FYI.

This story is over 5 years old.

Cibo

Cosa significa che la Pizza Napoletana è adesso Patrimonio dell’Unesco

Non saremo bravi nelle guerre o nelle rivoluzioni, ma quando si parla di cibo siamo inarrestabili.
Roberta Abate
Milan, IT

Se volete avere percezione di quanto noi italiani teniamo al cibo, allora leggete qui.

Dopo 8 anni di promozione, raccolta firme (2 milioni in 50 paesi secondo la Coldiretti) e campagne, ci siamo riusciti: la pizza napoletana è Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità riconosciuto dall’Unesco.

È la prima volta che viene dichiarato patrimonio comune un’abilità connessa alla produzione culinaria. Noi italiani non saremo particolarmente bravi in guerre, rivoluzioni o lotte sociali, ma lasciatemi dire che quando si parla di cibo, difficile dissuaderci.
Si, pizzaioli, associazioni e stampa questa volta hanno spinto talmente tanto da riuscire in quello che alle 3 di notte del 7 dicembre è stato definito un riconoscimento storico (per la pizza, per Napoli e per il Paese). La votazione si è svolta a Jedu, Corea del Sud ed è stata unanime.

Pubblicità

Fra le motivazioni dell’Unesco si legge:

“Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l'impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da ‘palcoscenico’ durante il processo di produzione della pizza…”

Attenzione però, non è la pizza napoletana a diventare patrimonio dell’Umanità, bensì il lavoro dei pizzaioli napoletani, una pratica definita unica al mondo.
L'Unesco, dal 2003, compila una lista di patrimoni intangibili nel mondo, per preservarne la tradizione ed evitarne l'estinzione. Fino ad ora sono stati eletti a patrimoni intangibili tradizioni orali, musiche popolari, arti teatrali e negli ultimi anni anche pratiche agricole. Mai fino ad ora una preparazione così specifica come la pizza napoletana.

Nel 2016 la candidatura ufficiale, l’unica italiana in lista. Fino ad ora cronologicamente sono stati iscritti: l’Opera dei pupi siciliana, il Canto a Tenore, la Dieta Mediterranea, l’Arte del violino di Cremona, le macchine a spalla per la processione e la vite ad alberello di Pantelleria (sempre in Sicilia).

Ottenere il riconoscimento non è roba da poco: nella selezione dell’Unesco sono coinvolti oltre 200 Paesi e l’iter ha coinvolto una raccolta firme epocale e una promozione da parte dei più famosi pizzaioli napoletani italiani, come Gino Sorbillo, Ciro Oliva, Antonio Starita la rete dei pizzaioli di RossoPomodoro, e molti altri.

Ma come mai gli italiani ci hanno tenuto tanto a candidare l’arte della pizza napoletana? Per sancire paternità del mestiere e del prodotto, sempre più spesso, a detta dei pizzaioli, messo in pericolo dalle diverse re-intepretazioni in giro per il mondo. Nel mirino della polemica soprattutto i colleghi americani, che volevano anche loro candidare la pizza all'Unesco, ma quella american-style. Li abbiamo battuti sul tempo, dunque, ma tutto si riduce davvero alla classica lotta Italia vs Usa?

Intanto ad annunciare la storica conquista il Maurizio Martina, ministro delle politiche agricole alimentari.

L’arte del pizzaiuolo napoletano è patrimonio culturale dell’Umanità Unesco. Vittoria! Identità enogastronomica italiana sempre più tutelata nel mondo #pizzaUnesco pic.twitter.com/MgQ5izZWbf — Maurizio Martina (@maumartina) 7 dicembre 2017

Un filo di retorica politica dopo questa vittoria? Certo, ma se la pizza napoletana gioisce, e se questo vuole dire che ne mangeremo sempre di più e di più buona, allora abbiamo vinto tutti, no?