bentoteca Milano
Foto di Matteo Dabbene per gentile concessione di Bentoteca
Cibo

Molti ristoranti gourmet in Italia hanno modificato menu e prezzi dopo il lockdown

Ristoranti famosi - e costosi - hanno riaperto puntando su un'offerta più "popolare". È l'inizio di una nuova era della ristorazione?
Andrea Strafile
Rome, IT

"Avevamo bisogno di un format che ci facesse fatturare, che ci aiutasse a finire le scorte, che abbassasse gli scontrini e che potesse fare notizia. La pizza."

Dopo due mesi di chiusura causa lockdown, spesso seguiti da un altro mese di serrande abbassate, grandi e piccoli ristoranti se la sono dovuta vedere con una lunga serie di problemi: coperti dimezzati, affitti arretrati, spese aumentate per la sanificazione. Per molti dunque la riapertura è stato un modo per ripensare in toto alla propria attività.

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E nelle ultime settimane è parsa delinearsi una tendenza: trasformare il proprio menu, rendendolo più popolare - contestualizzando l'uso del termine come "accessibile a una fascia di clientela più ampia". Più semplice. Banalmente, anche più economico. E la tendenza che già si delineava negli scorsi anni, quella in cui anche gli chef dell'Olimpo si "abbassano" a fare una cucina più abbordabile per tutti, sembra aver avuto l'accelerata finale. Ottimizzazione degli spazi e del personale, temporary restaurant e pop up, alleggerimento dei menu: sono solo alcune delle chiavi attraverso cui certi locali di fascia alta hanno riaperto i battenti dopo un lockdown prolungato.

"Molti ristoranti scelgono di alleggerire la formula da gourmet a popolare: il tempo al tavolo si accorcia, permettendo un ricambio, le spese per gli ingredienti si abbassano e si fa fronte alla mancanza di quegli aiuti statali che tardano ad arrivare"

I dati secondo la FIPE (Federazione Italiana Pubblici Servizi), aggiornati all'11 Giugno, ci dicono di come in media i locali abbiano perso il 53% del fatturato rispetto al periodo pre-pandemia. La prima fase di riapertura parlava di un 70% di incassi in meno ma, anche se in miglioramento, la situazione appare piuttosto spinosa. Il fatturato in calo è una delle motivazioni principali per cui alcuni ristoranti starebbero scegliendo di alleggerire la formula da gourmet a popolare: il tempo al tavolo si accorcia, permettendo un ricambio, le spese per gli ingredienti si abbassano e si fa fronte alla mancanza di quegli aiuti statali che tardano ad arrivare, per esempio.

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Ma il denaro non è l'unica motivazione. Ripartire con una formula gourmet può significare perdere una clientela di mezzo che oggi difficilmente può permettersi uno scontrino medio di cento euro a testa. E ancora c'è il fattore di ripresa con le nuove regole, dalle mascherine alle distanze, in cui una cucina più semplice potrebbe fare da fase di rodaggio e transizione. E infine c'è il problema della mancanza di turismo, che lascia i centri delle principali città vuoti e spinge i ristoratori a trovare un modo per riempirli.

Il caso più eclatante è stato quello del Noma a Copenaghen: il faro della cucina mondiale ha ripreso l'attività, temporaneamente, come hamburgeria e wine bar in attesa di riattivare la macchina più impegnativa dei menu degustazione a centinaia di euro. Il wine bar Noma sarà aperto a tutti senza bisogno di prenotare fino al 21 giugno, mentre il 9 luglio si ripartirà con il nuovo menu, come mi ha riferito il sous chef Riccardo Canella.

"Il centro di Roma in questi giorni è deserto. Noi abbiamo riaperto così non sappiamo quando torneremo a fare la nostra cucina di sempre, ma al momento ci permette di sperimentare e stare a galla"

E anche in Italia alcune insegne hanno deciso di aprirsi a una modalità più leggera, almeno per il momento. Retrobottega è uno degli indirizzi di fine dining più interessanti di Roma. E il 28 maggio ha riaperto le porte puntando su un format del tutto nuovo: la pizza. Temporaneamente, certo. "Abbiamo pensato di fare qualcosa di diverso per venire incontro alle persone che sono uscite spaventate da questa nuova situazione," mi ha spiegato lo chef Alessandro Miocchi. "Avevamo bisogno di un format che ci facesse fatturare (perché più passava il tempo chiusi e più era difficile), che ci aiutasse a finire le scorte, che abbassasse gli scontrini e che potesse fare notizia."

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Retropizza coronavirus gourmet pop

Foto di Andrea di Lorenzo per gentile concessione di Retropizza

Retropizza ha fatto decisamente notizia. Il fatto che, come Alessandro stesso mi ha ammesso, un cuoco si mettesse a fare pizza - e non viceversa, con questa nuova generazione di pizzaioli che sembrano sempre più cuochi - è qualcosa che non si vede facilmente. E permetteva di dare un prodotto popolare - almeno in apparenza. "Fare pizza non è facile, ma ci sta permettendo di cambiare giorno per giorno, di usare pochi ingredienti ed esplorarli al meglio." Insomma, si possono seguire la stagione e l'istinto. E imparare come per esempio gestire la cottura in un forno non proprio adatto alla pizza.

Questo uccide l'anima creativa del posto? Non necessariamente: fanno una pizza con pesche e midollo alla brace che non si vede tutti i giorni. "Il centro di Roma in questi giorni è deserto. Noi abbiamo riaperto così non sappiamo quando torneremo a fare la nostra cucina di sempre, ma al momento ci permette di sperimentare e stare a galla. Al momento i numeri vanno abbastanza bene. Però è un'incognita." Lo scontrino medio non è certo quello di una qualsiasi pizzeria di quartiere (si parte dai 9 euro di una margherita), ma non è nemmeno quello di prima. Insomma, una via di mezzo per godersi una cucina ricercata senza svenarsi, e per aiutare un posto che ha lavorato bene per anni a non affogare.

"Avevamo questo spazio che non avremmo potuto utilizzare per un po', perché matrimoni ed eventi non si possono più fare, e c'è tanto personale a cui teniamo e non volevamo finisse in cassa integrazione."

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pizza da Vittorio pop

Foto di Fabrizio Paolo Donati per gentile concessione di DaV Cantalupa

La famiglia Cerea dello storico tre stelle Michelin Da Vittorio a Brusaporto (MI) non ha cambiato il ristorante principale, ma ha pensato di riconvertirne una parte in pizzeria con brace. DaV Cantalupa è uno spazio nella loro villa che fino a prima del virus veniva utilizzato per gli eventi, ed è ora stato trasformato per venire incontro alle esigenze post-Coronavirus, tanto quelle della famiglia di ristoratori quanto quelle dei clienti. "Più che un'idea è stato un problem solving," mi ha detto Francesco Cerea. "Avevamo questo spazio che non avremmo potuto utilizzare per un po', perché matrimoni ed eventi non si possono più fare, e c'è tanto personale a cui teniamo e non volevamo finisse in cassa integrazione." DaV Cantalupa, con questo nome medievaleggiante, ha una chiave palesemente POP: grandi tagli di carne alla brace, pizze e una carta dei vini fatta dallo stesso Francesco Cerea per aprire le porte di un mondo a volte inaccessibile economicamente a tutti.

"Il mio sous chef, per esempio, ora fa il cameriere. E questo gli servirà molto quando magari vorrà aprirsi un locale suo."

"Sta andando molto bene," mi dice ancora Francesco. "Ci sono tanto i clienti storici del tristellato quanto nuove persone che possono provare la nostra cucina in un'altra chiave." Pizza cotta nel forno a legna, al vapore e in teglia, per uno scontrino medio di 40 euro. Certo, anche qui non aspettatevi la margherita a cinque euro: ne costa 18, ovviamente con prodotti impeccabile. Spendete 30 euro per una pizza, ok, però il contesto è quello di un tre stelle Michelin i cui menu degustazione costano centinaia di euro. E DaV Cantalupa non è stata l'unica soluzione in questa pandemia: l'altra anima necessaria, ma pur sempre popolare, è stato il delivery (adottato anche da altri, che hanno prediletto i loro indirizzi "minori" come Bottura con il delivery de La Franceschetta e Niko Romito con quello di Spazio) e l'e-commerce di grandi prodotti come marmellate e il box di paccheri.

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Doveva essere un pop-up, ma mi rendo conto che sta andando troppo bene, quindi lo continuerà almeno fino a settembre/ottobre

Bentoteca Tokuyoshi pop coronavirus

Foto per gentile concessione di Bentoteca

Tra gli stellati che hanno deciso di alleggerire il menu e i costi cambiando faccia c'è anche Yoji Tokuyoshi. Lo chef giapponese ha pensato bene di trasformare il suo ristorante di Milano in una piccola gemma di cucina tradizionale giapponese e vini naturali, che ha chiamato Bentoteca. "Avevo già in mente questo progetto," mi spiega Yoji Tokuyoshi, "e ho pensato che questo fosse il momento giusto per farlo." A quanto pare la cucina tradizionale "di sua nonna" si sposa molto bene con i vini naturali. Il successo, dopo alcuni giorni di apertura, pare pazzesco. Con formule che coprono praticamente ogni pasto - pranzo, aperitivo, cena e delivery - ci si può mangiare un autentico Bentō giapponese fatto da uno stellato stando entro i 60 euro circa, compresa la bottiglia di vino. Prezzi abbastanza linea con i giapponesi di fascia media di Milano. Per alcuni forse ancora proibitivo come prezzo, certo, ma non per i clienti del ristorante, abituati a ben altre cifre.

"Doveva essere un pop-up, ma mi rendo conto che sta andando troppo bene, quindi lo continuerò, almeno fino a settembre/ottobre. E mi piace perché mi avvicina di più al cliente rispetto al ristorante Tokuyoshi, dove bisognava essere un po' troppo rigidi. Ci voleva qualcosa di più alla mano, forse mi piace anche di più [ride, NdR]." Cambiare volto a un locale significa anche, o quantomeno in questo caso, cambiare i ruoli delle persone che lavorano. "Il mio sous chef, per esempio, ora fa il cameriere. E questo gli servirà molto quando magari vorrà aprirsi un locale suo." Una lezione di umiltà, logistica e una soluzione al problema del ricollocamento per non lasciare i dipendenti in pasto alla burocrazia e agli aiuti che tardano a pervenire. Ricapitolando: una trentina di posti a sedere, piatti semplici e divertenti come i panini a forma di panda con burro e acciughe, e un sacco, ma proprio un sacco, di umami.

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"A dire il vero questo Coronavirus più che farmi perdere coperti me ne ha fatti aggiungere. Non serve rimanere fissi sulle proprie idee: vincerà chi ha la mente aperta"

Il ristorante Piccolo Lago a Verbania è un due stelle Michelin di fronte al lago di Mergozzo. E anche lo chef Marco Sacco ha deciso di "tornare alle origini" semplificando parte della sua proposta gastronomica.

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Foto di Giuseppe di Mauro per gentile concessione di Piccolo Bistrot Lago

"In questi due mesi abbiamo avuto da pensare," mi ha detto Sacco. "Con tutti i ristoranti del mondo chiusi ho capito che persino l'aperitivo sarebbe cambiato radicalmente. E pensandoci bene ti rendi conto che non sei partito da due stelle Michelin, ma da osterie e ristoranti diciamo normali, buoni ma semplici." Anche qui, come è successo nel caso di Da Vittorio, una parte del ristorante sarebbe rimasta inutilizzata a causa della mancanza di eventi, quella del giardino fronte lago. E quindi lo chef ha pensato a un ritorno alle origini, fatto di una cucina meno impegnativa ma con la libertà di mangiare a piedi nudi nell'erba. "A dire il vero questo Coronavirus più che farmi perdere coperti me ne ha fatti aggiungere," continua. La formula del nuovo Piccolo Bistrot, rispetto agli altri ristoranti che abbiamo citato, spicca per il suo carattere decisamente economico. Un piatto di pasta al pomodoro viene dieci euro, come in trattoria, ma in uno scenario pazzesco e cucinata da uno chef due stelle Michelin. E, come è giusto, anche l'aspetto etico e del territorio si amalgama a prezzi contenuti: il fritto di pesce sì, ma con pesci di lago locali e a 22 euro. Insomma, si spende quanto, e addirittura meno, che in molti ristoranti turistici del luogo.

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"Quello che mi ha insegnato o confermato questa situazione è che non serve rimanere fissi sulle proprie idee: ormai vincerà chi ha la mente aperta. Bisogna pensare liberamente, anche all'aspetto etico." L'etica sarà parte fondamentale di questa nuova fase della ristorazione italiana: conoscere il valore dell'ingrediente, avere una rete di risorse locali, puntare a uno scarto (il più possibile) zero. E in questo senso le generazioni più giovani nella ristorazione potrebbero aiutare. Conclude Sacco: "Il fatto di lavorare con mio figlio 24enne, che gestisce il cocktail bar di Piano35 a Torino, mi ha aiutato molto a pensare in maniera fresca e dinamica."

Non sappiamo quanto questa conversione dei ristoranti e di offerta sia un trend destinato a durare o una semplice fase di passaggio. Quello che però è interessante vedere è come, davanti ai nostri occhi, si stia plasmando una nuova forma di cucina che abbatte le barriere e i compartimenti stagni. Non solo per restare a galla, ma aprendosi a nuove idee, scenari, contaminazioni e parlare sempre più la lingua morbida dei clienti.

Forse il Noma non ci darà più cheesburger a pochi euro tra qualche settimana, ma ci lascerà - e così tutti gli altri - tanto materiale di riflessione per il futuro dei ristoranti.

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