“Manca il personale!” Se hai mai parlato con un ristoratore negli ultimi mesi ti avrà detto almeno una volta che i clienti sono tornati a mangiare, ma mancano le persone che lavorano in sala o in cucina. “Nessuno vuole fare più questo mestiere”, dicono.Gli imprenditori dovrebbero capire che è sostenibile rinunciare a qualche guadagno per fare vivere decentemente i lavoratori. Anche perché la nuova generazione di cuochi sarà ancora meno disposta ad accettare un sistema così obsoleto e con così pochi diritti.
Eleonora*, maître
Eleonora ha 42 anni e lavora in sala da una dozzina. Da qualche mese ha deciso di mollare le mura del ristorante in cui lavorava e di fare l’agente di commercio nel mondo del vino. “Diciamo che nel periodo in cui siamo stati chiusi ho annusato la libertà,” mi dice al telefono. “I lavoratori nella ristorazione sono come dei criceti: finché stanno sulla ruota non devono fare altro che girare in gabbia. Poi ti fermi, scendi dalla ruota e capisci che c’è molto altro. Infine, quando abbiamo riaperto, risali su quella ruota. Ma avevo capito molte cose nel frattempo.”I lavoratori nella ristorazione sono come dei criceti: finché stanno sulla ruota non devono fare altro che girare in gabbia. Poi ti fermi, scendi dalla ruota e capisci che c’è molto altro.
Nello specifico, i problemi per Eleonora sono stati di natura personale. “Esci, riscopri gli aperitivi, gli amici: tutte cose che ti rendi conto aver abbandonato per anni. Di fatto in questo lavoro fai 13 ore al giorno pagate, al più alto dei livelli, circa 7 euro l’ora. Ma chi me lo faceva fare di continuare una vita così?”E finisce: “Tanti sono andati via perché i proprietari non anticipavano la cassa integrazione. Ne conosco diversi andati a lavorare da Amazon, per esempio. Se fai il confronto, in un posto del genere ti spacchi la schiena per 8 ore al giorno a 1300 euro al mese. In un ristorante magari prendi un centinaio di euro in più, ma lavori molte più ore.”
Franco Aliberti, chef
Franco Aliberti è uno chef che ha fatto dello scarto zero e della sostenibilità la sua firma. Ha lavorato in passato in ristoranti importanti, ma in queste settimane si è parlato di lui per la decisione di abbandonare i progetti appena partiti di Anima e Vertigo a Milano, sotto la direzione chef stellato Enrico Bartolini. Se ne è parlato molto perché lo chef Bartolini ha dichiarato in diverse interviste di essere molto deluso dalla decisione di Aliberti di lasciare il ristorante; in alcuni articoli dice addirittura di essersi sentito “sedotto e abbandonato.”Franco ha spiegato che ha deciso di lasciare quella cucina per motivi personali e per stare insieme alla sua famiglia. “Siamo nel 2021: non riuscire a far coincidere lavoro con vita professionale è assurdo, bisogna vivere,” mi spiega al telefono .Si lavora 12 ore al giorno, i pasti sono consumati in piedi prima del servizio come delle bestie e la mancanza di voglia di investire degli imprenditori in maggiore personale di fatto lascia poche persone a fare il lavoro a discapito di pesanti ripercussioni fisiche, economiche e mentali.
Rossella*, pasticciera e cuoca
Rossella è una mia amica; da quando la conosco ha sempre lavorato in cucina. Negli ultimi cinque anni si è divisa tra cucina e preparazioni di pasticceria, che è il suo vero campo diciamo. Da un mese ha deciso di mollare, anche se non è ancora del tutto convinta. “Dove lavoravo non c’era praticamente personale: già da prima del Covid i proprietari erano di quelli che dicevano come fosse sufficiente quel numero di persone in una cucina che serve 70 coperti a sera. Ho scapocciato e me ne sono andata.” Uno dei problemi di cui ho parlato con Rossella, ma che è un grosso problema diffuso, è quello degli stipendi in nero o per metà in nero. “Il gioco lo conoscono tutti: una piccola parte viene messa in busta paga e il resto viene dato in contanti. Quindi di fatto a più di 30 anni ho pochissimi contributi per la pensione,” mi dice. “Diciamo che il lavoro duro lo posso accettare, ma durante questo periodo di apri-chiudi e di incertezze, la parte economica è l’argomento su cui ho riflettuto di più.”Il gioco lo conoscono tutti: una piccola parte viene messa in busta paga e il resto viene dato in contanti. Quindi di fatto a più di 30 anni ho pochissimi contributi per la pensione
Riccardo Manferdini, gestore
Riccardo mi ha contattato invece su Instagram, quando ero alla ricerca di persone da intervistare. Ha 29 anni e in cucina ci è nato, visto che suo padre era uno chef e la compagna del padre aveva un ristorante. “Mi ha sempre affascinato e appassionato lavorare in cucina e nei locali,” mi dice al telefono con accento emiliano. “Ho iniziato facendo la gavetta mentre ero al liceo e all’università ho continuato. Con il Covid abbiamo dovuto chiudere il locale di cui gestivo sala e cantina a Bologna e ho capito di non volermici più ributtare,” mi dice Riccardo. Ora lavora in un ufficio e si è ripreso il suo tempo: “Devo dire che non è mai stata una questione di soldi per me. È davvero il tempo la cosa che ti riprendi in mano. Così, dopo il periodo in cui prendevo la disoccupazione, ho trovato un lavoro d’ufficio.”Con il Covid abbiamo dovuto chiudere il locale di cui gestivo sala e cantina a Bologna e ho capito di non volermici più ributtare
Sara*, cameriera
Il caso di abbandono della ristorazione di Sara—mi ha contattato anche lei su Instagram—non è direttamente legato al Covid, ma alla discriminazione da parte di clienti e colleghi solo perché persona transgender. “Ho 26 anni e da circa tre lavoro come cameriera, per fare due soldi durante l’università,” mi racconta. “Non mi piace e ho cambiato diversi posti. Ora però, dopo essere stata ferma molto con la pandemia ho deciso di smettere. Me ne hanno dette di tutte.” Il lavoro di sala è spesso il più bistrattato e vive ancora dell’idea secondo cui non è un vero lavoro, ma un rimpiazzo in attesa di altro.Per tutto il tempo che ho fatto la cameriera succedeva spesso che i colleghi scherzassero o minimizzassero il mio sentirmi donna. E a volte anche i clienti lo facevano.