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Le fragole a 2 euro sono una cattiva idea, il perché lo spiega il rapporto sui braccianti dell'Oxfam

Oxfam Italia e Terra! pubblicano un rapporto sul lavoro stagionale e sui braccianti. Ed emerge che sono grandi aziende e supermercati ad attuare un'asta al ribasso che influisce sulle condizioni di lavoro nei campi.
Andrea Strafile
Rome, IT
Foto di Maurizio Montanar via Flickr 

Non c’è dubbio che in questo momento ci sia una maggiore consapevolezza da parte del cliente nei confronti dell'agroalimentare, cosa che che si traduce anche in un nuovo modo di lavorare da parte dei produttori e contadini, che si spingono verso etica e sostenibilità.

Bisogna però ricordare che questo è ancora il paradigma di un’agricoltura di nicchia, non lo specchio della reale situazione dell’agricoltura di massa. Abbastanza scontato, vero, ma è giusto dirlo.

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Quello che davvero accade sui campi italiani è tutt'altra cosa. A ricordarcelo in questo rovente luglio 2018 il report con i dati dello sfruttamento nelle campagne italiane, pubblicato da Oxfam Italia e Terra!, con dati e notizie davvero inquietanti.

Con il titolo “Sfruttati. Povertà e disuguaglianza nelle filiere agricole in Italia”, il report analizza tutte quelle realtà di filiera sporca che riguardano la grande distribuzione e il lavoro stagionale.

Nel 2015 sono stati rilevati 713 casi di caporalato su un campione di 8.862 aziende e di 6.137 lavoratori irregolari

Paga molto al di sotto del minimo sindacale (a volte la metà, che significa circa 3 euro l’ora), condizioni di vita disumane, minacce e sfruttamento, orari di lavoro folli, niente pause, violenze sessuali e una disparità di genere imbarazzanti, con lo stipendio delle donne inferiore anche del 30%.

Naturalmente il problema riguarda tutta Italia, ma è al Sud che tutto diventa più pesante, proprio dove abbondano i lavori stagionali. Lavorare solo in un determinato periodo dell’anno per la raccolta delle arance o dei pomodori significa abbattere le regolarizzazioni giocando sul fattore tempo. Le Organizzazioni dei Produttori, piccole associazioni che regolano di fatto la produzione nelle varie zone d’Italia, sono numericamente inferiori al Nord, ma più strutturate, mentre al Sud più frammentate. Di conseguenza c’è un terreno fertile per il fenomeno del caporalato, che per definizione dovrebbe essere un tramite tra squadre di lavoro e imprenditore agricolo e che invece diventa la moderna traduzione del negriero nei campi di cotone.

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Nel 2015, delle ispezioni della FLAI-CGIL, hanno riscontrato la presenza di 713 casi di caporalato su un campione di 8.862 aziende e di 6.137 lavoratori irregolari.

Il caporale si occupa di reclutare i braccianti (spesso appartengono alla stessa nazionalità), di trattare giornalmente la paga (servendosi di minacce o violenze), di organizzare i trasporti dalle baracche ai campi e di gestire le ore di lavoro. Per riassumervela suona più o meno così: una media di 25 euro al giorno, per 12 ore al giorno, nessuna o rapide pause solo per andare in bagno, ore di autobus non conteggiate ogni mattina e sera, caldo estremo in estate, freddo insopportabile d’inverno e servizi di ristorazione a prezzi maggiorati rispetto a quelli di un bar.

Secondo il rapporto 2018 a pagarla di più sono le donne, a volte costrette a lavorare anche per pochi euro per mantenere la famiglia e a subire, oltre a un trattamento economico totalmente differente, violenze verbali e sessuali

L’attenzione dei media si è rivolta a questa questione nel luglio del 2015, quando Abdullah Muhammed, sudanese 47enne in Italia regolarmente, è morto a Nardò (LE) in seguito a un attacco di cuore.

Da quel momento sono scattate delle indagini per due colossi dei sughi come Mutti e Cirio per sfruttamento delle risorse di lavoro, come riportato dal Guardian. Ed è stata approvata una legge nel 2016 contro il caporalato che dovrebbe aumentare la protezione dei lavoratori attraverso sanzioni economiche e penali per datori di lavoro e caporali, la confisca dei beni e controlli massicci delle aziende. Anche se la maggior parte sono isolatissime e quindi poco raggiungibili.

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Secondo il rapporto 2018 a pagarla di più sono le donne, a volte costrette a lavorare anche per pochi euro per mantenere la famiglia e a subire, oltre a un trattamento economico totalmente differente, violenze verbali e sessuali. Sono le loro mani più piccole le uniche in grado di raccogliere per bene le fragole, ad esempio.

“Nella mia busta paga il salario dichiarato era di 46 euro al giorno. Ma io non ho mai visto quei soldi. Me ne davano 28 al giorno”, dichiara una bracciante in forze in Campania. Quando te li danno, perché ovviamente si riservano il diritto di saltare dei pagamenti o di abbassarli a loro piacimento giornaliero.

I braccianti sono perlopiù immigrati, la maggior parte africani, anche se molti hanno iniziato a sfruttare il fattore Europa scegliendo uomini e donne provenienti dalle zone più povere della Romania, come la Moldavia rumena. Loro hanno bisogno, possono essere regolarizzati velocemente e accettano le condizioni estreme.

I salari così bassi, i lavoratori portati allo stremo delle forze 7 giorni su 7, sono la conseguenza di alcune pratiche accettate e scorrette delle grandi industrie alimentari e dai supermercati, che fanno molti mesi prima un’asta e quindi una seconda asta online al ribasso, partendo dall’offerta più bassa della prima asta. In questo modo si garantiscono grosse partite di frutta e verdura in anticipo a prezzi ridicoli.

E dove tagliare per poter attenersi a questi prezzi di vendita? Sugli esseri umani, naturalmente.

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In questo scenario, che sembra preso dal Django di Tarantino, c’è invece una realtà italiana (ma non solo, qui trovate il rapporto 2018 di Oxfam International) che spaventa.

Io lo so che trovare le fragole a due euro fa gola, ma adesso siete più coscienti del perché costano così poco. Ma ci sono sempre più aziende che distribuiscono con le etichette trasparenti riportando tutti i passaggi della filiera. Ci sono realtà di vendita diretta che non hanno intermediari. E sapendo, ora potete scegliere davvero.

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