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La truffa del misterioso principe nigeriano che finì per acquistare un team di Formula 1

L'unica cosa che rimane del connubio tra Arrows e il Principe Malik Ado Ibrahim è la conferma di un vecchio detto: se sembra troppo bello per essere vero, probabilmente lo è.

In settant'anni di competizioni, la Formula 1 è stata testimone dell'ascesa e del declino di molti individui meravigliosamente ambigui. Siamo legalmente tenuti a far notare che attorno al mondo delle corse automobilistiche gravitano principalmente persone squisite, in pieno possesso delle loro facoltà mentali e di tutti i documenti necessari allo svolgimento di attività sportive, però ci teniamo anche a sottolineare che nella Formula 1 non sono mancati soggetti meno ineccepibili, che si sono serviti di metodi poco onesti per raggiungere obiettivi oscuri.

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Tra i personaggi più interessanti che si sono fatti largo tra i blocchi di partenza di un grand prix è impossibile non citare il Principe Malik Ado Ibrahim, la cui storia, vent'anni dopo aver raggiunto la sua triste conclusione, solleva ancora più di un interrogativo.

Siamo nel 1999; Lewis Hamilton gareggiava sui go-kart, Bernie Ecclestone era un giovanotto di 66 anni e la leggenda di casa McLaren Mika Hakkinen si era appena portato a casa il secondo titolo mondiale consecutivo. Quell'anno, però, gli eventi più interessanti si svolsero nelle scuderie, non in pista. Più precisamente tra le mura di casa Arrows, team dai motori poco competitivi e rappresentato dai colori nero-arancione; come la McLaren, ma vent'anni prima.

Alla fine degli anni Novanta, la Arrows gareggiava in Formula 1 da più di vent'anni. Tuttavia, nonostante tale longevità, la squadra non aveva mai vinto neanche una gara e aveva già attraversato una buona dose di alti e bassi finanziari e cambi di proprietà, incluso un periodo tra le mani di un'azienda di logistica giapponese in cui fu ingaggiato il pilota Taki Inoue, atleta famoso per essere stato investito da un'auto in corsa. Per ben due volte. In due momenti diversi.

Nel 1996, la scuderia Arrows fu acquistata da Tom Walkinshaw, che senza perdere tempo mise a segno un colpo epocale, ingaggiando come pilota per la stagione successiva l'allora campione del mondo, Damon Hill. Sebbene Hill perse di un soffio il Gran Premio d'Ungheria, l'anno in casa Arrows fu una vera e propria débacle per l'inglese, che a fine stagione saltò a bordo delle vetture di casa Eddie Jordan senza troppi rimpianti. Nel 1998, la Arrows tornò nell'anonimato, tra ai soliti problemi finanziari.

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Il 1999 sembrava comunque promettere bene, grazie al nuovo investimento di un misterioso monarca africano: il Principe Malik.

Malik sosteneva di aver studiato in una scuola privata inglese, ma nessuno sa precisamente dove, e di essere il Principe della tribù Igbira. È probabile che tale affermazione corrisponda alla verità, sebbene in Nigeria ci siano più di 75 famiglie reali, quindi non è proprio come dire che il Principe William d'Inghilterra si è palesato alle scuderie promettendo di sperperare l'eredità della Regina in Formula 1. Malik aveva anche affermato di aver gareggiato nella 24 Ore di Le Mans, ma anche qui non vi è alcuna prova a sostegno di tale affermazione.

Onesto o meno, la Arrows non poté ignorare il Principe: un investimento da 125 milioni di dollari avrebbe potuto rivoluzionare le sorti della scuderia, permettendole di ingaggiare piloti migliori e acquistare motori competitivi. Ovviamente Walkinshaw accettò l'offerta, e nel 1999 Malik diventò ufficialmente parte del team Arrows, anche grazie all'aiuto del magnate bancario Morgan Grenfell nelle fasi di conclusione dell'accordo. Il Principe nigeriano si ritrovò così a possedere tra il 10 e il 30 percento della squadra (le cifre variano troppo per fare stime più precise).

Malik assunse immediatamente una costosa agenzia di pubbliche relazioni a cui chiese di renderlo "famoso come Eddie Jordan." Il principe nigeriano voleva essere al centro dell'attenzione, non aveva intenzione di sedersi sugli spalti e osservare da lì il successo del suo ultimo investimento. Il marchio T-Minus, con cui intendeva raccogliere fondi per la scuderia, fece la sua comparsa come sponsor durante il Gran Premio di San Marino, e intendeva fare profitti grazie al lancio di un nuovo energy drink e alla vendita di abbigliamento rebrandizzato e moto da strada. Il fatto che non ne abbiate mai sentito parlare prima di leggere questo articolo dovrebbe aiutarvi a capire quanto successo abbia avuto il marchio; un altro indizio ce lo fornisce il celebre giornalista specializzato in eventi di Formula 1, Joe Saward, il quale affermò che la T-Minus "non guadagnò neanche un centesimo."

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Ma il business plan non fu l'unica cosa a non funzionare: anche le performance su pista delle auto di casa Arrows furono deludenti. Grazie all'elevato numero di incidenti durante la gara, nel suo debutto in Formula 1 il pilota De la Rosa riuscì a portare a casa un punto—risultato che condivide con nomi ben più illustri, come Lewis Hamilton e Sebastian Vettel—ma per l'atleta spagnolo quello fu l'unico successo degno di nota della stagione. Il suo compagno di squadra, l'enigmatico atleta giapponese Toranosuke "La Tigre" Takagi, riuscì a fare addirittura peggio. In tutto il 1999, i due ottennero un solo punto.

Pedro de la Rosa, Lewis Hamilton, Paul di Resta e Bruno Spengler nel 2007. Foto via Wikimedia Commons.

Verso la fine della stagione, quando le sorti del team si facevano via via più palesi, improvvisamente Malik scomparì nel nulla, senza aver finalizzato il pagamento della sua quota concordato entro settembre. Così, Tom Walkinshaw riprese il controllo effettivo del team e la pubblicità T-Minus scomparve dalle auto in pista. Il Principe aveva abbandonato le corse.

Dopo il fallimento dell'acquisto, la Arrows non si riprese più: continuò a gareggiare per altri due anni, dopodiché fu costretta a chiudere baracca durante la stagione 2002. Anche gli affari di Walkinshaw legati alla Formula 1 subirono un forte contraccolpo; e Tom stesso morì pochi anni dopo, all'età di 64 anni.

Ma, mentre la Arrows sparì velocemente dal panorama della Formula 1, lo stesso non si può dire di Malik. Nel 2008 finì in tribunale, accusato di aver rubato i fondi da lui raccolti per sostenere la carriera di un giovane pilota nel campionato automobilistico NASCAR. Malik non fu poi condannato, ma non poté lasciare il carcere texano in cui era detenuto perché non fu in grado di pagare la cauzione di 35.000 dollari fissata sulla base delle false dichiarazioni rilasciate durante le fasi iniziali del processo.

In seguito all'accusa di aver rubato oltre 200.000 dollari durante il periodo di libertà vigilata, nel gennaio 2010 fu emesso un mandato di cattura nei confronti del principe nigeriano, che all'epoca lavorava per una società attiva nel campo delle energie rinnovabili chiamata The Bridge, di cui era anche co-fondatore.

Che cosa voleva fare Malik in Formula 1? È possibile che credesse davvero nel successo della T-Minus, pensando che un cospicuo numero di persone avrebbe acquistato costose moto che pubblicizzavano un marchio mai sentito prima. È anche possibile che volesse semplicemente accedere allo sfarzoso mondo della Formula 1, di cui sognava di far parte da molto tempo. O forse le sue ragioni erano meno limpide; non possiamo esserne certi, perché Malik non ha mai parlato di quel periodo. L'unica cosa che rimane di questa storia è la conferma di un vecchio detto: se sembra troppo bello per essere vero, probabilmente lo è.

Thumbnail via Wikimedia Commons.