celiachia
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Salute

'Ancora oggi mi sento chiedere: Quanto sei celiaca?' - La celiachia è una malattia, non un capriccio

La celiachia è ancora oggi una malattia sottovalutata. Abbiamo cercato di fare ordine, parlando con un'esperta e raccogliendo testimonianze.

Vent’anni fa per una persona celiaca era difficile immaginare di mangiare un primo piatto che non fosse a base di riso, soprattutto fuori casa. Oggi le cose stanno gradualmente cambiando, e anche allontanandosi dai grandi centri si possono trovare bar, locali, ristoranti gluten free o con opzioni gluten free.

Ma abbiamo davvero le idee chiare sulla celiachia? Per esempio, quanti sanno che oltre ai classici sintomi gastro-intestinali, può manifestarsi con dolori muscolari, stanchezza cronica e dolore agli arti? E poi com’è successo che l’alimentazione senza glutine, da terapia per una malattia specifica, sia diventata una delle tante diete di tendenza? 

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Cos’è la celiachia

“La celiachia è una enteropatia auto-infiammatoria cronica con tratti di auto-immunità”, spiega la dottoressa Chiara Francesca Caparello, responsabile del reparto di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’Istituto Auxologico Italiano, a cui ho chiesto di fare chiarezza. “È scatenata dall’esposizione al glutine, un complesso di proteine che si trovano in cereali come il frumento e l’orzo. Nei soggetti che hanno una predisposizione genetica, il glutine, a livello del piccolo intestino, scatena una reazione immunitaria con produzione di sostanze infiammatorie e auto-anticorpi che vanno a danneggiare la mucosa dell’intestino e quindi ne compromettono le funzioni.”

La celiachia va distinta nettamente sia dalle allergie in generale (che si caratterizzano per la produzione di anticorpi specifici di classe IgE) che dalle intolleranze, che non coinvolgono il sistema immunitario e si limitano a scatenare dei sintomi fastidiosi a contatto con determinate sostanze (Caparello preferisce chiamarle “reazioni avverse ai cibi”).

Come riporta l’ultima relazione del Ministero della Salute italiano sulla celiachia, la predisposizione genetica e il contatto con il glutine “sono necessari, ma non sufficienti, per scatenare clinicamente la malattia. Solo il 3 percento delle persone geneticamente predisposte, che consumano glutine, sviluppa prima o poi la celiachia.” Attualmente, non sono noti quali siano questi ulteriori eventi “scatenanti”: “Si pensa che alcune infezioni virali e la quantità di glutine introdotto durante lo svezzamento possano avere un ruolo importante, anche se non esistono dati definitivi,” specifica l’Istituto Superiore di Sanità.

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Secondo la World Gastroenterology Organisation, circa l’un percento della popolazione mondiale è celiaca—e “nonostante ci sia stato un aumento sostanziale del numero di nuovi casi, in parte grazie a migliori strumenti diagnostici e a uno screening approfondito degli individui considerati ad alto rischio”—questa rappresenta “ancora una statistica iceberg, con molti più casi non diagnosticati che diagnosticati.”

Secondo l’Istituto superiore della Sanità, per esempio, “il numero teorico di celiaci” in Italia si aggirerebbe intorno alle 600mila persone, con 225mila diagnosticate al 2019 stando alla citata relazione ministeriale.

Diagnosticare la celiachia

Ad Alessio Bailoni, ristoratore, è stata diagnosticata la celiachia 31 anni fa, a soli sei mesi d’età. È stato visitato da parecchi medici prima di arrivare alla diagnosi corretta, ma da allora segue la dieta senza glutine ed è sempre stato bene.   

Per Valeria Cattaneo, insegnante, i sintomi hanno iniziato ad acuirsi a 19 anni. “Ho sempre avuto strani problemi”, racconta, “facevo molto sport e avevo spesso dolori come se mi fossi procurata dei traumi che però non c’erano. Non ho mai avuto molti sintomi intestinali perché il pane e la pasta non mi sono mai piaciuti: ogni volta che li mangiavo mi si bloccavano in gola, così ho iniziato a evitarli spontaneamente.” Con l’inizio dell’università però le cose sono cambiate, forse a causa della dieta da pendolare a base di panini: “avevo sempre una nausea fortissima: alcuni giorni non riuscivo a mangiare nulla e sono arrivata a pesare 36 chili (io sono piccolina, ma 36 è davvero poco!)”. La sua reazione alla diagnosi è stata di puro sollievo.

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Anche Vittoria Laghi, travel blogger, si è accorta di avere un problema al primo anno di università. “Ero al primo anno di ingegneria e facevo la pendolare, quindi inizialmente i miei problemi digestivi sono stati attribuiti allo stress.” Col passare dei mesi però la situazione non migliorava: “Ogni cosa che mangiavo mi faceva stare male: nausea, diarrea fulminante, vomito. Ero debilitata e frustrata. [Poi] ho fatto esami del sangue specifici e i valori erano talmente sballati che me li hanno fatti ripetere, pensando che ci fosse un errore. L’esito è stato identico.”

Sara De Santis è grafica e illustratrice e tra i messaggi che cerca di veicolare con i suoi lavori c’è anche una maggior consapevolezza sulla celiachia. Con il suo compagno, Alessio Franciosa, anche lui celiaco, da sei anni condividono i disagi quotidiani che si possono provare in una vita forzatamente gluten free in un mondo non ancora del tutto attrezzato. La cosa che entrambi ci tengono di più a sottolineare è che la celiachia è una malattia vera e propria, non una dieta o una scelta alimentare come un’altra.

La diagnosi di Franciosa è arrivata in tempi brevi perché sua sorella è celiaca dalla nascita, e vista la predisposizione genetica sono andati a colpo sicuro. “Solo la metà dei pazienti si presenta con la sintomatologia classica,” spiega però la dott. Caparello: “diarrea, calo di peso, disturbi digestivi, gonfiore addominale o, nei bambini, ritardo nella crescita. Molto spesso la celiachia, che ricordiamo è una malattia multiforme, viene diagnosticata nell’ambito di altre analisi, per esempio per le anemie, oppure osteoporosi, convulsioni, infertilità, aborti ripetuti.” 

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È nota inoltre la correlazione con altre patologie—in genere autoimmuni—come malattie della tiroide, diabete, artrite reumatoide o sindrome di ​​Sjögren. Cattaneo, per esempio, soffre anche della tiroidite di Hashimoto. 

Se trascurata, inoltre, la celiachia può portare ad altre patologie, dai deficit vitaminici e nutrizionali all’osteoporosi, ma anche a complicanze di tipo neoplastico.

Dieta gluten free: difficoltà, adattamento e vita sociale

“Già al momento della diagnosi spieghiamo l’importanza dell’aderenza completa alla dieta, che al momento è l’unica terapia. Devo dire che più alta è l’età del paziente, più è difficile fare un cambio radicale dell’alimentazione. Le difficoltà maggiori ovviamente le incontra chi non viene diagnosticato per sintomatologia, perché non ha nemmeno la consolazione di stare subito meglio,” spiega la dott. Caparello.

In ogni caso è indubbio che, soprattutto negli ultimi 10-15 anni, la scelta e la qualità degli alimenti per celiaci siano migliorate moltissimo. Se una volta c’era solo la pasta giallo fluo della farmacia, oggi esistono diverse marche, parecchi formati e tanti prodotti che si ritagliano un loro scaffale anche nei supermercati più piccoli.

Da alcuni anni, inoltre, in Italia esiste un “budget celiachia”, erogato dal servizio sanitario nazionale per l’acquisto di prodotti senza glutine—anche se le differenze da regione a regione sono parecchie (in alcune, per esempio, non c’è alternativa alla farmacia, in genere più costosa dei supermercati). 

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Tutto però resta un po’ più complesso quando si è fuori casa. “Non potersi mai arrangiare con la prima focacceria che incontri e dover fare ricerche su internet è un po’ una scocciatura,” spiega Baiolini. “Oltretutto spendi molto di più: non puoi fare colazione con tre euro di cappuccino e brioche.”

“Senza contare che è un po’ un terno al lotto,” interviene De Santis: “La dicitura nei locali ‘senza glutine’ non è una garanzia. Magari vai apposta in un posto e una volta lì scopri che ‘eh no, un po’ di contaminazione c’è sempre’ perché la cucina, il piano di lavoro o il forno sono gli stessi. Preferiamo andare in ristoranti certificati dall’Associazione Italiana Celiachia (Aic), che sono una sicurezza.”

Un po’ tutte le persone intervistate spiegano infatti che la cosa più complicata da far capire è che, anche se non si rischia lo shock anafilattico, si può stare male per parecchi giorni solo per un alimento sbagliato—per questo le contaminazioni sono da evitare e non ha senso insistere con l’amico celiaco per “un solo sorso di birra.” “Basta una pizza sbagliata, con tracce di glutine, e sto malissimo: non digerisco per giorni,” spiega Cattaneo. 

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Oggi “anche dal punto di vista legislativo c’è più attenzione al tema,” aggiunge la dott. Caparello: “A livello di sanità locale, per esempio, i corsi di formazione per gli operatori della ristorazione prevedono moduli specifici e le mense aziendali e scolastiche sono obbligate per legge a fornire un’alternativa senza glutine.” 

Leggermente diverso è il caso in cui ci si trovi all’estero. “Per quanto riguarda i viaggi,” spiega Laghi, “preferisco sempre informarmi prima. In Germania, dove mi trovo ora, o in Olanda, al di là delle grandi città, l’alternativa gluten free è purtroppo molto limitata. Il mio trucco resta sempre il ‘kit di emergenza del celiaco in viaggio’, una scorta di prodotti sicuri monoporzione che faccio in modo di avere sempre nello zaino. Durante l'interrail mi è servito un sacco!”

Luoghi comuni sulla celiachia

I luoghi comuni, invece, sono un po’ più duri a sparire. “Ci sono persone convinte che una persona celiaca faccia una vita di merda,” spiega Cattaneo. “In realtà una persona ben informata fa una vita normalissima e può avere una dieta più che completa, anche con alimenti naturalmente senza glutine. Le alternative sono tante.”

Altrettanto vero è che se una dieta gluten free è di fondamentale importanza per la salute di una persona celiaca, non è necessaria per chi non lo è: il glutine, esclusi i casi afferenti alla salute, di per sé è un complesso di proteine piuttosto innocuo e a volte inutilmente demonizzato.

Quanto al futuro, Laghi ha una richiesta: “Vorrei che migliorasse la conoscenza e la serietà dei ristoratori. Quando mangio fuori nove volte su dieci mi sento chiedere ‘Quanto sei celiaca?’, come per dire che un po’ di glutine contavano di rifilarmelo. Sfatiamo questo luogo comune. Non esistono i gradi di celiachia, piuttosto ci sono gradi diversi di sintomatologia. Ci sono celiaci che non hanno sintomi a breve termine ma i cui valori, nelle analisi, sono comunque fuori norma e col tempo rischiano di sviluppare diversi problemi. Poi ci sono quelli come me, super sintomatici. Io sono praticamente una cartina tornasole del grado di contaminazione di un locale: se assumo una qualsiasi traccia di glutine, nel giro di massimo un’ora lo so.”

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