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Cibo

Il ragazzo che porta avanti la tradizione dell'antico gelato sardo fatto con la neve

È l'ultimo posto dove immaginereste di mangiare la neve d'estate, eppure in questo paese della Barbagia è stato inventato un sorbetto 400 anni fa.

Immagina la Sardegna. A cosa stai pensando? Forse a quella festa in spiaggia, con i piedi che affondavano nella sabbia bianca e finissima. O magari a quella volta in cui ti sei tuffato in un mare cristallino.

Ok, resetta tutto. Allontanati dalla costa e percorri le strade strette e curve che portano nel centro Sardegna. Lungo il cammino è più probabile incontrare mucche, capre o cavalli, invece che altre macchine. Si arriva ad Aritzo, un piccolo borgo a 110 km da Cagliari. Siamo in Barbagia e qui l’atmosfera è ancora un po’ quella che si respirava al tempo dei nostri nonni, con attività antiche, oggi andate quasi perse, ma che qui si cerca di mantenere vive. Tra queste, ce n’è una singolare. Una che se pensi a che lavoro si sarebbero potuti inventare 400 anni fa in Sardegna, questo è l’ultimo che ti verrebbe in mente.

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Nel diciassettesimo secolo, ad Aritzo si cominciò a raccogliere e conservare la neve durante l’inverno per poterla poi vendere d’estate.

Me lo racconta Sebastiano Pranteddu, originario proprio di Aritzo ma oggi residente a Tuili, che da quattro generazioni prepara la Carapigna seguendo la ricetta tradizionale.

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Che cos’è la carapigna? È il più antico gelato sardo, o meglio un antenato del sorbetto al limone. Il primo dolce freddo che fu servito in Sardegna. Per scoprirne le origini bisogna fare un bel salto indietro.

Nel diciassettesimo secolo, ad Aritzo si cominciò a raccogliere e conservare la neve durante l’inverno per poterla poi vendere d’estate. Esiste un documento che attesta che nel 1636 tre appaltatori ottennero la concessione per il commercio della neve che era monopolio di stato appartenente al regno spagnolo che dominava l’isola (fonte: La carapigna, granita di Aritzo - primi risultati di una ricerca etnografica - P. Filigheddu, L. Gasperini, P. Marcialis. Sassari - Gallizzi, 1991).

Arrivata l’estate, iniziava il commercio della neve, che grazie alla pressatura era divenuta ghiaccio, e veniva trasportato in blocchi perfettamente avvolti da strati di paglia, un isolante termico.

I niargios, ovvero i dipendenti degli imprenditori della neve (che fa un po’ Game of Thrones, ma qui non ci sono né barriere né zombie) durante l’inverno salivano sul vicino monte Gennargentu per prendere la neve e conservarla all’interno di neviere chiamate domos de su nie. Erano pozzi profondissimi creati con il solo scopo di contenere la neve, la quale veniva pressata con paglia e felci dai niargios e, per tutto l’inverno, rimaneva chiusa in questi spazi coperti con muretti a secco, blocchi di pietra tenuti assieme senza nessun legante. Quelli usati per i nuraghe, per intenderci. “Spesso capitava di passarci sopra senza sapere che lì sotto c’era una neviera”.

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Arrivata l’estate, iniziava il commercio della neve, che grazie alla pressatura era divenuta ghiaccio, e veniva trasportato in blocchi perfettamente avvolti da strati di paglia. E se si scioglieva? No, non succedeva perché la paglia è un isolante termico.

Al galoppo con i carri da Aritzo verso Cagliari, e poi successivamente in tutta la Sardegna, viaggiavano i cavallanti, che rifornivano di ghiaccio la città. In un primo periodo, veniva destinato alla sola conservazione degli alimenti, ma col tempo scoprirono che potevano utilizzarlo per creare un prodotto buono e rinfrescante: sa carapigna.

Alla fine del 1800, i cavallanti e i niargios, trovandosi in uno stato di sudditanza nei confronti degli imprenditori della neve, si staccarono lentamente dall’attività del commercio, preferendo portare avanti quella della produzione della carapigna. La raccolta delle neve in montagna era sempre più difficoltosa e poco remunerativa. Non aiutavano neanche gli scambi con la Norvegia: dalla Sardegna partivano navi cariche di sale alla volta del nord Europa e tornavano con il ghiaccio. Nel 1903 a Cagliari aprì la prima fabbrica di ghiaccio e anche le neviere vennero via via abbandonate.

Alla fine del secondo dopoguerra, le licenze erano state depositate: la carapigna era diventata un vezzo impossibile da soddisfare in tempi di crisi. Solo due famiglie avevano continuato l’attività e una di queste era quella del bisnonno di Sebastiano, che poi la cedette al nonno.

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Una credenza comune è che il ghiaccio sia uno degli ingredienti e che i movimenti rotatori servano a triturarlo. Sbagliato! Il ghiaccio è solo lo strumento utile a raffreddare e creare il prodotto così com’è.

cartello-in-legno

Nel 1953 nonno Salvatore si trasferì a Tuili, continuando l’attività della famiglia secondo la tradizione e per la felicità della gente. Pensa solo al calore dell’isola durante l’estate e all’impossibilità di avere qualcosa di buono e fresco da mangiare. Insomma, meno male che la famiglia Pranteddu si rimette all’opera per produrre sa carapigna.

Gli ingredienti sono pochi e apparentemente semplici: succo di limone, acqua e zucchero. Ma il punto è: come fa questa soluzione ad assumere la consistenza della neve ed essere la cosa più buona e naturale che possiate mangiare d’estate? Sebastiano me lo spiega ad un evento dedicato allo street food in cui lo incontro a Cagliari. Mi mette davanti i tre strumenti che servono per creare sa carapigna: un mastello in legno di castagno (su barrile), la sorbettiera in acciaio inossidabile ( sa carapignera) e una paletta in acciaio per mantecare ( su ferru ‘e ferru). In passato ce n’era un quarto, una paletta in legno ( su ferru ‘e linna), che però oggi, per questioni igieniche, non viene più usata.

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“Si prepara una soluzione di acqua, zucchero e succo di limone. È una ricetta segreta che permette di estrarre un po’ tutto del limone, dalla polpa, al succo, alla scorza. Il composto viene versato all’interno de sa carapignera, che viene chiusa con il suo tappo impugnabile ed inserita all’interno di su barrile. Lo spazio fra i due contenitori viene riempito di ghiaccio e sale, usato per due ragioni. Scioglie il ghiaccio molto rapidamente e, contemporaneamente, rigirando la carapignera nel barrile, crea una reazione endotermica, che abbassa la temperatura fino a circa –14° C”.

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Ghiaccio-e-sale

Sebastiano è cresciuto facendo la carapigna col nonno e col padre, ma in realtà è un chimico, perciò mi parla di reazioni chimiche, fisiche, fusione accelerata e miscela frigorifera con la stessa naturalezza con cui io attendo che questa simil neve sia pronta per assaggiarla. Il procedimento per la preparazione è però lungo.

Dettagli-produzione-carapigna

A turno, la sua mano destra e poi quella sinistra afferrano il manico della carapignera girandola all’interno del barrile. È un lavoro di forza e pazienza. Tanta pazienza. Assisto alla danza dal ritmo dolce e serrato che accompagna la preparazione. Sì, perché Sebastiano sembra ballare, ondeggiando a destra e a sinistra e concentrando la forza sulle braccia e i polsi. Per mezz’ora, instancabile. Ogni tanto aggiunge altro ghiaccio e altro sale, per poi riprendere a roteare. Le mani arrossiscono, un po’ per il contatto col freddo e un po’ per la concentrazione della forza.

Le persone sono curiose e chiedono informazioni. Certo, non capita ogni giorni di vedere una persona che trasforma la limonata in neve. Sebastiano lavora e nel frattempo racconta il suo prodotto con l’orgoglio di chi sa che sta proteggendo e mantenendo una tradizione secolare. Una credenza comune è che il ghiaccio sia uno degli ingredienti e che i movimenti rotatori servano a triturarlo. Sbagliato! Il ghiaccio è solo lo strumento utile a raffreddare e creare il prodotto così com’è.

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Dopo circa mezz’ora, apre il coperchio della carapignera: la miscela liquida iniziale è diventata un composto denso. La reazione fisica ha fatto in modo che avvenisse un congelamento sulle pareti interne, creando una patina di limonata gelata che Sebastiano manteca con la paletta in acciaio. Inizia qui la seconda fase della preparazione e anche questa durerà circa mezz’ora. Prima smuove il prodotto con su ferru ‘e ferru. Poi rotea ancora la carapignera tenendo la paletta all’interno e sciogliendo i grumi che si sono creati, così da mantenerla morbida e cremosa come la neve. “Qui abbiamo circa 5 kg di prodotto”.

Mantecatura-carapigna

Mi chiedo come possa venire in mente a un chimico di lanciarsi in un’attività ormai praticamente scomparsa e che conoscono in pochi anche in Sardegna, quindi figuriamoci fuori. “La mia è stata una mossa azzardata, ma avevo un’idea precisa di ciò che volevo fare con sa carapigna. Dopo la laurea e una formazione alla Scuola Italiana di Gelateria a Perugia, mi sono staccato dall’attività di famiglia e porto avanti da solo l’azienda, facendomi aiutare da collaboratori.”

Sento una certa responsabilità. Sono uno degli ultimi eredi in grado di portare avanti questo mestiere e nella mia famiglia, quando mio padre andrà in pensione e smetterà, non ci sarà più nessuno a farlo.

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E quando parliamo di azienda, non pensiamo alla gelateria dove acquistare il prodotto, perché Sebastiano è un itinerante. Sa carapigna oggi è al nord della Sardegna, domani al sud e dopodomani chissà, in un altro evento, proprio come accadeva secoli fa ai cavallanti che si spostavano per vendere la neve. Viaggia costantemente per tutta l’isola, ricomponendo ogni volta il suo stand plastic free, che è una ricostruzione fedele di quelli antichi. È fatto quasi totalmente in legno di castagno di Aritzo, ricavato da materiali riciclati ed ereditati dal nonno, come la cassapanca intagliata con motivi sardi che costituisce la parte frontale dello stand.

Quando sa carapigna è pronta, Sebastiano mi prepara una coppetta. Se chiudo gli occhi, mi sembra di tornare a quando da bambina immaginavo di mangiare la neve. Solo che ora è tutto vero, posso farlo e ha un equilibrio perfetto tra la dolcezza dello zucchero e l’acidità del limone.

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Io che mangio sa carapigna

L’unicità del prodotto è ciò che stimola Sebastiano a portare avanti questo lavoro: “Sento una certa responsabilità. Sono uno degli ultimi eredi in grado di portare avanti questo mestiere e nella mia famiglia, quando mio padre andrà in pensione e smetterà, non ci sarà più nessuno a farlo. Pensavo che, se io avessi fatto il chimico, sarebbe stato impossibile trovare in Sardegna sa carapigna preparata in maniera autentica. La sua storia è legata alla mia famiglia e io dovevo portarla avanti. Sono orgoglioso di sapere che ancora oggi ci sono persone che possono mangiarla grazie a me”.

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