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La moda del gluten-free ci è sfuggita di mano

Il marasma del gluten chic ha contagiato migliaia di persone, molte delle quali non hanno veri motivi medici di evitare il glutine.
Immagine: via

Se avete smesso di mangiare il glutine senza essere celiaci, complimenti: siete anche voi parte di una delle più grandi operazioni di intorbidamento delle acque dell'ultimo decennio. La campagna d'odio montata contro questa proteina—presente nel grano, nell'orzo e in altri cereali—ha superato da tempo la soglia del ridicolo.

Milioni di persone in tutto il mondo hanno trangugiato il verbo anti-glutine di gastro-blogger, dietologi pop e celebrità di vario calibro, eliminando dalla loro dieta farinacei e altri cibi "glutinati". Ha senso? Per il business del senza glutine (dai produttori di cibi agli scrittori di libri di ricette), un sacco. Per tutti gli altri, non molto.

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Ciò che salta all'occhio è che, rovesciando la famosa regola dell'AIDS degli anni Novanta, oggi se si evita il glutine è soprattutto perché non lo si conosce, perché non si ha idea di cosa si stia parlando. Il mondo del gluten free è una marmellata fatta di pseudo-notizie, convinzioni ascientifiche e aneddotica elevata a dottrina. A pagarne le conseguenze, poi, sono gli unici che degli alimenti senza glutine hanno davvero bisogno, cioè i celiaci.

La celiachia, per chi non lo sapesse, è una malattia autoimmune che impedisce il consumo del glutine. Se un celiaco mangia pane, pasta, o qualunque cosa contenente glutine, la proteina demolirà lentamente il suo intestino, appianandone i villi, responsabili dell'assorbimento del cibo. Le conseguenze sul lungo periodo sono denutrizione e persino tumori. Dato che, nonostante si parli di un vaccino da decenni, ancora non esiste una cura, il celiaco deve trarre la sua fonte di carboidrati da cibi preparati in maniera specifica, senza traccia di glutine. I cibi gluten free, insomma.

A lungo si è pensato che la celiachia colpisse una minoranza molto esigua della popolazione generale, ma poi si è capito che il disturbo interessa una persona su 140. In Italia, come nel resto del mondo, c'è stato uno stabile aumento delle diagnosi negli ultimi anni (dal 2011 al 2012, il numero di celiaci è cresciuto del 10 percento); ciò è dovuto in parte a metodi di diagnosi più efficaci, ma più che altro alla maggiore consapevolezza riguardo alla malattia.

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Immagini: Goggle Trends, screenshot.

Effettivamente, secondo Google Trends, l'Italia è prima al mondo per numero di ricerche sul web riguardo alla malattia celiaca. Nel paese della pasta e della pizza, la malattia è diventata un argomento di conversazione comune. La Congregazione della dottrina e della fede si è dovuta esprimere sull'ortodossia delle ostie senza glutine, giornate di sensibilizzazione sul tema si sono susseguite e i giornali non hanno perso un'occasione per dare notizie sui progressi—veri o presunti—della ricerca sulla malattia. Perfino a [La Prova del Cuoco](http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-1524bc87-befc-48fb-8649-91a09a00a9ae.html /http://vitadadonna.com/20639/ricette-senza-glutine-alla-prova-del-cuoco-i-sorrisi.html), gli chef ormai presentano regolarmente ricette per pizze e pietanze senza glutine.

Ma tutta quest'attenzione al glutine ha portato anche a delle distorsioni. Parallelamente al discorso sulla celiachia, in Italia e nel mondo, si è assistito all'emergere di un concetto diverso: la "sensibilità al glutine". Basta guardare, sempre su Google Trends, come la ricerca su "glutine" abbia superato di gran lunga, negli ultimi tre anni, quella su "celiachia".

Ora, nessuno sa davvero cosa sia la "sensibilità al glutine". Viene in genere descritta come un morbo che darebbe gli stessi sintomi della celiachia senza essere celiachia. Chi è "sensibile" avrebbe gonfiori, malesseri e via dicendo quando ingerisce il glutine, anche se i suoi villi intestinali sono assolutamente sani.

L'idea della "sensibilità" è stata lanciata da dietologi come il guru della "disintossicazione" Nish Joshi (noto come "dottor Joshi" senza essere iscritto all'albo dei medici inglesi) e l'italiano Alessio Fasano, professore all'università del Maryland. Secondo Fasano, almeno il 6-7 percento della popolazione mondiale sarebbe "sensibile". È una malattia bizzarra, la "sensibilità". La sua peculiarità è che per stessa ammissione di chi la teorizza, essa non può essere individuata per mezzo di test scientifici. L'unico metodo per capire se uno è "sensibile", insomma, è smettere di mangiare il glutine e valutarne gli effetti.

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È una malattia bizzarra, la "sensibilità".

La cosa desta ovviamente lo scetticismo di molti. Il dottor Gino Roberto Corazza, direttore della Clinica Medica dell'Università di Pavia e uno dei massimi esperti in materia di celiachia, è molto cauto quando si parla di "sensibilità". Corazza è autore, insieme ad Antonio di Sabatino, di un articolo in cui si critica la maniera in cui il glutine è diventato "il nuovo supercattivo alimentare". Nell'articolo si avanza l'ipotesi che dietro gli episodi di "sensibilità" ci siano altre sostanze contenute nella farina, ma anche nella frutta e in alcuni zuccheri—un'idea poi ripresa da altri.

Quando parliamo al telefono, Corazza mi dice di avere "un'idea molto restrittiva riguardo alla sensibilità: essa riguarda, forse, una percentuale davvero molto ridotta della popolazione. E, soprattutto, va tenuto in conto l'effetto placebo/nocebo, per cui il paziente lamenta sintomi non dovuti a cause mediche reali." Si va nel campo della psicologia, insomma.

Ciò nonostante, oggi un americano su quattro evita i cibi con il glutine, e lo 0,7 percento degli italiani si dichiara sensibile a fronte di uno 0,4 percento di celiaci. Ristoranti, gelaterie e panetterie che vendono alimenti gluten free ne fanno un vanto, più per strizzata d'occhio alla clientela "sensibile" che per afflato inclusivo nei confronti dei celiaci. Chi è responsabile di questa disinformazione?

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Il massimo alfiere della crociata anti-glutine non è un medico, e nemmeno un giornalista, ma Gwyneth Paltrow. L'attrice americana ha infatti un blog a tema mangereccio, "Goop": una ridotta di food porn, ricette e consigli di stile. Qui, nel 2008, Gwyneth ha annunciato al mondo di aver rinunciato ai cibi col glutine perché "sensibile", e di sentirsi per questo più sana. Lo stesso destino è toccato ai suoi figli, "sensibili."

Il proclama non è stato un mero atto di altruismo: nel 2011 e nel 2013, la Paltrow ha pubblicato due libri di ricette gluten free che sono entrati nella lista dei best-seller del New York Times. Il suo esempio è poi stato seguito da altri illustri specialisti come Victoria Beckham, Miley Cyrus, Russel Crowe e gran parte dei glitterati hollywoodiani—e dalle nostre parti, Elisabetta Canalis. A stupire è che le bizzarrie di un branco di ricchi—siano state scrupolosamente riprese e raccontate dai media di mezzo mondo.

Oltre a questa schiera di uomini e donne immagine, il gluten free può contare su una galassia digitale di blogger, nutrizionisti e siti di "benessere" che , almeno in Italia, è particolarmente florida e si intreccia spesso con vegetarianismo radicale, hipsterismi New Age e medicina alternativa. Il glutine, ad esempio, è tenuto particolarmente in spregio dalla naturopatia, una pratica che la naturopata e blogger Sabina Nobili descrive come "la disciplina che mira a curare l'individuo utilizzando la psicologia olistica, la floriterapia e i fiori di Bach".

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IL MASSIMO ALFIERE DELLA CROCIATA ANTI-GLUTINE NON È UN MEDICO, E NEMMENO UN GIORNALISTA, MA GWYNETH PALTROW

Sabina ha un blog seguitissimo. Mi spiega che la celiachia ha molte cause, alcune anche psicologiche: "chi non assorbe il glutine non assorbe la vita. Spesso ha avuto anche un cattivo rapporto con i genitori". Lei non è celiaca, ma come tanti si astiene lo stesso dal glutine. "Il glutine fa male, " è il suo giudizio. "Le farine di frumento sono piene di pesticidi e non hanno più valore nutritivo. Togliendo i farinacei bianchi, la persona sta molto meglio e dimagrisce."

Accanto a queste teorie alternative, si trovano siti apparentemente di medicina ufficiale, dove si disquisisce di "sensibilità" come di un fenomeno diffuso. "Meglio senza glutine" è forse il caso più rappresentativo: corredato da immagini di gente in camice, video informativi e grafici dall'aria affidabile, il sito mette in guardia dalla sensibilità al glutine: "Esperienze internazionali dimostrano come la sensibilità al glutine sia un problema di larga diffusione e confermano che la stima delle persone potenzialmente sensibili al glutine è largamente superiore a quella dei potenziali celiaci ed allergici al grano, " recita la pagina.

A ben guardare, il sito è gestito dalla Dr. Schär, uno dei giganti della produzione di cibi gluten free in Italia, sede a Bolzano. Nel suo comitato scientifico troviamo anche una faccia nota: Alessio Fasano, il medico che per primo ha teorizzato la "sensibilità al glutine".

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Che la Dr. Schär, come altre aziende, sia dell'idea che la "sensibilità" sia qualcosa di molto comune non sorprende più di tanto. Un anno fa, la bottega di un fornaio senza glutine di Milano, Le Bontà di Edo , fu multata per aver pubblicato sul Corriere della Sera un paginone di pubblicità che esordiva con "Lo sai che il glutine è dannoso per tutti?". Voglio dire, è un business. E anche bello grosso.

Gli alimenti per celiaci sono molto più costosi di quelli "normali" : un filone di pane può arrivare a 6 euro, un chilo di lasagne a 16. Ciò accade perché la produzione è sottoposta a controlli stringenti per evitare contaminazioni da glutine, ma anche perché, trattandosi comunque di un mercato di nicchia, non ci sono economie di scala.

Qui in Italia la cosa è resa ancora più incasinata dal fatto che lo Stato, tramite le Regioni, passa ai celiaci dei buoni mensili (dai 99 ai 140 euro) per ottenere i pasti gratuitamente. L'Italia è l'unico Paese europeo, con Malta e Grecia, a fornire queste sovvenzioni. Secondo alcuni, i buoni farebbero più danni che altro, mettendo il mercato gluten free fuori dalla legge della domanda e dell'offerta: visto che i buoni assicurano un afflusso di denaro regolare, i produttori non avrebbero interesse ad abbassare i prezzi.

Un post del Centro Tutela Consumatori Utenti, qualche mese fa, denunciava come i prezzi dei prodotti prorprio della Dr Schär, in Italia, siano gonfiati anche del 60 percento rispetto a Paesi come Germania e Austria. Via email, l'azienda mi ha risposto che ciò accade perché in Italia la distribuzione avviene prevalentemente nelle farmacie, e pertanto sarebbe più capillare e più onerosa. Allo stesso tempo, la Dr Schär ammette che il mercato italiano è un po' un unicum: "Le differenze di prezzi tra i mercati sono naturalmente dovute alla libera politica di vendita dei canali distributivi e dei clienti nei diversi paesi," recita un passaggio in chiusura della mail.

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Linea di prodotti senza glutine. Immagine via

Certo è che il business del senza glutine è enorme: in Italia si parla ormai di 237 milioni di euro all'anno, solo due terzi dei quali pagati con i buoni statali. Si presume che il terzo in più, almeno parzialmente, sia acquistato dai cosiddetti "sensibili". Ed è un mercato in crescita: in un anno, le vendite sono aumentate del 15 percento.

L'intera faccenda potrebbe sembrare tutto sommato innocua. Il punto, però, è che questo gran marasma di gluten chic, "sensibilità" e fumisterie varie, non è proprio senza vittime. A rimetterci sono i celiaci, quelli veri.

"Più la cosa viene considerata un vezzo, più l'attenzione diminuisce," mi spiega Susanna Neuhold, responsabile alimenti dell'Associazione Italiana Celiachia. "Oggi un ristoratore che vende cibi senza glutine, per esempio, potrebbe considerare tutta la cosa come una moda, e finire col fare meno attenzione a evitare la contaminazione con il glutine. Mettendo a rischio chi celiaco lo è davvero." Recentemente, si è anche arrivati alle prime conseguenze a livello normativo. Il Parlamento europeo, con il Regolamento 609 del 2013, ha infatti declassato i prodotti senza glutine da "alimenti dietetici" a "alimenti di consumo corrente".

"Questo in sintesi diminuirà il rigore dei controlli sul cibo senza glutine," spiega ancora Susanna Neuhold. "Ci sono dei pro, perché i prezzi potrebbero scendere, ma ci sono ovviamente dei contro, a livello di sicurezza."

L'intera storia è molto istruttiva sulla natura umana. Un'isteria collettiva sta pian piano sfrattando i celiaci dal reame del senza glutine, sacrificandoli sull'altare di un salutismo inventato, per la gioia del business. Una delle sfortune dei celiaci, in fin dei conti, è stata quella di avere una malattia con una terapia fotogenica (e pressoché innocua per i non malati: un non celiaco che mangia cibi per celiaci spende, ma non rischia nulla di grave).

Se Gwyneth & co. non hanno ancora scimmiottato gli altri disturbi alimentari, probabilmente è perché un selfie con una pagnotta senza glutine è molto più accattivante, ad esempio, di uno con una siringa d'insulina.