FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Abbiamo chiesto ad alcuni italiani di origini straniere se l'Italia è un paese razzista

L'omicidio di Fermo ha riportato al centro del dibattito nazionale il tema del razzismo e della xenofobia. Ma il nostro è un paese razzista? Per capirlo, lo abbiamo chiesto direttamente ad alcuni stranieri e italiani di seconda generazione.

L'uccisione del richiedente asilo nigeriano Emmanuel Chidi Namdi—e le varie reazioni che ha scaturito questo fatto—ci hanno posto nuovamente di fronte a una domanda ben precisa: l'Italia è un paese razzista e xenofobo?

Per alcuni, Libero in primis, in realtà non c'è alcun problema; anzi, il problema è rappresentato dalla "sinistra buonista" che vuole costringere tutti "ad accettare di buon grado le invasioni barbariche." Per altri, invece, quello che è successo a Fermo è l'espressione di una montante intolleranza nei confronti degli stranieri o di chi è percepito come tale.

Pubblicità

Chiaramente, è difficile arrivare a una risposta univoca su un tema del genere. Secondo alcuni recenti sondaggi, l'Italia sarebbe un paese profondamente intollerante e anche disinformato sulla reale presenza numerica degli stranieri in Italia; e in più, ci sono rapporti come i Libri bianchi sul razzismo che consegnano un riquadro tutt'altro che edificante. Personalmente, almeno tra le persone che frequento, non conosco nessun razzista, quindi è facile ignorare il problema, così come dare per scontato che esso riguardi soltanto persone arrivate qui da poco o 'non italiane'. Abbiamo quindi deciso di restringere il campione chiedendo a nostri coetanei—italiani di seconda generazione, nati e cresciuti in Italia, o stranieri trasferitisi qui da un certo periodo di tempo—per capire se le cose siano cambiate negli ultimi anni e quanto la percezione del 'diverso' possa sfociare nell'intolleranza.

Angelo Hu, 21 anni, studente.
Nato a Firenze da genitori cinesi

L'Italia di base non è razzista. Sono nato e cresciuto qua, e quello che la gente mostra, ultimamente sempre di più, non è razzismo ma paura. La situazione attuale mi preoccupa: il caso di Fermo, l'odio verso i rom, la rabbia contro i profughi, sono tutte cose che anche se non attribuibili direttamente al razzismo mostrano una chiusura che non può che spaventare e che spesso impedisce alle persone di ragionare.

I miei genitori sono migranti economici, sono venuti in Italia molti anni fa, quando la Cina ancora non era economicamente florida. Ma la violenza, nei confronti della minoranza cinese, è soprattutto verbale e crescendo non sono mai stato vittima di episodi di razzismo esplicito. Certo, capitava che a scuola i bambini mi prendessero in giro—e i bambini possono essere molto cattivi— ma quello non era razzismo, era ingenuità. Del resto, quegli stessi bambini ora sono miei amici.

Pubblicità

Lidia, 25 anni, contabile.
Nata a Milano da genitori eritrei

Ho vissuto per la maggior parte della mia vita adulta a Londra, un covo multietnico dove mi sono sentita veramente a casa—e per come la conosco io, la Brexit ha molto poco a che fare con il razzismo e molto di più con la cattiva informazione. Comunque, paragonandola con Londra, è ovvio che l'Italia è molto più chiusa alle culture e razze diverse. Detto ciò, non credo sia razzista; il razzismo al quale ho assistito è dettato esclusivamente dall'ignoranza nei confronti di culture diverse e di come funziona nel resto del mondo.

Io parlo da persona completamente occidentale, uguale per stile di vita e riferimenti culturali a qualsiasi mio coetaneo italiano, e forse anche per questo mi sono sempre sentita accettata. Dall'altra parte, questo non significa che non abbia assistito a scene di razzismo. Ne ho realizzato l'esistenza qualche anno fa, quando un ragazzo di colore che conoscevo è stato ucciso per aver rubato dei biscotti. In quello stesso periodo uscivo con un gruppo di 10-15 ragazzi di origine africana: una volta eravamo al McDonald's, e dei poliziotti in borghese hanno chiesto ad alcuni di noi il documento, in quanto in zona c'era appena stato uno stupro.

Alle volte, poi, mi trovo di fronte a una diffidenza che sono sicura non incontrerei se non fossi di colore: in banca o alle poste, i controlli e le domande sono sempre più dettagliate, vengo guardata sempre con un velo di sospetto. Credo però che le cose in Italia stiano migliorando.

Pubblicità

Sonia, 25 anni, studentessa e collaboratrice di Noisey.
Nata ad Arezzo da genitori peruviani

Faccio fatica a dire in modo netto se l'Italia è un paese razzista o no. Ci sono diverse sfaccettature: più che profondamente razzista, io direi che l'Italia è intollerante. Esistono sicuramente forme indirette, che mostrano un certo tipo di mentalità nei confronti del diverso. Ogni tratto somatico diverso da quello standard in Italia viene considerato esotico: mi sento chiedere in continuazione se sono italiana.

La storia che raccontano i miei è molto diversa dalla mia: sono venuti in Italia dal Perù per lavorare e le discriminazioni che hanno subito, soprattutto nei primi anni, sono state incredibili. Questo si è tradotto nel fatto che fin da subito hanno rifiutato qualsiasi tipo di condotta che potesse confermare lo stigma di immigrato: non hanno mai voluto fare richiesta per la casa popolare, non hanno mai chiesto le varie agevolazioni scolastiche, hanno fatto di tutto per farmi capire che dovevo andare bene a scuola e dovevo integrarmi—non tutti gli stranieri sono trattati allo stesso modo.

Anni, 22 anni, studentessa.
Nata in Cina, vive a Milano

In questi 16 anni in Italia ho vissuto in un paesino di duemila abitanti, a Padova e a Milano. La situazione cambia di città in città, ma in Italia un fondo di razzismo c'è, vista anche l'immigrazione di origini molto recenti. Essendo cinese, i commenti razzisti che mi vengono fatti—e del resto gli unici episodi di razzismo di cui sono stata vittima—sono di natura economica: i cinesi "non pagano le tasse," "fanno soldi in nero," "rubano il lavoro agli italiani." Qualcuno che nel locale fa il commento stupido lo trovo sempre, come una certa ostilità diffusa nei miei confronti.

Pubblicità

Ovviamente niente a che vedere con quello che ha vissuto mia madre, che quando è arrivata non trovava nessuno che le volesse affittare la casa in quanto cinese. Del resto, però, anche la Cina ha la sua dose di razzismo, quindi non me la sento di guardare quello italiano come un caso a sé, e di anno in anno mi sembra che le cose stiano migliorando.

Rodrigue, 33 anni, atleta.
Nato in Camerun, vive a Firenze

Nella mia vita ho subito degli episodi di razzismo, ma in fondo non credo che l'italiano di per sé sia razzista. Ci sono i criminali e gli idioti, come in tutti i paesi del mondo, ma non esiste una cultura xenofoba.

Il razzismo, secondo me, lo senti quando le persone intorno a te te lo fanno sentire: quello è razzismo vero, il razzismo individuale. Ecco, io personalmente tra le persone che ho frequentato, anche superficialmente, non ho mai conosciuto chi mi trattasse diversamente semplicemente perché ero nero. Ho avuto la fortuna di praticare sport, tramite il rugby mi sono integrato subito. Capita che le persone sugli spalti mi fischino o mi facciano il verso della scimmia, ma quella è ignoranza e mi scivola via.

Ho notato, viaggiando per lavoro, che il razzismo aumenta al Sud, e questo è strettamente collegato al fatto che il razzismo sia cresciuto in tutt'Italia negli ultimi tempi. Ha a che fare, infatti, con la paura, con la crisi economica. Quando i soldi sono meno, i posti di lavoro scarseggiano, lo stato sociale viene a mancare, ce la si prende con il diverso, c'è bisogno di un nemico—non credo che questo sia dimostrazione che l'Italia è razzista.

Pubblicità

Martín, 29 anni, cameriere.
Nato in Perù, vive a Milano

Su di me direttamente non ho mai sentito del razzismo, non ho mai pensato che i miei tratti somatici abbiano rappresentato una limitazione. Con questo non voglio dire che in Italia non ci sia: è ovunque, anche tra gli immigrati stessi, è una guerra tra poveri. Episodi come quello di Fermo succedono quando il razzismo latente che pervade la società esplode.

In Italia, del resto, non siete abituati alle differenze. Ma dipende anche da con chi sei, a che ora, con quale aspetto. Mi capita spesso di uscire con un gruppo di latini: quando siamo insieme agli occhi della gente diventiamo immediatamente un branco di immigrati, e l'ostilità nei nostri confronti è palpabile. Quello che ho notato, dall'altra parte, è un grande gap generazionale: i giovani sono molto più aperti rispetto alle persone anziane. Questo mi fa ben sperare.

Ismaele, 25 anni, studente.
Nato a Verona da padre senegalese Non ho mai subito degli episodi di razzismo, e non sono mai stato discriminato in ambito lavorativo o accademico. Ciononostante, sono circondato da una base di sospetto: ho sempre bisogno di farmi conoscere un po' dalla gente prima che abbandonino la diffidenza. Mi capita di chiedere un accendino o delle indicazioni e di vedere la perplessità negli occhi del mio interlocutore—io che non ho nessun accento, figuriamoci chi ce l'ha. Di base quindi, credo che in Italia un po' di razzismo ci sia.

È vero anche che l'Italia è diffidente contro ogni tipo di diversità (di colore, di orientamento sessuale, di religione): l'italiano è spaventato di fronte a ciò che non conosce bene ma si apre quando ci entra in contatto. Il fatto che negli ultimi anni abbiamo avuto sempre di più a che fare con persone di colore, immigrazione, e diversità, fa sì che le cose stiano gradualmente migliorando, noto meno ostilità. Lo stesso discorso lo posso fare per quanto riguarda la differenza tra Verona (dove ho vissuto fino a quattro anni fa) e Milano: Verona, essendo una città chiusa e piccola, è molto più razzista rispetto a Milano.

Segui Flavia su Twitter

Segui la nuova pagina Facebook di VICE Italia: