Caltanissetta forni
Tutte le foto per gentile concessione dell'autore
Cibo

I carboidrati più buoni che ho mangiato nella città siciliana dimenticata da tutti

Caltanissetta non ha il mare, ma in compenso ha una serie di forni tipici dove assaggiare una parte di Sicilia che molti non conoscono.
I nostri insani food tour in tutta Italia, alla ricerca del cibo di strada migliore o ricette iconiche senza tempo.

Se avete percorso l’autostrada Palermo-Catania è sicuro che abbiate sfiorato Caltanissetta, ed è altrettanto certo che non vi siate fermati

Vivo a Milano da ormai 10 anni e ogni volta che mi chiedono “da dove vieni?” e rispondo “Sicilia” e la contro-risposta con volto illuminato è “Bellissimo, mare e sole”, sono poi costretto a uccidere l’euforia con l’anti-climax e confessare “Precisamente, Caltanissetta, che sta proprio al centro esatto, lontana almeno dal mare”. Lo sguardo di fronte a me si aggrotta dubbioso e al massimo restituisce un “ci sono passato/a ma non mi sono fermato/a” estratto da un ricordo incerto. Se avete percorso l’autostrada Palermo-Catania è sicuro che l’abbiate sfiorata ed è altrettanto certo che non vi siate fermati. D’altronde chi ha mai detto “Vado in vacanza a Caltanissetta” se non si è fuorisede in visita parentale? 

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Come tanti capoluoghi del Sud, Caltanissetta è una città da cui si fugge, anche se c’è chi rientra. Tra le ultime in Italia in termini di PIL, disoccupazione al 18% e un esodo di più di 3000 persone negli ultimi 4 anni (su una popolazione di circa 60mila censiti), la maggior parte giovani tra 18 e 30 anni. Un centro storico in cui fioccano saracinesche abbassate e diventato piccolo ghetto per gli ex-ospiti del CARA di Pian del Lago, sito poco fuori la città. 

A Caltanissetta siamo filo-palermitani: pane e panelle, le arancine sono femmine

Non c’è un euro investito in turismo, per non parlare di eventi gastronomici, del tutto assenti. In Italia ci sono paesini pieni di nulla cosmico che si sono “inventati” tradizioni da zero e messo su pure la “Sagra della Minchia In Brodo”, possibile che in questa città, che è capoluogo di provincia e snodo cruciale per l’isola, non si riesca a crearne una? Al netto dell’attuale situazione sanitaria, il profondo sonno della politica nissena degli ultimi 30 anni rasenta il coma vegetativo. Cose da far scoprire ce ne sono, basterebbe una manciata di amministratori che hanno bevuto un caffè energizzante al mattino per portarle alla ribalta. 

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Tutte le foto dell'autore o per gentile concessione dell'autore

A Caltanissetta siamo filo-palermitani: pane e panelle, le arancine sono femmine e seguono forme e ripieni palermitani (ma poi l’estro autoctono ne ha create coi bucatini, gli anelletti e una miriade di farciture diverse), ci sono la ravazzata (una pasta brioche ripiena di ragù di carne) e le stigghiole (ma più come termine, le nostre sono come gli gnummarieddi pugliesi, la stigghiola palermitana è intestino ovino alla griglia). Un tempo era diffusa anche la “focaccia nissena”, che è il pane ca’ meusa ma solo una gastronomia continua a farla. Però non siamo solo i cugini sfigati, abbiamo dolci nostrani come il rollò (un pan di spagna al cioccolato a spirale con con ricotta dolce, pasta reale di mandorle e granella di pistacchio) e la raviola (una sfoglia consistente impastata con vino e fritta e ripiena di ricotta dolce e cosparsa di miele) e il torrone nisseno, nei decenni scorsi, ha vissuto un suo momento di gloria, ovviamente non sfruttato per tramutarlo in simbolo della città: ho già detto cosa penso della politica nissena, va bene così.

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Nelle gastronomie-tavole calde di Caltanissetta, per pizzette, calzoni e schiacciate si usa una pasta lievitata un po’ dolciastra, una sorta di pan brioche salato spesso impastato con lo strutto che apporta croccantezza e friabilità

I panifici qui hanno un profumo caratteristico che non ho mai percepito altrove. È un bouquet di pasticceria e crosta di pane bruna, di lievitato e vanigliato e zuccheri caramellati. Se ci sono anche le brosce, quelle col tuppo da farcire col gelato (che ritengo sia l’uso migliore anziché spiluccarla con la granita), concorre un leggero profumo di zafferano e agrumi. 

Ogni panificio ha un suo reparto di quella che noi chiamiamo tavola calda o “rosticceria” con pizzette, calzoni, schiacciate sfornati su placche di ghisa usurate che continuano a macinare chilometri. I panifici di Caltanissetta sono specializzati in tavola calda e alcuni sono più famosi per i “pezzi” che per il pane stesso. Non è raro cenare con una “guantiera” (vassoio) di calzoni, pizzette e arancine prenotati al panificio, anche perché il costo è irrisorio: con meno di 20 euro ci si può mangiare in 4 con 2 pezzi a testa. 

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E c’è una cosa che rende la tavola calda dei panifici diversi dalle gastronomie specializzate: gli impasti di calzoni e schiacciate. I panettieri nisseni hanno reinterpretato a modo loro partendo da ciò che sapevano fare, il pane. Nelle gastronomie-tavole calde, per pizzette, calzoni e schiacciate si usa una pasta lievitata un po’ dolciastra, una sorta di pan brioche salato spesso impastato con lo strutto che apporta croccantezza e friabilità.

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Così a Caltanissetta i calzoni dei panifici sembrano panini imbottiti, con paste a volte sottili e croccanti e altre più ariose ma sempre comunque simili al pane. Non ci siamo inventati nulla, è una tipologia di “tavola calda” diffusa un po’ in tutte le aree della Sicilia, ma nei forni di Caltanissetta è una costante.

Se dovessi eleggere IL pezzo di rosticceria-simbolo di Caltanissetta sarebbe la schiacciata con tuma e spinaci

Eccezionalmente quest’anno ho trascorso agosto in famiglia rinunciando ai miei consueti couchsurfing gastronomici in giro per le regioni d’Italia. Avendo 3 settimane di vacanza a disposizione ho pensato che fosse giunta l’ora di fare un un mini-Tour de Panza per i panifici di Caltanissetta, tenendo conto che molti sarebbero stati in ferie. 

Ho rivolto le mie preghiere a San Gastro, protettore delle digestioni, collegato hard disk esterno all’ombelico per depositare i TeraFat in eccesso e sono andato a caccia.

Breve premessa: non mi sono attenuto agli orari delle sfornate, ogni panificio ha i suoi quindi la maggior parte è tutta roba cotta da qualche ora, in alcuni casi ho evitato di farmele scaldare solo perché quando sono freddi sono più buoni, con tutti i sapori ben distinti e al loro posto e si possono gustare con calma: prova a goderti un calzone con incandescenti corde di mozzarella che, come orologi molli di Dalì, tentano di colarti sulle scarpe e inzaccanarti tutto. O lo mangi rapido o conosci la postura adeguata per non smerdarti e che non descriverò qui. 

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Dimenticavo, ho seguito una linea più o meno unica anche nei ripieni, tutti simili, quasi sempre con gli spinaci ma la proposta media è ben più ampia.

PANIFICIO GARZIA

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Il calzone del Panificio Garzia di Caltanissetta. Foto dell'autore

Sono le 10.30 e ho chiesto espressamente di non scaldarlo. Saranno quasi vent’anni che non metto piede da Garzia, forno a conduzione familiare – come tutti quelli menzionati – di cui, in adolescenza, avrò mangiato tonnellate di calzoni con prosciutto e mozzarella; mi riunivo con gli amici su alcune panchine poco distanti e alle 17 o giù di lì, poco dopo una delle cicliche sfornate, mi svagonavo il succulento bottino.

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In tutto questo tempo non è cambiato nulla, dall’impasto croccante fuori e soffice dentro al ripieno senza sorprese, con l’oliva nera sul fondo, sempre nello stesso punto come una firma. Visto così, freddo e rappreso, può sembrare triste e poco invitante ma appena sfornato, una volta superati i due morsi iniziali e si approda al ripieno, è uno schizzo di puro arcobaleno da fuori le braghe. 

Costa 1.90 €. 

PANIFICIO ALÚ

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Panificio Alù a Caltanissetta

La schiacciata nissena è ovvia parente di scacce e scacciate sparse per l’isola, la pasta è molto sottile ma non come i vota-vota ragusani. Se dovessi eleggere IL pezzo di rosticceria-simbolo di Caltanissetta sarebbe la schiacciata con tuma e spinaci. Qualunque panificio ha la sua versione e quella di Alù è ormai antonomastica. 

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La schiacciata

La tuma è un pecorino giovane senza pepe dalla sapidità lieve e dall’ingente sudorazione oleosa. Fila come una mozzarella, se non meglio. Gli spinaci sono la declinazione pop/commerciale delle erbe spontanee che un tempo farcivano moltissimi prodotti da forno artigianali, ormai difficili da reperire e troppo amare per gli impressionabili palati contemporanei. Il terzo incomodo fisso è qualche oliva nera carnosa in salamoia.

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Anche Alù mantiene inalterati gli standard con un coperchio dalle bolle brune e croccanti e una base inumidita dall’olio colato dalla tuma che rende i due tovaglioli sotto trasparenti. Michele che sta alla cassa, discendente della famiglia, è tifoso romanista come me, caso più unico che raro in una città piena di juventini e milanisti. Buuuuuu.

Costa 2 € un pezzo.

IL FORNO DI GIOVANNI RANDO

Sarò onesto, se non me l’avessero segnalato non avrei saputo dell’esistenza di questo forno. Sito in una viuzza secondaria ma comunque trafficata, all’interno fa bella mostra d’una schiera di pizze al taglio, schiacciate alte come casatielli, focacce con olive nere al forno (altro grande classico dei forni nisseni) e una raffica di quelli che mi sembrano panini o mezzi filoncini e che invece sono calzoni d’una certa caratura. Tant’è che se ne può prendere anche solo mezzo. Che è la mia razione. Salivo con discrezione. La signorina al banco mi serve il mezzo calzone come l’ostetrica passa un neonato in fasce. 

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È il pezzo più vicino al pane che abbia mangiato a Caltanissetta. La crosta è profumata, cosparsa di paparina (semi di papavero in dialetto) ed è simile a quella di un filoncino casereccio, la mollica ha un’occhiatura fitta. Sembra un panino scavato, spinaci, mozzarella e pancetta sono come adagiati in una bocca. E con la mia, di bocca, gli rifilo un morso consistente. La pancetta si prende la scena, ancora succulenta nonostante la sudata in forno ed è il contraltare perfetto per gli spinaci, molto dolci. La pasta del calzone è veramente super, fragrante e per niente gnucca. 

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Costo: 1.50 € la metà, intero 3 €.

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Inizio a sudare, fa un caldo che mi sembra d’aver puntato addosso un gigantesco phon, non è neanche mezzogiorno e sto già a posto fino a merenda, ma non ho finito. Mi faccio spazio ruttando un po’ grazie ai prodigi di una gazzosina, tipica bevanda analcolica che da noi accompagna il pane e panelle. 

IL FORNO DELL’ANGOLO

Il Forno dell’Angolo, nei pressi dello stadio Palmintelli, ha una teca di rosticceria alquanto competitiva. Un esercito di pizze a lunga lievitazione dai bordi spumeggianti, calzoni simili a cartocciate catanesi, una piccola foresta di pinnacoli di arancine al burro e in fondo vedo anche delle arancine con gli anelletti.

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Arancine con Aneletti

Mi informano che stanno per tirarle fuori anche agli gnocchi alla sorrentina. Immaginate qualcosa di più perverso?

Non mi lascio corrompere dal canto delle sirene e persevero sulla linea gastro-editoriale che mi sono dato concentrandomi sulla schiacciata con tuma e spinaci, anche qui con oliva d’ordinanza. E anche qui a olio arriviamo coi Canadair.

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La pasta è più sottile di quella di Alù, poco più di una piadina, tiene bene l’umidità degli spinaci e l’unto dell’olio senza ridursi ad arcipelago poltigliettoso. È bella selvaggia ma con stile, ha un sapore antico ma si sente che è un prodotto moderno. Attenzione che questa insidia l’antonomastica versione di Alù.

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Costo, 2 € il pezzo. 

PANIFICIO AMICO

Gli Amico sono una famiglia di panettieri storici in città. La diaspora dei fratelli ha generato l’apertura di diversi forni e io vado in quello nei pressi della chiesa di Santa Lucia, in pieno centro storico. 

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Quando arrivo è passato mezzogiorno e nella teca della tavola calda non è rimasto molto. Scelgo quasi obbligatoriamente il calzone con spinaci, tuma e prosciutto, che sbuca con una lingua da un’estremità. Questa è una pasta di pane leggermente dolce con una mollica spessa e soffice. La parte superiore è tempestata di paparina. Non male, un calzone diverso dagli altri due, il prosciutto è generoso e all’interno fa addirittura tre pieghe.

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Anche qui, prezzi pop: 1.50 €.

Il giorno dopo mi sposto a San Cataldo, paese a soli 5 km da Caltanissetta, perché ho ricevuto un paio di soffiate interessanti. 

L’ANTICO FORNO – PANIFICIO CARLETTA

L’intento di questo tour non è decretare il forno o il calzone migliore ma non posso sottrarmi per ragioni di onestà intellettuale, quello mangiato all’Antico Forno – Panificio Carletta incarna la mia idea di calzone perfetto. Giuro.

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Il panificio usa farine biologiche e fa la ngiambella di San Cataldo, biscotto tipico del paese fatto con uova, zucchero e farina, qui di Timilia e che richiede una certa maestria artigianale affinché venga compatta ma al contempo soffice al cuore. 

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Nonostante indossi la mascherina avverto un profumo godurioso, amplificato dalla vista dei pochi pezzi ancora in vetrina (sono le 11 del mattino) che promettono bene: qualche pezzo di pizza “alla siciliana” (diretta discendente dello sfincione palermitano) e qualche calzone. Ne prendo uno, neanche a dirlo, con gli spinaci (ma anche formaggio, prosciutto e olive).

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È grande quanto il mio avambraccio, peso specifico non indifferente. Alla base è abbrustolito e croccantissimo, sopra ha un’abbronzatura da settimana a Honolulu. L’impasto ricorda più da vicino quello delle scacce ragusane, sottile ma per niente debole, posso piegare il calzone senza disintegrarlo. Il ripieno è meraviglioso, gli spinaci sono saltati in padella con pepe e aglio e non credo sia un dettaglio secondario: in tutti i forni testati la verdura sembrava solo sbollentata o, più probabilmente, scongelata. Qui c’è una cura che altrove non ho ravvisato, quel colpo di spadellamento sospinge il calzone al livello lessicale più alto che risiede nel termine “rustico”. E per quel che mi riguarda è un enorme complimento.

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Il calzone da solo dovrebbe costare 1.50 €, ho pagato 3 € insieme e una ‘ngiambella e un pezzo di pizza “alla siciliana” che non mi sarei lasciato sfuggire. 

PANIFICIO-PASTICCERIA DI VITA

Sebbene mi manchino numerosi posti da testare non posso andare avanti all’infinito, anche per un serbatoio capiente come il mio stomaco c’è un limite che si traduce in lievi fitte al fianco. Sarà la milza? Il fegato? Sono già itterico? Chissenefotte. 

Mi allungo per un ultimo test al panificio Di Vita, altro rinomato forno di San Cataldo a poche centinaia di metri dall’ingresso del paese. 

Anche qui con l’assortimento non si scherza, uno sciame sismico di pizze a pala o in teglia da servire al pezzo, arancine e calzoncini che a prima vista sono abbastanza diversi da quelli provati finora. Prendo quello con prosciutto e mozzarella perché quello con wurstel e patatine, onestamente, mi piglia male. 

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La Girella salata

La pasta è dolciastra, non un pan brioche ma comunque lontano dal simil-pane fin qui incontrato. È abbastanza buono e ben condito, ma ciò che sto per addentare è meglio: una girella salata. È un fuori concorso, lo ammetto, ma è veramente una bombetta atomica. Ricorda da vicino la mbriulata, un nastro di pasta casereccia attorcigliato con carne di maiale, olive, cipolla, ma anche patate in base alle zone e si fa principalmente nei comuni di Milena, Aragona, Mussomeli ma è diffusa, con opportune varianti, sia nella ricetta che nel nome, in molti paesi dell’entroterra siculo. In agosto ci fanno pure una sagra, a Milena. Unta il giusto, questa che ho in mano ha pomodoro, cipolla, alici salate, olive e formaggio, una scarica di umami che accompagna i bordi croccanti.  

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Il calzone/fagotto costa 1 €, la girella solo 60 centesimi. 

Faccio un ruttino di profonda soddisfazione, scollego l’hard disk e mi avvio verso casa e la bilancia, con la speranza che l’aereo, pochi giorni più avanti, si sollevi da terra senza che paghi un sovrapprezzo.

Segui Marco Giarratana/ aka UomoSenzaTonno