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Cibo

Foglie e pelle: questo chef peruviano utilizza tutto del caffè

Virgilio Martinez è un grande chef sudamericano, e lo abbiamo incontrato per parlare di foraging e di Perù.
Andrea Strafile
Rome, IT
Foto by Lavazza

Questo post fa parte de La Guida di MUNCHIES al caffè, realizzato in collaborazione con Lavazza

Le persone curiose, determinate, si riconoscono dallo sguardo. Lo sguardo di Virgilio Martinez sa essere insieme attento, vispo, romantico e inarrestabile.

Quest'uomo con la faccia da ragazzo è riuscito in una manciata d'anni o poco più a passare dalle più importanti cucine del mondo a una tutta sua nella terra dove è nato.
Il suo ristorante Central di Lima in Perù non è solamente un buon posto dove mangiare.
È il secondo posto migliore in cui mangiare in tutto il Sudamerica, il quinto nell'intero orbe terracqueo.
In pratica Virgilio si è detto: "Ehi, ma la nostra cucina non guarda veramente a quello che abbiamo, a chi siamo. È il mangiare di chi ci ha colonizzato!"
E così ha stravolto le tradizioni gastronomiche peruviane andando dritto dagli ingredienti, da tutti gli ingredienti che il Perù potesse offrire, per creare piatti pazzeschi.

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Prima mi bastava alzare la cornetta del telefono per chiamare i fornitori, ora non mi basta più. Devo toccare con mano la terra, sentire le storie delle persone da cui spesso passo la notte.

Di foraging ormai si parla da anni. René Redzepi ne ha fatto non solo la sua filosofia, ma addirittura un'app per poter girare nell'incontaminata natura danese e riconoscere le piante commestibili da quelle non, quelle buone da quelle schifose. Ecco, se lui ha inventato la Nuova Cucina nordica, Virgilio Martinez ha fatto la Neocucina peruviana.
In realtà in questo mondo asettico di supermercati dove le banane sono rinchiuse tra polistirolo e pellicola, il foraging non è che un ritorno alle origini. A quando le mamme e le nonnine acchiappavano un coltello per strappare dai campi intorno casa cicoria, tarassaco, asparagi e rughetta. E se avete mai assaggiato la cicorietta di campo, sapete di cosa parlo.
E fra tutte le cose che Virgilio ama utilizzare c'è il caffè, ma non solo la polvere o i chicchi tostati: foglie, radici, e non solo.

Comunque ci siamo fatti due chiacchiere con Virgilio e sono usciti fuori i suoi piatti, il suo legame con la terra e il rapporto che ha intrecciato col caffè delle Ande, di cui usa tutto per cucinare. Dal chicco alla foglia.

Viviamo in uno dei paesi con più biodiversità che esistano al mondo

MUNCHIES: Quando hai capito che la tua vita era in cucina?

Virgilio: (Ci pensa e sorride). Beh, per puro caso. Ero uno skater semi-professionista. Un giorno, mentre skatavo in California sono caduto e mi sono rotto una spalla; così sono tornato in Perù, e quando mi sono rimesso sulla tavola mi sono rotto l'altra spalla.
Allora ho iniziato a cucinare e ho capito due cose: che non sarei diventato uno skater e che non sarei più uscito da una cucina.

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Fai parte di una nuova era gastronomica, ne sei un emblema. Cosa significa questa cosa per te?

Mi piace parlare di nuova era, perché se prima ero orgoglioso di passare 15 ore in cucina a lavorare senza sosta, ora lo sono perché ce ne passo 7/8. Quelle che mi rimangono preferisco passarle con la gente per prendere i loro prodotti, conoscere nuove tecniche e andare nella natura.
Prima mi bastava alzare la cornetta del telefono per chiamare i fornitori, ora non mi basta più. Devo toccare con mano la terra, sentire le storie delle persone da cui spesso passo la notte. È necessario fare queste cose per capire cosa significa essere chef oggigiorno.
Non puoi più stare rintanato in cucina tutto quel tempo, oggi non sei solo un cuoco, ma un comunicatore: devi parlare di ambiente, parlare coi giornalisti, sei protagonista di qualcosa. Certo, c'è anche un tipo di ristorazione improntato sul business in cui la natura non c'entra nulla, ma secondo me la cosa più importante è di porsi un obiettivo. È una responsabilità: non basta più cucinare in nome della creatività, del piacere. Devi essere coerente su quello che pensi, dici e fai ed è una cosa molto difficile.
E questa è la sostenibilità del mio lavoro e anche la mia credibilità.

Pensi allora che il foraging sia una scelta sociale e politica?

Penso che qualsiasi azione oggigiorno nella gastronomia e cucina abbia valenza politica. L'immagine dello chef ormai passa dalla tv, c'è molta politica.
Passando al tema del foraging, il discorso si fa più complesso, almeno per noi. Perché in Perù se ci immergiamo nella natura non possiamo solo prendere dei prodotti, dobbiamo anche cercare una comunicazione con le persone, che hanno un legame sacro con la terra. Il foraging in Perù è molto diverso che da altri paesi proprio per questo: in Amazzonia, che ci si creda o meno, le persone hanno una vera e propria comunicazione con la terra, parlano con le piante. E sulle Ande ringraziano il suolo ogni venti minuti, così come il cielo.
Io non posso farlo, ma posso osservare e rispettarli e anche questa è un'azione politica. Perché io e la mia cucina prendiamo moltissimo dalle conoscenze andine e amazoniche, per cui devo ridare qualcosa e questo restituire fa girare l'economia, il turismo.

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Perché così è tutto più autentico?

Perché oggi la gente è veramente orgogliosa dei suoi prodotti e sente questo orgoglio. Un esempio: io lavoro sempre con un cianobatterio (ndr alga) che si chiama cushuro, sembra del caviale grande e verde. Ho lavorato con una comunità e ho scoperto che di lì a poco sarebbero dovuti andare via dal luogo che avevano sempre abitato. Allora noi come Mater Iniciativa siamo andati a parlare con questa comunità e abbiamo fatto in modo che avremo consumato tutto il loro prodotto, così da farli rimanere.
Questa non è solo autenticità, tornando al discorso di prima è un'azione molto politica.
Sono curioso, il mio paese è una enorme fonte di ispirazione e mi fa tornare bambino. Scopro l'ingrediente, ma poi voglio sapere tutto di quel tubero e allora parlo con chi abita quelle zone. La mia terrà ancora non è stata toccata troppo da processi produttivi importanti, per cui è un'occasione da non perdere. Ecco perché trattengo una parte dei guadagni del Central e porto nei miei viaggi tutto lo staff del ristorante, per farne delle esperienze multisensoriali e condivise da mettere poi nel piatto.

Visto che hai parlato di Mater Iniciativa, potresti spiegarcela?

Mater Iniciativa è la nostra idea di foraging. Siamo un gruppo di ricercatori che viaggiano attraverso tutto il Perù alla ricerca degli ingredienti che vanno dal muschio accanto al fiume alla pianta di caffè, fino alla cima delle Ande, nella Puna ghiacciata. Solo che non ci limitiamo a cercare gli ingredienti, ci portiamo dietro anche un antropologo. E queste spedizioni diventano veri e propri micro-viaggi che non arricchiscono solo i piatti del Central, ma anche noi come esseri umani. Viviamo in uno dei paesi con più biodiversità che esistano al mondo; Mater Iniciativa, che è a tutti gli effetti il centro biologico e culturale del ristorante, serve a far capire che un piatto fine a sé stesso non è mai più importante della tradizione degli ingredienti e di chi li coltiva.
Sono ritornato come uno studente curioso che riesce a soddisfare la propria curiosità. Solo che molte delle ore che passavo in cucina ora le passo con un antropologo a parlare e capire.

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Virgilio Martinez.

Domanda stupida: hai mai lavorato con elementi naturali psicotropi? Tipo ayahuasca, di cui tanto si parla?

No, diciamo che ho cercato di mettere nell'esperienza molta salubrità. Abbiamo una serie di piante medicinali che possiamo somministrare sotto forma di te, ma non cerco mai di alterare a livello psichico. Non promuovo l'ayahuasca, a meno che non capisca che qualcuno lo vuole fare.

Tu lo faresti?

Io l'ho fatto! Molte volte. E mi è pure piaciuto. Ma è un'attività molto selvaggia, io l'ho fatto per curiosità. Non posso convincere una signora ottantenne di New York che viene a mangiare da me ad andare nella selva a provarla tutta ingioiellata, ecco.

Come mai hai collaborato con un brand italiano come Lavazza per parlare di cucina?

Guarda quando Lavazza mi ha chiamato, mi sono detto: "Ma Lavazza è un brand globale", storcendo un po' il naso. Ovviamente tutti conoscono Lavazza, ma io sono un forte sostenitore del caffè peruviano, dal frutto alle foglie e ci lavoro da oltre 10 anni. Poi ho capito che stava cercando l'Origin, cioè stava investendo sulla ricerca delle origini del caffè delle Ande, con i suoi metodi, la sua gente e la sua qualità tutto nel modo più rispettoso.
Quindi l'ho considerata come una grandissima opportunità per mettere nome e cognome a una regione e mostrare il lavoro che si svolge da quelle parti. Ho mostrato loro le piante di caffè per come le vedo io e loro mi hanno seguito: ho parlato loro di foglie, radici, frutti, semi, pelle e di come possono essere utilizzate in cucina.

L'altra cosa che ho pensato, perché sto maturando molto come chef, mentre prima ero un cuoco robot peruviano, è che in questo mondo di interconnessioni se io ho una visibilità, posso essere sicuramente un anello importante della catena che collega un piccolo produttore di caffè a una grande azienda internazionale. E non c'è una contraddizione.

La tua ricerca finisce con il caffè?

No, in America Latina ci sono molti prodotti, tradizioni e la gente sa molto poco. Io sto cercando delle risposte e questo mi dà visibilità e la visibilità mi permette di combattere il non sapere. Tutto questo mi piace, ma sto trascurando cose importanti come la famiglia a volte.
In ottobre apriamo il primo centro di sperimentazione, laboratorio e ristorante a Cuzco, in montagna. Ho sempre amato la montagna, per cui sogno un giorno di poter vivere lì con la mia famiglia in mezzo alle comunità, che sono nostri amici.
Voglio avere una vita e un proposito di vita. So che suona molto spirituale, ma è l'unica via di salvezza quando sei molto esposto. Altrimenti rimani vuoto, ti svuoti completamente.

Questo post fa parte de La Guida di MUNCHIES al caffè, realizzato in collaborazione con Lavazza