chimici né acidi citrico per accelerare la fermentazione,” continua de Vitton, ricordando che un tipo di fermentazione naturale dura dalle 12 alle 16 ore.

Il burro DOP potrà anche essere sinonimo di qualità, ma quando si chiede ai migliori chef francesi quale tipo di burro preferiscano, la risposta è quasi sempre la stessa: “Bordier”. Il nome deriva dall’artigiano del burro Jean-Yves Bordier, che nella Bretagna del Diciannovesimo secolo era riuscito a destreggiarsi nella produzione del burro a mano ritrovando poi presto i frutti del proprio lavoro tra i tavoli di alcuni degli chef migliori di tutta la Francia. Il suo burro era diventato il un celebre beurre d’accueil, il burro di benvenuto, e veniva servito con il pane come antipasto.

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Secondo Aurélie Rousseaux-Gubri, la rappresentante aziendale della Bordier, il burro di Jean-Yves Bordier è da considerarsi uno dei pionieri del beurre d’accueil, che a sua volta ha dato inizio alla domanda di specifiche tipologie di burro da parte degli chef (c’è chi richiedeva una data forma o grandezza, chi preferiva un certo tipo di sale e chi richiedeva aggiunte di alghe, yuzu o persino peperoncino d’Espelette).

E se è vero che il burro Bordier appare in molti piatti stellati, come nel purè di patate di Joël Robuchon, e in numerosissime lezioni di cucina di Eric Briffard, chef de Le Cordon Bleu, Rousseaux-Gubri ci tiene a precisare che non tutti gli chef francesi preferiscano il Bordier.

“Alcuni usano burro proveniente dalle loro zone d’origine o da aziende agricole locali. Altri preferiscono il burro certificate DOP. Chi sceglie il nostro burro lo fa per una questione di qualità del prodotto.”

"Le ultime due settimane sono state deliranti per noi, un sacco di addetti ai lavori nei supermercati sono andati in panico e i clienti hanno deciso di fare scorta dai nostri commercianti."

Conosciuto per le sue tecniche di fermentazione lunga, impasto a mano e burrificazione lenta, il Bordier unisce il savoir-faire tipico dei prodotti artigianali alla capacità di fornire il proprio prodotto ai consumatori e agli chef di tutta la Francia.

“Credo che, a parità di qualità, pochi riescano a unire domanda, offerta e artigianalità in un unico prodotto tanto quanto noi,” mi dice Rousseaux-Gubri. La Bordier è stata acquisita dalla Triballat Noyal (un’azienda alimentare) 18 anni fa, permettendo al marchio di espandersi, valicando i confini francesi e arrivando sul mercato statunitense quattro anni fa.

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“Il burro va di moda adesso,” continua Rousseaux-Gubri, citando un articolo del 2016 del TIME, in cui si denunciava il regime di paura dei grassi saturi. “la riabilitazione del burro è ancora argomento di discussione sia negli Stati Uniti che in Francia.”

Per quanto riguarda invece la carestia di burro, il Bordier pare ne sia rimasto immune proprio grazie alla sua natura artigianale.

“Abbiamo preso accordi con gli agricoltori tempo fa, e tali accordi sono stati rispettati. I nostri agricoltori ci sono fedeli. Quindi non ci sono rischi in termini di fornitura.”

Ci tiene comunque a precisare che, qualora la penuria di burro dovesse continuare, il Bordier non sarebbe in grado di colmarla.

“Le ultime due settimane sono state deliranti per noi, un sacco di addetti ai lavori nei supermercati sono andati in panico e i clienti hanno deciso di fare scorta dai nostri commercianti. Se questa situazione continua a questo ritmo, non saremo in grado di soddisfare il numero delle richieste.”

Per alcuni, comunque, il Bordier non è la crème de la crème del burro francese.

“Il Bordier è un buon marchio, è riuscito nell’impresa di riportare il burro nei ristoranti e sui tavoli dei francesi,” dice Coulon. “È fatto davvero a mano ed è fresco, ma non è un burro a latte crudo.”

Ed è proprio il burro di latte crudo a rappresentare la reale rarità dell’industria del burro francese. Se infatti la maggior parte del burro francese è pastorizzato, il burro a latte crudo presenta un sapore peculiarmente ricco e unico, “ed è difficilissimo da trovare,” sottolinea Coulon.

Speriamo che anche quello pastorizzato non diventi una rarità nel prossimo futuro.