Cibo

Questo piatto emiliano sconosciuto si chiama Borlengo, ed è atomico

Il borlengo è una crêpe sottile e croccante farcita con un battuto di lardo aglio e rosmarino. Si mangia sugli Appennini ed è buonissima.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT
Borlengo cosa è
Tutte le foto dell'autrice 

“La peculiarità del borlengo è che gli ingredienti sono semplicissimi, ma l’esecuzione è davvero complessa”

Per capire il borlengo si deve partire dalle sue possibili etimologie. Tutte rimandano alla parola burla, scherzo, perché in effetti questo impasto di acqua e farina un po’ uno scherzo lo sembra: sul piatto ti appare voluminoso, tracotante, quasi esagerato nei suoi tanti strati che sporgono sulla tavola. E poi lo mangi e si riduce a pochi bocconi.

Pubblicità

Sono cresciuta sugli Appennini emiliani dove è normale dire “Stasera andiamo a mangiarci un borlengo?”. È bastato trasferirmi a Bologna perché la parola “borlengo” suscitasse sopracciglia alzate e soprattutto perché non trovassi più posti dove andare a mangiarlo, il borlengo. È stato allora che ho capito che quello che consideravo un piatto tipico emiliano piuttosto noto in realtà è una specialità pressoché sconosciuta.

Cos’è il borlengo

Forse facciamo prima a cominciare dicendo cosa non è il borlengo. Non è una specialità opulenta come lo Scrigno di Venere o la Bomba di riso. Per parlare di piatti più famosi, non è un piatto ricco come il ragù, i tortellini o le lasagne: insomma ha poco a che vedere con la cucina emiliana come la conosciamo noi. Ma non è nemmeno uno street food come l’erbazzone perché, se escludiamo alcune sagre o feste di paese, si mangia solo seduti ai tavoli dei ristoranti.

Nella difficoltà di raccontarlo a chi non l’ha mai mangiato, proviamo a inquadrarlo geograficamente e storicamente. Le origini del borlengo stanno tra le province di Modena e Bologna, in una striscia di Appennino emiliano dove è anche conosciuto con il nome dialettale di burleng o con quello di zampanella. Le prime tracce documentarie della sua preparazione risalgono al Medioevo.

Da bravi “italiani ultra-patriottici” non ci piace sfruttare un paragone con un piatto della cucina francese, ma è probabilmente quello più utile per farvi capire di cosa si tratta: il borlengo è una crêpe sottilissima e croccante di farina e acqua (a volte anche uova) farcita con lardo, aglio, rosmarino (a volte anche salsiccia) e Parmigiano Reggiano.

Pubblicità

Dove si mangia il Borlengo

Parcheggio_Il_Borlengo.jpg

Il parcheggio del ristorante Il Borlengo. Foto dell'autrice.

Uno dei miei posti preferiti per mangiare il borlengo si chiama proprio Il Borlengo. Si trova su una tortuosa strada collinare in località Ca’ Comastri, circa 45 minuti di macchina da Bologna (inutile che cerchi di localizzarvelo in maniera più specifica, accendete il navigatore e partite). Da fuori sembra un bar di campagna a cui non affideresti mai la tua digestione ma la cucina è ottima: rustica in un suo modo preciso e affatto costruito.

Borlengo allo Stracchino.jpg

Il borlengo allo stracchino. Foto dell'autrice.

“C’è chi mette uova nell’impasto e chi al condimento aggiunge la salsiccia in modo che il grasso di maiale non si sciolga tutto”

Adoro mangiare qui i borlenghi perché non li preparano solo con il condimento classico Sul menu si legge Borlengo carne e Parmigiano, Borlengo stracchino e rucola, Borlengo brie e speck e Borlengo alla Nutella. Un purista li considererebbe indubbiamente eretici ma io devo confessare che quello ripieno di formaggio ha una morbidezza irresistibile che me lo fa preferire al tradizionale. I primi due costano 3 euro e gli altri due 3,50 euro.

Il Borlengo Tolè.jpg

Gli interni del ristorante. Foto dell'autrice.

In tempi pre-Covid qui si organizzavano tornei di briscola a cui mi ero sempre ripromessa di assistere. Tornate a organizzarli per favore — nel caso serva ho anche il Green Pass.

Osteria Santa Lucia

Borlengo_Osteria_Santa_Lucia.jpg

Il borlengo dell'Osteria Santa Lucia. Foto dell'autrice.

Qualche tornante più sopra, a Castel d’Aiano, troviamo l’Osteria Santa Lucia. Questa osteria è uno dei segreti meglio custoditi degli Appennini e già scriverne mi fa sentire in colpa. Tra i locali l’Osteria è conosciuta per due motivi: i tortelloni di ricotta e i borlenghi. L’ultima volta che ci sono stata ho visto una tavolata ordinarne nove a testa. Nove borlenghi. La media della mia compagnia, per capirci, è un borlengo o al massimo due a testa: normalmente si ordina come antipasto seguito un primo piatto. Uno dei fattori vincenti di Santa Lucia è che te ne fanno scegliere la consistenza: “Morbido o secco?”.

Pubblicità
Borlengo.jpg

Un'altra foto del borlengo perché non ne abbiamo mai abbastanza.

Non ne esiste una versione migliore o peggiore, è questione di gusti. Chiedo se posso vedere la preparazione del borlengo per filmarla ma è tempo di Covid e la cucina è giustamente off limits. In passato mi è già capitato di assistervi: l’impasto (colla o còla in dialetto) si versa sulla padella di rame (il sole) che, manovrata sapientemente dal borlengaio, fa cuocere il borlengo in pochi minuti. Si condisce ancora bollente con la cunza (pancetta o lardo macinati con aglio e rosmarino) e con il furmai (il Parmigiano). Si ripiega due volte su se stesso e si serve immediatamente.

Ogni paese, ogni famiglia ha la sua variante. C’è chi nell’impasto mette le uova — fino a 5 per ogni kg di farina — e chi al condimento aggiunge la salsiccia in modo che il grasso di maiale non si sciolga tutto ma ne rimanga una parte sbriciolosa. Quello di Santa Lucia è un borlengo fatto a regola d’arte, in cui la croccantezza dell’impasto e la sapidità del ripieno si coniugano alla perfezione. Tendo a tornare sempre lì perché ci sono affezionata, ma se cercate altri indirizzi per mangiare il borlengo a poca distanza c’è il ristorante Gea, mentre scendendo in pianura a Vignola, quindi già sconfinando nel modenese, si dice che la trattoria La Pieve faccia un borlengo da veri intenditori.

Perché il borlengo non è famoso?

“Questa cialda di 0,5-0,7 millimetri di spessore (dati del museo) è il tipico piatto povero che richiede generazioni di manualità”

Il borlengo è così buono, così economico e così unico nelle sue caratteristiche che mi chiedo perché non si sia espanso non dico in altre zone d’Italia, ma almeno in altre aree emiliane. Per rispondere ai miei dubbi vado a visitare il Museo del Castagno e del Borlengo a Zocca. Quando arriviamo è un sabato pomeriggio e a parte noi c’è un’altra famiglia in visita. Costo di ingresso: 1,50 euro a persona. I gentilissimi volontari guidano nelle stanze, all’interno di due belle case di pietra, di cui una è dedicata al borlengo, in onore del quale organizzano anche corsi, serate a tema e altre attività.

Pubblicità

Ci racconta che il 1266, la data considerata come l’origine del borlengo, è quella dell’assedio al castello della cittadina di Guiglia (una di quelle battaglie tra signorotti medievali di cui non credo vi interessi avere ulteriori dettagli — ma nel caso li trovate su Internet). Man mano che l’assedio proseguiva la farina per preparare i ciacci, una sorta di focaccia, scarseggiava, e così si sono trovati costretti ad “allungare” sempre più la farina. E così è nato il borlengo.

Museo_del_Borlengo.jpg

L'entrata del Museo del Borlengo

Che sia vero o falso poco ci interessa. Al museo fanno notare come le peculiarità del borlengo siano la semplicità degli ingredienti e la complessità dell’esecuzione. Un tempo veniva cotto su un fuoco di fascine nel camino. Oggi vengono realizzati fornelli speciali, i “fuochi”, appoggiati su un treppiede a un metro da terra: il loro costo, aggiunto a quello del sole (la padella di rame), è di circa 200 euro. Manovrare il sole, che ha un diametro di 40-45 cm ed è molto pesante, non è facile. Così come non lo è stabilire la giusta temperatura o il giusto tempo di cottura.

E anche l’impasto, la colla, deve essere pronto almeno 24-36 ore prima della preparazione. Quanto alla distribuzione della cunza, il ripieno, anche questa va fatta con grande attenzione, usando uno scopino particolare, compiendo un gesto che in dialetto si chiama “cuccolare”. Aggiungeteci che non esiste una ricetta univoca — anche se tendenzialmente verso la pianura, come a Vignola, non si usano le uova, mentre più si va in montagna più se ne usano — e capirete perché preparare un borlengo è una faccenda da esperti.

Pubblicità
Fornelli.jpeg

I fornelli per cuocere il borlengo.

Questa cialda di 0,5-0,7 millimetri di spessore (dati del museo) è quel tipico piatto della cucina povera italiana che per essere preparato richiede però una grande manualità e il patrimonio di generazioni di esperienza.

Forse la vera ragione della sua esistenza fondamentalmente di nicchia è che non raggiunge gli stessi livelli di opulenza delle specialità emiliane più famose: non è unto come il ragù, confortevole come i tortellini, sfacciato come la lasagna. Ha un suo fascino campagnolo più sobrio e forse più inaccessibile ai più. Ma io continuo a pensare che un borlengo mangiato ai tavoli di una bella osteria di campagna, mentre cerchi nel portafoglio i tre euro per pagarlo, sia un’esperienza gastronomica con pochi paragoni in Italia.

Segui Giorgia su Instagram.

Segui MUNCHIES su Facebook e Instagram.