Se c’è qualcosa verso cui noi italiani nutriamo un atteggiamento pregiudiziale, condito di malcelata spocchia, quella è la cucina italiana… all’estero. Qualsiasi piatto italiano prodotto al di fuori dei nostri confini viene immediatamente bollato come inautentico. E soprattutto immangiabile. Gli strali più feroci piovono sulla cucina italo-americana: abbinamenti improbabili come gli spaghetti con le polpette, nomi a noi ignoti quali Fettuccine Alfredo o Chicken Parmigiana, dosi inquietanti di burro e formaggio. Quando il mio amico Davide Puca, ricercatore in Semiotica del Gusto all’Università di Palermo, è partito per New York per tre mesi, nell’ambito di una ricerca sulla cucina italiano americana, non vedevo l’ora che tornasse per poter parlare insieme di quello che aveva scoperto - e ovviamente mangiato.Nel secolo considerato delle grandi emigrazioni di massa, tra 1870 e 1970, circa 29 milioni di italiani sono emigrati all’estero: la più grande diaspora volontaria nella storia dell’umanità.
Nei primi anni a New York hanno cercato di assimilarci culturalmente in tutti i modi - e le politiche educative colpivano anche l’alimentazione.
Prima di arrivare negli Stati Uniti un emigrante 'medio' del Nord si nutriva principalmente di polenta, patate e castagne, mentre uno del Sud di pane e verdure, a volte accompagnati da piccole quantità di formaggio, baccalà o sardine.
Come racconta moto bene Simone Cinotto nel suo libro The Italian American Table, a fine Ottocento non esisteva ancora un vero e proprio concetto di cucina nazionale italiana, bensì un mosaico di abitudini alimentari locali, a loro volta nettamente divise tra ricchi e poveri, cittadini e campagnole."La cameriera passa a grattarti il formaggio su ogni cosa, insalata compresa: è l'Italian touch. I breadsticks sono un autentico segno di italianità a New York: barrette morbide di pane all'aglio"
Prima di arrivare negli Stati Uniti un emigrante 'medio' del Nord si nutriva principalmente di polenta, patate e castagne, mentre uno del Sud di pane e verdure, a volte accompagnati da piccole quantità di formaggio, baccalà o sardine. Il condimento principale era lo strutto. In America si sono trovati davanti una disponibilità di cibo senza precedenti: pomodori in scatola, olio d'oliva, pasta. E con questi hanno creato nuovi piatti, nuovi abbinamenti. Gli Italiani non hanno mantenuto la propria identità a dispetto degli americani, dei loro prodotti e dei loro stereotipi, bensì l’hanno costruita su quegli stessi elementi, diventando i mangiamaccheroni che conosciamo.Ma quand’è che gli americani hanno iniziato a mangiare italiano? “Il punto di svolta è stata la Depressione del 1929. Sempre più americani medio-borghesi hanno iniziato a frequentare i ristoranti italiani, molto più economici, degli altri e ad apprezzarli” racconta Davide. “Un altro momento decisivo furono le guerre mondiali, quando gli italiani 'alleati' diventano interessanti anche da un punto di vista gastronomico. I principali strumenti di integrazione degli italiani nel tessuto sociale americano sono stati la gastronomia e l’opera, che a volte si sono mescolati: il tenore Caruso, ad esempio, frequentava assiduamente ristoranti italiani old fashioned che sono diventati ricettacolo di altri cantanti e star.”Il punto di svolta è stata la Depressione del 1929. Sempre più americani medio-borghesi hanno iniziato a frequentare i ristoranti italiani, molto più economici. Gli americani lì hanno iniziato a mangiare italiano.
L’ambizione di soddisfare a pieno la propria fame è stata la prima molla che ha convinto gli italiani a emigrare - e negli Stati Uniti l’hanno soddisfatta