Sono stato alla prima Esselunga di Roma per capire cosa ha di speciale per i milanesi
Tutte le foto di Melania Andronic

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Sono stato alla prima Esselunga di Roma per capire cosa ha di speciale per i milanesi

E credo di averlo capito.

Nel cuore di Roma est, in Via Prenestina, è appena sbarcato il primo punto vendita cittadino di Esselunga—la notissima catena di supermercati lombarda che incredibilmente, tra slittamenti e ostacoli burocratici, ancora non aveva messo la propria bandierina nella capitale.

La catena, presente in sei regioni, è famosa soprattutto al nord, ma la si può avere ben salda nell'immaginario abitando in qualunque parte d'Italia, e anche se non ci si è mai messo piede. Per esempio, se si è come me malauguratamente fan dei Baustelle—che ne "La guerra è finita" cantano di una ragazza suicidatasi dopo vari accadimenti, tra i quali l'essere stata arrestata da un carabiniere "durante un furto all'Esselunga." O se si è hipster, dato che "Italian Dandy" di Brunori Sas dice: "Amami come quella volta all'Esselunga quando, in preda alla fame, rubammo una baguette." Ma oltre a essere fonte di ispirazione dei suddetti artisti, cosa ha di tanto speciale l'Esselunga? Perché agli occhi di molti sembrava una mancanza imperdonabile il fatto che ancora Roma non ne avesse una? Per capirlo ieri all'ora di pranzo mi sono recato con la mia amica Melania e la sua macchina fotografica all'inaugurazione del punto vendita e ho passato il pomeriggio all'interno della struttura.

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Tutte le foto di Melania Andronic.

La prima cosa che posso constatare è che il nome, tra le persone anziane, genera confusione: durante il tragitto, una signora che incontro sull'autobus mi chiede "È questa la fermata dell'Emmelunga?", e mia nonna, il giorno prima, voleva sapere come mai stessi andando all'Ellelunga.

Comunque, arriviamo all'Esselunga con le due S e non M o L con un anticipo di due ore rispetto all'apertura e veniamo immediatamente colpiti dalla facciata dell'edificio, sulla quale campeggia la scritta "Superstore" che trasforma via Prenestina nella Hollywood della capitale.

Il nostro piano era quello di fingere di essere dei consumatori come tanti altri per poi rivolgere delle domande improvvise ai giovani che avremmo incontrato tra gli scaffali, tipo: che ci fate da queste parti, come mai siete qui?

Il problema è che di giovani neanche l'ombra, perché l'età media del vernissage si aggira più o meno attorno ai settant'anni.

Ogni volta che proviamo ad avvicinare qualcuno per chiedergli come mai si trovi lì, la risposta è sempre la stessa: questa struttura dalla superficie di 4600 metri quadrati ha attirato la sua attenzione e così è venuto a dare un'occhiata.

La folla in uno dei corridoi del supermercato.

Anche in assenza di giovani, però, abbiamo steso una piccola fenomenologia degli ALTRI acquirenti dell'Esselunga romana. 1) Gestori di alimentari che vendono le Peroni a prezzo inferiore rispetto ai supermercati (adesso sapete come fanno a vendervi la Peroni da 66 a meno di due euro); 2) "Sicuramente un ciccione dei Casamonica," come abbiamo sentito dire da un ragazzo nel parcheggio; 3) Pier Luigi Bersani e Bruno Vespa (non insieme e che però non siamo riusciti a incontrare personalmente perché pare si siano defilati subito); 4) Anziani, anziani e ancora anziani.

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L'autore in una foto di gruppo.

Dopo aver analizzato attentamente la clientela, ci concentriamo sull'ambiente circostante e agli occhi degli altri esseri umani dobbiamo sembrare spaesati come indigeni di fronte ai coloni.

Il mezzo è il messaggio, e il messaggio traboccante da quegli scaffali ricolmi di bevande e cibo sembra essere uno solo: non ne avrai mai abbastanza. È così che appare un supermercato appena inaugurato, quindi: un prisma multicolore che riflette una luce diversa a seconda del punto di vista dell'osservatore; potresti trovarlo un incubo di Andy Warhol per i suoi scaffali zeppi di Coca Cola e lattine di succo di pomodoro, oppure un sogno di Wes Anderson per l'approccio geometrizzante col quale sono disposti i prodotti sugli scaffali.

Melania che ha lasciato la macchina fotografica per farsi ritrarre nel reparto detersivi con dei fiori che venivano distribuiti all'ingresso. 

"Qualche volta aveva l'ipermercato tutto per sé—e gli pareva fosse un'approssimazione abbastanza buona della felicità," scrive lo scrittore francese Michel Houellebecq nel suo La carta e il territorio. Effettivamente, l'ambiente in cui ci ritroviamo in questa particolare occasione rappresenta per i supermercati di cui ho avuto esperienza nella mia vita quello che Amazon è per i punti vendita online: un enorme deposito di stoccaggio in cui le merci sembrano non esaurirsi mai.

Ciò che colpisce è come gli individui presenti all'inaugurazione si siano precipitati all'interno del supermercato: era come se stessero aspettando la fine della guerra per vederne finalmente uno pieno.

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Un'altra cosa che constato aggirandomi tra le corsie è come l'Esselunga sia una catena che si regge evidentemente su piccoli tocchi stilistici destinati a imprimersi nella memoria dei consumatori. Per esempio, i prezzi non si misurano in altezza, bensì in larghezza: e così potrebbe capitarti, mentre sei in fame chimica e stai cercando disperatamente delle patatine di una sottomarca di trovarle a un prezzo eccezionalmente "corto", anziché "basso".

I prezzi corti e una loro possibile acquirente.

Io e Melania iniziamo ad avere fame. Mi torna in mente quel verso di Brunori sulla baguette, e così decido di rubare del pane. Poi ci ripenso perché comunque questo articolo devo pubblicarlo con nome e cognome, e così lo pago regolarmente alla cassa numero 15 della sezione "self service" del supermercato. Quattro baguette alla modica cifra di un euro e 45.

L'autore intento a scegliere baguette.

Con la massima professionalità ci mettiamo a mangiare nel parcheggio del supermercato, ovviamente gremito, poi prendiamo un caffè e torniamo all'interno dell'Esselunga, il cui brusio mi provoca delle fitte alla testa che durano tuttora mentre sto scrivendo questo pezzo.

Una volta rientrati, decidiamo di fare due chiacchiere con il direttore marketing di Esselunga, Livio Roncalli, che ci ha incuriosito per via del suo look hipster: capelli tagliati corti con riga di lato, barba piuttosto folta. Come tutti gli hipster, ha negato non solo di esserlo, ma persino di conoscere il significato della parola: "Non sono un millennial," mi dice, prendendo le distanze dalla cosiddetta Generazione Y e non a torto, visto che questa—almeno a sentire i Baustelle e Brunori Sas —pare composta esclusivamente da delinquenti smaniosi di rubare prodotti all'Esselunga. Poi però mi assicura che "il target dei giovani ci interessa esattamente come i meno giovani, che ci sono già più affezionati."

Livio Roncalli, direttore marketing di Esselunga.

Dopo questa testimonianza, io e Melania ci guardiamo intorno e decidiamo che è ora di andarcene. Il posto è ancora pieno di persone "meno giovani" che girano tra gli scaffali con aria più disillusa, il brusio è ancora forte, e quelle forniture infinite di cibo ci fanno sentire come se avessimo mangiato tutto il giorno—nonostante non siamo andati oltre la baguette.

Sulla via di ritorno, riflettiamo sulla domanda iniziale: cosa ha di speciale l'Esselunga? Nell'immaginario dei milanesi non è un semplice supermercato ma una specie di luogo iconico. Non ci si va solo a fare la spesa, ci si va addirittura per rimorchiare e tutti hanno qualcosa da dire sulla sua carta fedeltà e su quello che puoi comprarti con i punti accumulati. Anche se alla fine lo sai che finirai sempre a farti fare quei miseri dieci euro di sconto invece che aspettare e comprarti una macchina per le centrifughe.

Ecco, forse con il tempo anche a Roma ci affezioneremo, e anche mia nonna imparerà a chiamarla nel modo giusto.