Ristorante Da Lucio Rimini
Foto di Lido Vannucchi per gentile concessione di Da Lucio 
Cibo

Il ristorante romagnolo che fa frollare il pesce come se fosse carne

Le frattaglie sono circa il 60% di un pesce. Da Lucio un team di giovani ha deciso di frollare il pesce e usare gli 'scarti' e il risultato è sensazionale.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

“Io voglio servire la cosa più buona possibile. Nel caso del pesce, la cosa più buona possibile è la carne frollata”

“Dopo la morte di un animale alla sua carne succede sempre qualcosa. È lo stesso che con un manzo, un maiale. La carne di pesce acquisisce una nota acida che cresce con la taglia. Si attiva un processo enzimatico che ne scompone la struttura proteica: il morso diventa diverso, si perde acqua, cambiano i sapori.”

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Forse il giusto per iniziare a raccontare un posto come la Trattoria Da Lucio a Rimini è proprio quello, scomodo ma inevitabile, disturbante ma necessario: la morte del pesce. La sua cattura. Quello che succede dopo. E un giovane chef che ha portato in Italia qualcosa che nessuno aveva ancora immaginato di portare.

Jacopo Ticchi ha 27 anni ed è romagnolo d’origine. Alla scuola alberghiera di Riccione gli è stato subito chiaro che la cucina era la sua strada. Poi è andato in Australia dove ha fatto, come dice lui, una “vita da grande”. A seguire un’esperienza molto formativa al ristorante vegetariano stellato Joia di Milano, dove ha imparato “un diverso modo di vedere la cucina e creare piatti. Anche se usavano solo ingredienti vegetali c’era una costruzione, un’avvolgenza, un modo di costruire il piatto che mi ha formato.” Tornato a Rimini ha lavorato al Necessaire dove ha iniziato a vedere la Romagna con occhi diversi. È diventato socio con i ragazzi del bistrot e da lì è nata la Trattoria Da Lucio.

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Foto di Lido Vannucchi per gentile concessione di Da Lucio

La trattoria apre in un locale storico del centro. Anche il nome, con quel da e quel trattoria, dove richiamare un locale tradizionale, di quelli con oste, dove “si pensa solo al gusto.” Mentre “Lucio è il nome di mio figlio. Volevo richiamare la purezza di chi vede le cose con occhi diversi e se ne frega di quello che pensano gli altri.” Ad esempio “A Rimini il pesce non si può fare.” Perché? Perché lo fanno già in troppi. Perché cosa ti puoi inventare di nuovo. E invece si può e lui lo fa.

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I cambiamenti che avvengono nella carne del pesce si sentono soprattutto nel crudo. La frollatura — pochi giorni, raramente più di una settimana — serve ad ammorbidire la carne nella consistenza e nel sapore

Da dicembre 2019 sono all’interno dell’hotel Villa Rosa. Un ambiente anni Ottanta, da pura Riviera Romagnola, che però invece che stonare con l’esperienza complessiva mette a proprio agio e fa rilassare, senza strizzate d’occhio a mode del momento.

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Foto di Giacomo Ballarini per gentile concessione di Da Lucio

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Foto di Giacomo Ballarini per gentile concessione di Da Lucio

Se avete sentito nominare il ristorante sarà accaduto soprattutto per un motivo: la frollatura del pesce. L’idea viene dal libro The Whole Fish Cookbook di Josh Niland. I cambiamenti che avvengono nella carne del pesce si sentono soprattutto nel crudo. La frollatura — da pochi giorni fino a un mese circa — serve ad ammorbidire la carne nella consistenza e nel sapore: “Io voglio servire ai clienti la cosa più buona possibile. Nel caso del pesce, la cosa più buona possibile è la carne frollata, ad esempio la rana pescatrice diventa burrosa, avvolgente, con note sensoriali profonde. I pescatori già lo sapevano: il tonno non si mangiava in barca.”

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Foto di Lido Vannucchi per gentile concessione di Da Lucio

“Non è sostenibile né moralmente accettabile quella che fino a poco tempo fa proponevano i ristoranti in Riviera: la tradizione non è la loro”

Un’altra questione per loro molto importante è la questione dello scarto: “Sono un ragazzo di campagna, le mie origini mi guidano nella gestione del prodotto. Del pesce usiamo tutto, la testa, le parti con più collagene… il vero spirito della Romagna. Non si spreca nulla.” Le frattaglie, dice, costituiscono circa il 60% di un pesce e quindi pensare di non utilizzarle è folle. Perfino nel caso della pelle: ai pescioloni serviti interi la lasciano, quando per altre ricette la devono togliere poi la usano da sola in altri modi, ad esempio per cuocere le patate.

Da Lucio si mangia il pesce dell’Adriatico. Punto. Ma non certo “i soliti noti”. Tra i più interessanti su cui Ticchi si applica di recente: cefalo, che vive nel fondale e la cui carne ha note di sabbia e fango che con la frollatura spariscono, o ancora la leccia, che frollata intenerisce il suo morso duro, lo scorfano. Si “concedono” massimo un tonno rosso all’anno ma niente salmone.

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Foto di Giacomo Ballarini per gentile concessione di Da Lucio

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Foto di Giacomo Ballarini per gentile concessione di Da Lucio

Ogni volta che sono andata a mangiare da Lucio ho sempre mangiato piatti nuovi e nuovamente in grado di suscitare in me stupore e godimento. Li menziono in ordine sparso, sapendo di non rendere loro giustizia in un semplice elenco, ma interpretatelo come un bonario sprone: per capire davvero il ristorante bisogna andarci.

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Cappelletti alla panna, ricci e bottarga. Riso alla brace con triglie i suoi fegatini ed erbe di campo. Patate cucinate nel coccio con cotiche di pesce. Crostini di fegato di rana pescatrice con pesche e cipolla. Trippa di tonno Spaghetti alle vongole — assolutamente filologici e altrettanto indimenticabili.

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Foto di Giacomo Ballarini per gentile concessione di Da Lucio

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Foto di Giacomo Ballarini per gentile concessione di Da Lucio

Per me Da Lucio è diventato il posto più interessante della Riviera Romagnola, da tornare appena possibile, con un rapporto qualità-prezzo imbattibile: pranzi e cene abbondanti, con abbondante vino (tante belle referenze locali — ma propongono anche ottimi cocktail), si traducono in un conto di una sessantina di euro.

Ma secondo Ticchi è tutta la Romagna a stare diventando sempre più interessante: “Prima di tutto bisogna fare un distinguo: la ristorazione romagnola è diversa al mare o in campagna. Non è sostenibile né moralmente accettabile quella che fino a poco tempo fa proponevano i ristoranti in Riviera: la tradizione non è la loro, anche se te la spacciano come tale. Però anche sul mare stanno nascendo attività che un pensiero dietro ce l’hanno. Ci si adagia meno sul turismo.”

Tra le cose che quest’anno ho disimparato a fare c’è raccontare i ristoranti. E ho capito che quella cosa lì non mi mancava per nulla, forse addirittura che non mi era mai appartenuta del tutto. Ma si incappa in un posto come bisogna sforzarsi di trovare le parole giuste. Nel loro futuro i ragazzi di Lucio contano di eliminare il gas a favore della potenza della brace. Io invece nel mio futuro conto di tornare ancora a mangiare da loro.

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