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Foto di Luca Donninelli per gentile concessione di Relæ Community
Cibo

Idee creative da tutto il mondo per salvare la ristorazione dopo il coronavirus

Abbiamo parlato con chef italiani, residenti in Italia e all'estero, sulle possibili soluzioni per affrontare la crisi a causa dell'emergenza Covid-19.

"La crisi del Covid-19 arriva in un momento in cui i ristoranti erano diventati molto più di posti dove mangiare"

All'interno del decreto Cura Italia sono presenti provvedimenti che interessano anche la categoria dei ristoratori, come la cassa integrazione in deroga, lo stop delle procedure di licenziamento, la sospensione del versamento di IVA, contributi previdenziali e ritenute fiscali. E nel frattempo si resta in attesa dei decreti attuativi e del chiarimento su molti altri punti - come i mutui e gli affitti. Ma questo, lo sappiamo tutti, non è sufficiente per un'industria ristorativa che si trova ad affrontare una crisi di dimensioni inimmaginabili.

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Il fatturato giornaliero del delivery non basta e non dà lavoro a tutti coloro che sono stati licenziati.

Nell'ultima settimana quella del Covid-19 è diventata ufficialmente una pandemia e quella della ristorazione è passata da questione nazionale a problema globale. Cristian Casella, presidente onorario di AICNY, che rappresenta 300 ristoranti italiani a New York (metà dei contagi di Coronavirus negli Stati Uniti sono lì), ci ha raccontato che “Oggi sono tutti chiusi. È permessa solo il delivery, ma non si sa per quanto. Per ora sta funzionando, i clienti sono abbastanza solidali, però il fatturato giornaliero non basta e non dà lavoro a tutti coloro che sono stati licenziati. Come associazione stiamo spingendo su progetti di emergenza per bloccare gli affitti e e le bollette, per un piano di rilancio a livello amministrativo, ma non c'è ancora nulla di fatto."

Proprio da New York però viene una bella idea di sostegno alla ristorazione: i dining bonds.

Dining bonds: comprare oggi per cenare domani

L'iniziativa dei dining bonds nasce a New York sulla piattaforma supportrestaurants.org. Come funziona? Fondamentalmente si compra un buono - ogni ristorante stabilisce un valore minimo - che si può utilizzare fino a una determinata data di scadenza. Per regalare (o auto-regalarsi) una cena in previsione di tempi migliori.

"Questa iniziativa funziona solo se sei riuscito a creare una community con i clienti"

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La maggior parte dei bonds hanno scadenza nel 2021, lasciando quindi un ampio margine di incertezza sulla riapertura. In Cina si parla già di revenge spending: dopo due mesi di ristrettezze, paura e quarantena, i cinesi hanno voglia di spendere e lo fanno in beni di lusso. Non sappiamo se sarà così anche in Italia e nel resto del mondo.

Negli ultimi giorni anche diversi locali italiani hanno iniziato a proporre questi buoni. Noi ne abbiamo parlato con Giacomo Ballarini dell'hamburgeria veronese Buns.

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Foto per gentile concessione di BUNS

"C'è stata una bellissima risposta nelle prime tre ore in cui l'abbiamo pubblicato: abbiamo raccolto una cifra significativa, con più di 30 gift card acquistate. Ma questa iniziativa funziona solo se sei riuscito a crearti una community. A Verona sta accusando il colpo chi ha sempre lavorato con il turista e non con il veronese, chi interpreta il settore in modo vecchio, non le aziende giovani che hanno lavorato in primis per il proprio territorio. I nostri clienti ci fanno sentire la loro vicinanza."

In Italia sono spuntate piattaforme simili, con sconti se si acquista ora, come Prometto di tornare o Cucina Continua. Su Prometto di tornare, finora, ci sono solo una cinquantina di attività, tra club di surf, lavanderie e bar: vedremo se se ne aggiungeranno altre.

Modalità dispensa e consegna della spesa

Sempre negli Stati Uniti, molti ristoratori stanno adottando un'altra soluzione. Alcuni locali sono diventati negozio per la vendita di generi alimentari, uova, farina, pasta, latticini. Un modo per esaurire le merci non utilizzate, evitando che vadano a male nei magazzini, e offrire un servizio utile alla clientela che così può evitare i supermercati presi d'assalto. Nell'inventario messo online da alcuni ristoranti leggiamo fagioli, acqua, pane, sale, margarina. E c'è chi offre veri e propri "emergency kit", un mix di pasti pronti, ingredienti e… rotoli di carta igienica.

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Mirabelle. Foto di Luca Donninelli

Alessandro Perricone è socio della Relæ Community di Copenaghen.
Anche loro, quando l'emergenza Covid-19 è scoppiata, hanno dovuto affrontare molte difficoltà a livello economico. Ci ha raccontato come hanno riorganizzato i loro ristoranti:"Nel gruppo abbiamo Mirabelle che nasce come panetteria, è sia un whole on the wall (bancone con finestra per takeaway) che un negozio all’interno.

"Lo abbiamo trasformato in un vero alimentari, perché abbiamo un sacco di verdure della nostra fattoria, che normalmente usiamo nei nostri ristoranti, Bæst, Manfreds e Relæ. Nella prep kitchen sopra a Mirabelle facciamo anche salumi e prodotti caseari col latte delle vacche della fattoria, prodotti che di solito non sono sul mercato."

I ragazzi di Retrobottega a Roma, invece, hanno avuto un'idea ancora diversa, ma complementare: oltre alla consegna di pasti a domicilio, come si leggere in questo articolo, vogliono lanciare una vera e propria start up per il delivery di box di ortaggi. Questo per sostenere i piccoli produttori che al momento non possono guadagnare dai ristoranti.

La strada della delivery

Come ci spiega sempre Perricone, altri ristoranti del gruppo in Danimarca si sono attrezzati per la delivery o l'asporto: "Bæst adesso fa take away di pizza pasta e piatti caldi. Manfreds fa take away ed enoteca, l’offerta che abbiamo pensato è un piatto del giorno onnivoro (per esempio stufato d’agnello, kale, patate eccetera), e un piatto del giorno vegetariano, poi facciamo la nostra famosa tartare, dei piattini freddi e un po' di dolci. E tanto vino. Perché per adesso la gente beve, non ci vanno un sacco di bottiglie in quantità, ma un sacco di bottiglie 'buone' le stiamo vendendo."

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Baest. Foto Luca Donninelli

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Nessuno è immune dalla crisi, e questo fa sì che molti ristoranti inizino a reinventarsi completamente, ad esempio puntando sulla delivery - lo fanno perfino chef superstar come Gaggan Anand a Bangkok, o chef tristellati come i fratelli Alajmo. Qui abbiamo parlato più approfonditamente di cosa comporta, in termini economici e logistici, questa scelta E nel settore c'è già chi ipotizza, una volta passata la crisi, di aprire vere e proprie dark kitchen per continuare con il delivery.

"Nell'inventario dei ristoranti leggiamo fagioli, acqua, pane, sale, margarina. E c'è chi offre veri e propri 'emergency kit', un mix di piatti pronti, ingredienti e… rotoli di carta igienica"

Perché anche ipotizzando (molto) ottimisticamente una riapertura a breve, quante persone se la sentiranno di andare a mangiare fuori? Quante avranno i soldi per permettersi menu degustazione da centinaia di euro? E quante, invece, preferiranno piuttosto concedersi lo sfizio di una delivery, nella sicurezza di casa, spendendo meno e godendosi un "cibo conforto"?

Parlando di aiuti statali, la Danimarca sicuramente ne ha offerti più velocemente, e più concretamente, dell'Italia. Ci spiega Perricone: "Il primo decreto salva aziende nella ristorazione che è arrivato è stato quello per le aziende sotto i dieci dipendenti. Essenzialmente se tu non licenzi nessuno per tre mesi il governo ti paga dal 75% al 90% dei tuoi costi fissi sui tre mesi. Tant’è che tanti ristornati “piccoli” hanno deciso di fermarsi e non fare progetti di take away, si sono detti no guarda, arriva un decreto che ci salva il culo."

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La ristorazione post Covid-19

Come spiega bene questo bellissimo pezzo di Lisa Abend, una delle più grandi food writer del nostro tempo, la crisi del Covid-19 arriva in un momento in cui i ristoranti sono diventati molto più di posti dove mangiare: "Non più una mera fonte di sostentamento o convivialità, i ristoranti sono diventato un'arena essenziale della vita moderna - posti a cui guardare per status e comunità, divertimento e arte, impegno politico e gestione ambientale." La Abend cita l'esempio del Noma. Fino a qualche settimana fa, uno dei più famosi ristoranti al mondo, con liste di attesa di mesi. Ora aiuta i membri dello staff (spesso giovanissimi stagisti) a pagare l'affitto, regala loro il cibo dai magazzini e prepara uno staff meal al giorno.

E fino qui stiamo parlando solo dei più fortunati, quelli che non si sono trovati costretti a chiudere per sempre. Per molti, sia in Italia (come il ristorante Perbellini) che all'estero, questo è stato il colpo di grazia. Mirko Pelosi è un giovane chef italiano che negli ultimi due anni ha lavorato all'Edinburgh Food Studio di Edimburgo: "C'era già l'idea di finire il business entro la fine dell’anno. A causa del Coronavirus abbiamo anticipato la chiusura. Qui c'è stata molta confusione: il 16 marzo Boris Johnson ha detto di non andare in pub e ristoranti, però non ne ha ordinato la chiusura. Chi poteva permetterselo ha chiuso, chi non aveva un business proficuo ha dovuto fare degli appelli per non perdere i clienti. È stato triste. Il mio barbiere offriva uno sconto del 15% a chi andava nei ristoranti! Ora che è tutto chiuso, mi verrà pagato l'80% del salario fino a fine mese, poi tornerò in Italia."

Mirko ha raccontato come anche nel Regno Unito sempre più chef stiano offrendo lezioni di cucina online, e sempre più locali si attrezzino facendo i corsi più disparati, come quello di homebrewing casalingo del caffè. Anche in Italia alcuni chef, come Luca Giovanni Pappalardo, creano gruppi Facebook in cui condividere video-ricette e consigli mettendosi a disposizione della comunità oppure, come Yoji Tokuyoshi, condividono ricette sul proprio profilo. Scelte senza un ritorno economico immediato, ma che potrebbero portare a una futura fidelizzazione.

Non abbiamo la minima idea di come sarà il mondo post Covid-19. Ma sicuramente sarà diverso, e saranno diversi anche i ristoranti. Senza voler fare inutile retorica, per chi, come gli chef, gestisce un business dal futuro quanto mai incerto, questa può costituire un'opportunità da diversi punti di vista. "È un momento forte per interrogarsi sulle scelte che hai fatto," dice Giacomo Ballarini. "Sulla relazione con i clienti. Sull'esserci stati per il territorio e il tessuto sociale. Sul rapporto costruito con le persone che lavorano per te. I miei ragazzi non vedono l'ora di tornare a lavorare e a divertirsi con la cosa che sappiamo fare meglio: cucinare."

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