Guida Michelin Italiana storia
Una riproduzione della prima Guida Michelin Italiana del 1956. Foto di Roberta Abate per Munchies Italia
Cibo

Quando la Guida Michelin italiana assegnava le stelle anche a trattorie e pizzerie

"Le Stelle Michelin in Italia" riassume tutte le edizioni della guida Michelin Italiana. E fa scoprire cose assurde - tipo una pizzeria stellata.
Andrea Strafile
Rome, IT

“30 anni fa quello che oggi chiamiamo gourmet era rappresentato anche da una semplice pastasciutta fatta bene”

Ogni volta che parlo di una mia cena a un ristorante stellato, o comunque di “un certo livello”, c’è sempre l’amico di turno che mi dice come per lui tutti i ristoranti di quel tipo siano una perdita di soldi e si esca inevitabilmente con la fame. “Meglio una bella mangiata in trattoria”, dice l’amico. “Non sopporto quei microscopici piattini fighetti.”

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Che ci crediate o no, c’è stato un tempo in Italia in cui anche le trattorie prendevano stelle Michelin. Per saperlo basterebbe “solo” prendersi la briga di consultare tutte le guide mai uscite in Italia, e per fortuna c’è chi l’ha fatto, pubblicandole in un unico volume biblico dal titolo Le Stelle Michelin In Italia di Manfredi Nicolò Maretti (Maretti Editore, 1184 pagine).

A partire dal 1959 fino ad arrivare al 2021, in questo libro si trovano, divisi per anno e per regione, tutti i ristoranti stellati mai esistiti in Italia, con tanto di simboli sulla qualità del servizio e quelli su chi aveva o ha anche delle camere dove pernottare. “Ho iniziato a collezionare le guide Michelin italiane un anno e mezzo fa,” mi dice al telefono l’autore Manfredi Nicolò Maretti. “La più rara forse è quella del 1958, quando non esistevano ancora le stelle in Italia e la Guida si fermava a Siena, perché non c’erano autostrade dopo la Toscana.” Ricordiamoci sempre che la guida Michelin è una guida fatta per gli automobilisti: ora non ce ne frega più molto, ma all’epoca era nata proprio per invogliare i pochi possessori di auto a comprare i pneumatici Michelin.

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Manfredi Nicolò Maretti con la sua collezione delle guide Michelin italiane. Foto per gentile concessione di Manfredi Nicolò Maretti.


Ci sono un bel po’ di statistiche curiose: ad esempio il fatto che nel primo anno ci fossero 84 stellati (una stella), mentre oggi ce ne sono 351 (323 monostellati, 37 bistellati, 11 tristellati). Oppure che la Lombardia ha avuto nel complesso quasi più stelle del Veneto e dell’Emilia Romagna messi assieme. O ancora che San Marino ha avuto solo e sempre un ristorante stellato (Righi La Taverna). E poi saltano all’occhio nomi di ristoranti che oggi non penseremmo mai potessero essere presenti nella guida. Me ne sono accorto aprendo il libro a caso e trovandoci la trattoria Da Checchino, che avevo visitato scoprendo che era lì che era stata inventata la coda alla vaccinara. Un posto splendido, dove si mangia da Dio, eh. Ma dove ti servono la carbonara e la trippa al sugo. Così ho cercato di capire un po’ le motivazioni del perché, una volta, anche posti più alla mano potevano ricevere una stella Michelin. E adesso no.

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“Io credo che semplicemente siano cambiati i parametri di valutazione dopo l’arrivo di alcuni ristoranti che hanno segnato una linea di demarcazione tra cucina tradizionale e alta cucina,” mi dice Manfredi Nicolò Maretti. “Dagli anni Settanta, con il San Domenico a Imola e Gualtiero Marchesi a Milano si è sempre più cercato di premiare una cucina che non fosse più solo buona, ma anche estetica e concettuale.”

Perché nella Guida Michelin adesso non ci sono più trattorie

Per capirci di più, e capire la transizione fra trattorie e ristoranti elegantissimi, ho sentito due diretti interessati: il proprietario di una trattoria che fu stellata e un critico gastronomico parecchio navigato.

Da Checchino a Roma è una trattoria aperta dalla fine dell’ 800. Qui si è inventata la coda alla vaccinara, si è sempre mangiato di sostanza come si deve e così è tutt’ora. Nel 1991 e fino al 2001 ha avuto una stella Michelin, senza mai infighettare i propri piatti. “Non abbiamo fatto nulla in particolare per prendere la stella, nemmeno ci pensavamo,” mi racconta Francesco Mariani. “All’epoca però avevamo all’epoca molti più vini e diverse etichette francesi. Non eravamo una delle classiche trattorie romane, i nostri piatti erano tradizionali sì, ma sempre curati.

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La trattoria Checchino dal 1887. Foto di Andrea Di Lorenzo per Munchies.

La questione del vino, e in particolare del vino francese in carta, è sempre stata nell’aria come una seria discriminante: “Poi è arrivata la cucina molecolare e i piatti dei ristoranti si sono fatti sempre più sofisticati. Ma 30 anni fa quello che oggi chiamiamo gourmet era rappresentato anche da una semplice pastasciutta fatta bene.” Da Checchino non era l’unico ristorante tradizionale o trattoria nella guida: nel 1958 compariva anche Alfredo alla Scrofa, dove sono state inventate le Fettuccine all’Alfredo, per dare un altro esempio.

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Una volta per mangiare bene dovevo farmi veramente tanti chilometri

Ad aiutarmi a capire ancora meglio perché oggi tutti gli stellati d’Italia siano posti molto più costruiti o eleganti è stato il critico gastronomico Luigi Cremona, famoso per assaggiare tutti i piatti dei ristoranti e non mangiare mai un piatto intero, dal 1982. “Negli anni 80 la distinzione era più basica: o andavi al ristorante o andavi in trattoria,” mi dice Luigi Cremona. “Oggi quasi non esistono più la trattoria o il ristorante. È proprio cambiata la formulazione. In generale mi sento di dire che il livello della cucina si è alzato moltissimo anche negli indirizzi più semplici. Ed è molto meglio così: una volta per mangiare bene dovevo farmi veramente tanti chilometri.”

“La pizzeria Negri a Salerno è stata l’unica, nel 1961-62, a prendere una stella Michelin”

Giustamente, come mi ricorda Luigi Cremona, la Michelin ha anche una guida separata con indirizzi più alla mano, dove spendere meno, la Bib Gourmand: quindi è lì che oggi finiscono alcuni di questi posti più alla mano. Va detto, però, che sono davvero molto pochi. E nemmeno così alla mano — almeno non tutti. Ma un’altra questione discriminante non riguarda la cucina. A volte sembra che, con un livello generale abbastanza alto, la differenza la faccia il servizio. “Se la cucina ha avuto un’evoluzione importante, la sala ha avuto un’involuzione un po’ triste: io penso che alla Michelin interessi premiare quegli indirizzi che si può capire durino più di sei mesi e in cui il servizio sia all’altezza dei piatti. Cucina, sala e continuità nel tempo sembrano essere le chiavi per essere nella guida con delle stelle.”

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Le Stelle Michelin e le pizzerie

Uno dei più grandi dibattiti oggi, riguardo la Guida Michelin in Italia, è quello sulla pizza: in un’epoca dove ci sono grandiose pizzerie con studi sulla lievitazione maniacali, topping interessantissimi e un servizio elegante— in Italia ma anche nel mondo— non è ancora mai arrivata una sola stella per una pizzeria. “La pizzeria Negri a Salerno è stata l’unica, nel 1961-62,” mi dice Manfredi Nicolò Maretti. “Ma era un ristorante-pizzeria e credo venne premiata per il ristorante e non per la pizza. La mancanza della pizza in guida è una cosa abbastanza grave e sicuramente un limite: una pizza buona è un grandissimo piatto e la pizza cosiddetta gourmet è ormai un fenomeno mondiale. Credo sia ancora uno scoglio culturale,” aggiunge Luigi Cremona.

Nessuno sa se le trattorie torneranno mai nella Michelin o se finalmente ci entreranno anche le pizzerie. Però me lo auguro: perché in fondo anche io mi sono stufato di questi microscopici piatti fighetti.

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