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Politică

Dare la colpa di tutto alla Francia non è 'rialzare la testa': è il solito vittimismo

Perché la Francia ha preso il posto della Germania come peggior nemico dell'Italia?
Niccolò Carradori
Florence, IT
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Di Maio e Di Battista con una delegazione dei gilet gialli francesi. Foto via Twitter.

Il governo francese con una nota ufficiale ha richiamato in patria Christian Masset, l'ambasciatore di stanza sul suolo italiano, per delle "consultazioni". Un avvertimento diplomatico piuttosto eloquente, che arriva all'apice di uno scontro politico tra Francia e Italia che va avanti ormai da mesi, e che si è inasprito sempre di più.

Non accadeva dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che la Francia ritirasse l'ambasciatore dall'Italia: dubito fortemente che domani Salvini si affaccerà dal balcone di Palazzo Venezia chiamando gli italiani all'ora delle decisioni irrevocabili, ma non sembra comunque un buon segno. Soprattutto osservando le reazioni piccate di Di Maio, di Di Battista e di Salvini (forse il più diplomatico, pensate voi) alla mossa di Macron; e il modo in cui il TG2 ha trattato l'argomento con un servizio grottesco di ironico orgoglio nazionale.

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"La Francia," si legge nella nota, "da molti mesi è oggetto di accuse ripetute, attacchi senza fondamento, dichiarazioni oltraggiose. […] Essere in disaccordo è una cosa, strumentalizzare la relazione a fini elettorali è un’altra." L'ultimo episodio in ordine cronologico è stato sicuramente l'incontro di Di Maio e Di Battista con una delegazione (minoritaria e delegittimata) dei gilet gialli—la formazione movimentista francese al centro delle rivolte contro il governo Macron—ma dalla scorsa estate gli attriti si sono moltiplicati col passare del tempo, e le forze politiche che guidano l'Italia continuano ad avversare la Francia su ogni terreno: sull'immigrazione, sui controlli doganali, sulla questione del terrorismo italiano, e sulle dispute politiche in vista delle europee. E, va detto, il governo francese ha spesso innaffiato di cherosene la situazione, con dichiarazioni inopportune e mosse politiche ed economiche rivedibili.

Il sentimento popolare anti-francese è cresciuto a dismisura nell'ultimo anno e mezzo: si può dire, anzi, che ormai la Francia ha ufficialmente spodestato la Germania nella hit parade delle "nemiche europee dell'Italia". Macron in questo momento incarna appieno tutto l'astio che una larga fetta di italiani nutre verso "l'Europa delle élite e delle lobby che vuole sottomettere l'Italia," forse addirittura più di quanto la Merkel abbia fatto negli ultimi dieci anni.

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Questa percezione di diffidenza e inimicizia ha una triplice base: storica, politica e propagandistica.

Nonostante per un certo periodo la Francia in politica estera sia apparsa quasi come un'alleata dell'Italia nel contrastare l'egemonia economica tedesca, in realtà il rapporto che abbiamo avuto con i francesi è spesso stato diplomaticamente peggiore rispetto a quello con la Germania. Per ragioni di contingenza politica, ma anche per un certo retroterra culturale e filosofico. La Francia è il paese europeo dell'identità nazionale e dei grand commis ligi al senso dello stato, l'Italia di identità nazionale ne ha sempre avuta pochissima—se non nel suo periodo peggiore—e lo stato non è esattamente vissuto come una macchina verso cui sottomettere la propria volontà. I nostri cicli politici, poi, sono quasi sempre stati alterni: quando loro avevano una base democratica e repubblicana noi eravamo monarchici e conservatori; quando loro erano socialisti e radicali noi eravamo fascisti; quando loro si affidavano a guide autoritarie e lineari come quella di De Gaulle, noi eravamo nel limbo della partitocrazia più sbocconcellata della storia. E così via.

Esiste da sempre poi, la percezione che la Francia ci consideri e ci tratti alla stregua di garzoni di bottega, fin dai tempi in cui Francesco Crispi veniva dipinto dai francesi come il lustrascarpe di Bismarck. Un'idea che si è poi propagata dalla dottrina Mitterrand fino al rapporto di odio-amore fra Berlusconi e Sarkozy. La Francia insomma, è un nemico facile per l'Italia: ci detestiamo e punzecchiamo da sempre, mentre discutiamo delle testate di Zidane e dello scontro fra tagliatelle al ragù e soupe à l’oignon.

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Una rivalità che è rispuntata in un momento storico come quello che stiamo vivendo: mentre le dinamiche sovraniste e populiste esplodevano definitivamente e si apprestavano a prendersi l'Italia, in Francia veniva eletto Emmanuel Macron.

I nostri giornali hanno sempre rimarcato le somiglianze e le "piena sintonia" fra il presidente francese e Matteo Renzi, in un momento in cui l'ex presidente del consiglio era più assediato di Michelangelo a Firenze nel 1530. Macron era un po' il Renzi francese (con l'aria ancora più patrizia e corporate), e il suo progetto politico—En Marche!, che ha asfaltato Marine Le Pen— rappresentava in un certo senso l'aspirazione dei renziani e il disgusto di tutti gli anti renziani: un partito svincolato dalle dinamiche socialiste, e con una forte impronta neoliberista. Il suo successo, insomma, era un monito per l'eventualità che Renzi, sposando definitivamente Yoko Ono e diventando solista, avrebbe potuto ancora farcela. Hanno addirittura cofirmato un manifesto anti-sovranista.

Al di là del fatto che il macronismo in Francia si sia rivelato presto molto meno forte e futuribile di quanto ci si aspettasse, i nostri politici in ascesa lo hanno avversato fin da subito. Lustrando una retorica anti-francese che ha la sua massima rappresentanza nelle critiche accese al neocolonialismo (vedi polemica sul franco cfa) economico in Africa, e all'ipocrisia della Francia riguardo all'immigrazione.

Da parte sua, la Francia ha sempre risposto in modo piccato a questi attacchi. Talvolta provocando in modo stupido, come quando il portavoce di En Marche! ha pubblicamente definito "vomitevole" l'approccio di Salvini al problema migranti, o con i riferimenti di Macron alla "lebbra populista che avanza in paesi in cui credevamo non fosse possibile." I problemi politici e diplomatici hanno cominciato ad intensificarsi subito dopo la formazione dell'attuale governo italiano: a partire dal caso Aquarius, per poi proseguire con gli scontri su Ventimiglia e sulla Libia, con i respingimenti a Clavière, con la vicinanza manifesta ai gilet gialli dei grillini, e con la storia dei dossier sui terroristi latitanti in Francia.

Ogni rimbalzo di polemica a cui la Francia ha prestato il fianco è stato agguantato da grillini e leghisti, per il terzo fattore di cui parlavamo: quello propagandistico. Il governo giallo-verde ha disperatamente bisogno di un nemico identificabile per le sue retoriche politiche—è sempre così in generale, ma lo è di più alle porte delle elezioni europee—e la Francia di Macron è un avversario di lungo corso, e anche un po' antipatico. La Germania non è più il monolite di cinque anni fa, e si presta meno a questo gioco: un po' perché sta attraversando una fase di cambiamento politico, e un po' perché il suo approccio al governo italiano è più morbido e conciliante. In Francia, poi, grazie ai gilet gialli è in atto un movimentismo sociale a cui i nostri politici possono aggrapparsi forte per validare le proprie istanze di contrasto.

Insomma: la Francia in questo momento è il bersaglio perfetto per il vittimismo e il benaltrismo politico italiano. Una predisposizione alla politica estera che mandiamo avanti, con orgoglio, da ormai un decennio in Europa. La colpa deve essere di qualcuno: qualcuno che incarna tutte le mancanze necessarie alla prosperità italiana. Qualcuno che ci tarpa le ali, e a cui ci ribelliamo con eroismo lanciando le tegole dei tetti come a Milano nel 1853. Qualcuno che non siamo noi.

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