Tutte le cose che un pugliese come me odia di Milano
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Cibo

Tutte le cose che un pugliese come me odia di Milano

In questo sfogo spiego scientificamente perché il caffè servito con l'acqua non è uno sfizio di giù, e del perché se andiamo fuori si paga alla romana e non con fogli excel e conti personalizzati.
Gianvito Fanelli
Conversano, IT

Milano ti amo. Metto subito le cose in chiaro, perché quello che sto per dire probabilmente provocherà un leggerissimo fastidio alla popolazione autoctona, anche se di milanesi veri ne ho conosciuti davvero pochi in otto anni di vita passati in riva al Naviglio (ma questa è solo una licenza poetica, perché è scientificamente provato che resistere alle orde estive di zanzare è impossibile).

Mi sono trasferito a Milano otto anni fa per studiare, come molti.

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Partito con qualche chilo di taralli da Conversano, cittadina su una collina che digrada verso il mare a 25km circa a sud di Bari, e con un discreto entusiasmo. Il primo anno, come per molti, è stato durissimo: mi faceva schifo tutto. La mozzarella di plastica, la pioggia anche per una settimana consecutiva (perché di nebbia ne ho vista davvero poca), i viaggi notturni infiniti sulla 90 (che poi ho imparato ad amare, e dai quali mi sono disinnamorato solo grazie al car sharing), il costo spropositato di quasi tutto, tipo la pizza.

Dicevo: Milano ti amo. Dopo otto anni qui rimango sempre pugliese, ma nel mio cuore c’è uno spazio grande grande per Milano. Molti di quelli che consideravo difetti non mi infastidiscono più; ho scoperto i grandi pregi di questa città, più europea che nordica, certamente molto terrona. Nonostante questo… Cara Milano, il mio cuore terruncello non può fare a meno di farti notare cinque minuscoli, correggibili, dimenticabilissimi dettagli sui rituali legati al cibo. Starò attento a non far diventare questo articolo un’appendice di Casa Surace. Spero di riuscirci. Milano ti amo.

Non mi danno l’acqua prima del caffè e me la fanno pagare!

Sapete perché i bar più seri danno l’acqua (frizzante) prima del caffè? Perché il barista vuole che gusti il suo caffè nella maniera più pura possibile, e per farlo devi sciacquarti la bocca e togliere ogni gusto che potrebbe alterare le percezioni. E allora perché - cazzo - non solo non mi danno quel bicchiere, ma mi chiedono pure di pagarlo? Capisco che a Milano il business ha la priorità su tutto, ma un guadagno del 20mila percento mi sembra un po’ esagerato, non credete?

Fortunatamente ho trovato sotto casa un vero bar napoletano; lì i miei amici Salvatore, Pasquale e Mister X, di cui ignoro il nome ma che per comodità chiameremo Ciro, fanno il caffè come dio comanda: prima di prepararlo, lasciano scorrere l’acqua attraverso l’erogatore così da rimuovere i residui dei caffè precedenti; poi lo servono in una tazzina molto calda e, soprattutto, con un bel bicchierone di acqua frizzante di quella che sgroscia, come si direbbe onomatopeicamente dalle mie parti. Ovviamente da gustare senza zucchero.

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La mia non è una fissazione. Il caffè può essere molto di più di un eccitante: a me piace assaporarlo sotto gli alberi di uno dei rari viali alberati di Milano, staccare dal computer, magari con una bella sfogliatella frolla. Quindi si prende il bicchiere d’acqua. Si beve prima del caffè e dopo solo se fa schifo. Non spezzate il cuore ad un barista che sa fare il suo lavoro, perché i baristi bravi sono come i panda: in estinzione.

Se dico cornetto e mi guardano strano

Chiariamo la questione una volta per tutte. Il cornetto è, a tutti gli effetti, un dolce italiano a mezzaluna che condivide la stessa ricetta della brioche francese. La brioche è un preparato dalla forma tonda con una piccola sfera di pasta al centro. Il croissant ha la stessa forma del cornetto, ma meno burro e zucchero, che lo rende croccante e meno saporito. Non lo dico io, ma Iginio Massari.

Su questo fronte io ce la metto tutta per adattarmi, ma a volte ancora mi sfugge “cornetto” al posto di brioche. Sono sollevato dal fatto, però, che la lingua italiana e la scienza pasticciera siano dalla mia parte.
Quindi, no, non sto sbagliando se chiedo un cornetto. Spero la smettano di guardarmi come se avessi offeso la loro madre!

Tutorial semplicissimo per fare il caffé al ghiaccio

D’estate fa molto caldo anche in Europa continentale. Sarebbe cosa buona e giusta se i baristi imparassero che il caffé al ghiaccio è molto semplicemente un caffé in tazza servito insieme ad un bicchiere pieno di ghiaccio. Non un caffé in tazza versato in acqua ghiacciata, come ho visto fare davanti ai miei occhi o nelle Instagram Stories indignate dei miei amici.

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Questa può sembrare una fissazione, ma col clima ormai tropicale di Milano, testimoniato anche dalle palme in piazza Duomo, il caffè al ghiaccio è un’autentica àncora di salvezza.

Pro tip: googlate “Caffè leccese”, e poi parliamone.

Mi invitano al loro compleanno e devo pagare io

A parte invitarmi a qualche orrido aperitivo col cibo scaduto o preparato tre giorni prima, vorrei ricordare al mondo intero che se qualcuno m’invita al suo compleanno e magari gli faccio pure il regalo, dovrebbe quantomeno offrire da bere o qualcosa da mangiare. È un concetto facile da capire: la festa è tua, offri tu. La festa è mia, offro io.

Questa è una delle cose che più mi ha shockato quando sono arrivato a Milano. Sembrava assolutamente normale al festeggiato (e anche agli invitati), ed io dentro di me pensavo “Ma dove cazzo sono capitato?”. Anche perché, mettitevi nei miei panni, ero studente e non è che avessi tutti ‘sti soldi. Sfortunatamente per i nuovi fuorisede l’usanza sembra essere ancora in voga, con qualche rara eccezione di amici, la maggior parte della Milanobene, che sono riuscito a portare sulla retta via. Fuorisede, continuo a lottare insieme a voi.

Famo alla romana

Daje regà. Andiamo a cena insieme perché siamo amici e ci vogliamo bene. A meno che qualcuno non ordini ostriche&champagne, potremmo evitare di tirare su un foglio Excel anche a tavola. Famo alla romana, daje. È più veloce, facile e ci fa sentire una vera comunità. E poi non lamentatevi quando c’è coda in cassa perché ognuno deve farsi fare il conto personalizzato.

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Ovviamente questo mio sfogo rimane tale: Milano mi ha dato davvero tanto e, un po’, mi ha cambiato. Giù in Puglia, per esempio, il ritardo accademico - sia da parte del cliente che del ristoratore - non solo è tollerato, ma fa parte della normalità. Quando sono a Milano, invece, mi scazzo come un autentico business man se il mio tavolo non è pronto all’ora della prenotazione. Di questa città amo il rispetto profondo verso i clienti e la competenza di chi tratta il cibo, ed è una cosa che vorrei vedere maggiormente giù da me, dove a volte si fa passare per “cuore” e “autenticità” quella che è superficialità e incompetenza.

Meh, e come in tutte le relazioni, finalmente mi sono tolto questo peso.
Milano, amici come prima?

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