quanto guadagnano i ristoranti stellati
Foto per gentile concessione del Ristorante Duomo 
ristoranti

I ristoranti stellati sono destinati a fallire economicamente?

Brigate importanti, ingredienti di livello, tovaglioli bellissimi: ma come fanno a non fallire gli stellati? Lo abbiamo chiesto a chef ristoratori.
Andrea Strafile
Rome, IT

“Ti sostieni con gli eventi che fai fuori dal ristorante. Di sicuro le uscite che fai perché sei un po’ conosciuta e i catering che prendi sono un bell’aiuto.”

Ormai è diventato un cliché a tutti gli effetti quello di pensare che una cena in un ristorante stellato costi troppo mangiando troppo poco. Il più delle volte, se fate un calcolo di quante portate avete mangiato, è conveniente quanto un qualsiasi ristorante, ma al di là di questo persiste ancora l’idea che gli chef siano dei ricconi capaci di comprarsi dei jet privati se solo lo volessero. Grazie solo alle persone che vanno a mangiare nei loro ristoranti.

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La verità è che in questo genere di ristoranti ci sono dei costi molto alti che non ti permettono la vita da sceicco che crediamo. Anzi, spesso è difficile far quadrare i conti e impedire che il locale venga sommerso dai debiti. Qualche mese fa, per esempio, ha fatto scalpore la notizia che il Noma di Copenaghen abbia chiuso l’anno in perdita: 230.000 euro circa, segno che va bene la pandemia, ma avere un ristorante per gourmet non è tutto rose e fiori, affatto. Anche se fa sold out tutte le sera proprio come il Noma.

Ho parlato con alcuni chef, alcuni dei quali anche ristoratori, per capire quanto sia in effetti difficile tenere in piedi dei locali dove non basta pensare ai piatti, ma dove devi considerare i costi di una brigata di cucina nutrita, strumenti all’avanguardia, varie chicchette per i clienti e, ovviamente, il massimo degli ingredienti.

Come gestire un ristorante stellato e sopravvivere

“Questo è un mestiere che si fa per vanità, per orgoglio, non certo per soldi”

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Foto per gentile concessione di Ciccio Sultano.

Ho iniziato questa mia riflessione con due chef con due stelle Michelin ciascuno, molto noti nell’ambiente dell’alta cucina. Ciccio Sultano in Sicilia e Moreno Cedroni nelle Marche. Tutti e due sono accomunati dal fatto di essere in posizioni ottime per la stagione estiva e tutti e due mi hanno detto che il segreto massimo per non fare collassare un ristorante finedining è di gestirlo al meglio.

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E quando dico al meglio intendo fino all’ultimo dettaglio. “Questo è un mestiere che si fa per vanità, per orgoglio, non certo per soldi,” mi dice subito Ciccio Sultano del Ristorante Duomo a Ragusa, che ha anche scritto due libri su come gestire un ristorante. “La ristorazione fine dining non è un mestiere che ti fa avere gli utili di altri che hanno 300 coperti in riva al mare. Il punto è che ogni azienda deve avere i suoi utili o avrà problemi a gestirsi: non puoi assolutamente avere perdite.”

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E parliamo di perdite gestionali, non della crisi russa e delle bollette alle stelle. “Bisogna calcolare tutto, fino all’ultimo: ti puoi permettere o no gli asciugamani veri in bagno? Oppure, in ottica antispreco—ma che ti salva la vita se hai un locale—: voglio davvero buttare una chela o le teste di un gamberone? Con quella roba ci puoi pensare un intero piatto e ci risparmi e guadagni un bel po’.” E il resto va inserito nel coperto. “Le cose a cui devi pensare sono, in ordine: costo degli ingredienti, costo del personale e al paracadute che serve al ristorante nei momenti peggiori.” Come quello che si potrebbe prospettare questo inverno con il caro bollette.

Il ristorante fine dining funziona solo a certe condizioni e tra queste c’è che il più delle volte lo devi riempire per stare dentro ai costi

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“Se la sera fai dieci persone,” mi dice Moreno Cedroni del ristorante stellato La Madonnina del Pescatore a Senigallia, “hai decisamente un problema. Il ristorante fine dining funziona solo a certe condizioni e tra queste c’è che il più delle volte lo devi riempire per stare dentro ai costi. Se hai 35 posti e 24 dipendenti, i conti devono quadrare alla perfezione.”

E per lo chef Cedroni significa riempire il suo ristorante stellato, ma anche in qualche modo farsi supportare dai suoi due altri locali, che sono invece più pop: Anikò e Clandestino Susci Bar. “Gli altri due locali ci aiutano un po’ con i costi di gestione, ma la verità è che se lavori sempre bene, difficilmente cadi.”

Lavorare bene significa, ancora una volta, pensare a tutto, non solo al costo del cibo.

Avere un ristorante finedining lontano dai grandi centri abitati

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Chef Antonio Biafora. Foto per gentile concessione di Hyle.

Hyle è un ristorante che ha appena preso la sua prima stella Michelin nella Sila, in Calabria. Da una parte ci sono solo quattro tavoli in sala, dall’altra c’è il fatto che bisogna arrivarci in montagna, in Calabria. Insomma, gioie e dolori, come in tutti i ristoranti del mondo.

“Noi ci sosteniamo fondamentalmente in tre modi,” mi racconta lo chef Antonio Biafora. “Da un lato la sostenibilità ambientale e poi gli eventi e il fatto di avere una piccola struttura per alloggiare con bistrot alle spalle.”

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La sala di Hyle. Foto per gentile concessione di Hyle.

Chef Biafora ha aperto Hyle da due anni, facendo subito parlare di sé, ma prima il piccolo resort di famiglia non era diverso: sono vent’anni che usano pannelli solari e stufe a biomassa e con gli scarti della cucina ci fanno il compost per l’orto. “Abbiamo anche un orto di 1200 mq,” mi dice lo chef. “Con delle serre che ci rendono autosufficienti sui vegetali anche d’inverno. In più online ora vendiamo anche le nostre verdure e alcune preparazioni come marmellate.”

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L’altra cosa che può aiutare, invece, è il fatto di avere una struttura secondaria di supporto, non solo monetario: “nel mio caso il bistrot è una cosa che gestiamo in un pacchetto unico con Hyle. E poi naturalmente ci sono gli eventi, il 90% d’estate, che ci salvano e dopo quelli tendiamo a ridurre al minimo i costi. Per noi sono l’introito più grosso, tra feste e matrimoni.”

L’importanza degli eventi

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Foto per gentile concessione di Cristina Bowerman.

La chef Cristina Bowerman da sempre si batte per dire le cose come stanno nel mondo della ristorazione. Il suo ristorante è nel cuore di Trastevere a Roma, Glass Hostaria. Le ho chiesto come fa a sostentarlo.
“Ti sostieni con gli eventi che fai fuori dal ristorante,” mi dice schiettamente la chef Bowerman. È una cosa che sanno tutti e che per ragioni democristiane alcuni chef sono restii a dire. “Ovviamente non solo quello, ce la fai anche con una gestione oculata. Ma di sicuro tra le uscite che fai perché sei magari un po’ conosciuta e i catering che prendi sono un bell’aiuto. Bisogna essere aperti agli eventi esterni.”

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L’altra cosa da fare, secondo la chef Bowerman, è spingere ancora di più sugli ingredienti che si comprano, non abbassare il livello come spesso si fa. “Tu devi metterti nei panni dei clienti e dire: perché devono venire da me? Non certo se prendi cose peggiori. Quindi è bene secondo me investire nel meglio e anche nelle cose di tendenza: io ho gli stessi funghi del Noma di Copenaghen per esempio. Per supportare un coltivatore molto bravo, ma anche perché sono un trend. Al massimo puoi togliere dei piatti dalla carta, come abbiamo fatto noi, ma mai abbassare la qualità.”

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I ristoranti stellati quindi sono destinati a fallire? Da soli, contando pandemia, costo del lavoro, chiusure stagionali e posizioni non proprio centrali, hanno buone possibilità di fallire o di avere grandi buchi. Se ci si mette dietro studio, qualità e tanto lavoro esterno, magari no.

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