Per noi rimane il primo grande amore dopo la cucina italiana. In un ristorante cinese abbiamo cominciato a familiarizzare con i sapori asiatici e i nuovi ingredienti; qui abbiamo iniziato a giocare con le bacchette - e dopo qualche anno abbiamo anche imparato ad usarle.
Sono la terza comunità straniera più presente sul suolo italiano, ma forse non li conosciamo davvero abbastanza. Qui a MUNCHIES, allora, abbiamo pensato di dedicare alla cultura gastronomica cinese una settimana a tema in occasione del Capodanno Cinese.
Sono la terza comunità straniera più presente sul suolo italiano, ma forse non li conosciamo davvero abbastanza. Qui a MUNCHIES, allora, abbiamo pensato di dedicare alla cultura gastronomica cinese una settimana a tema in occasione del Capodanno Cinese.
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Benvenuti alla Chinese Week di MUNCHIES Italia.
“Ho un carattere di merda, ma ho sempre avuto una grande apertura mentale”.Siamo in via Edoardo Porro 8, vicino viale Jenner. Gianni Borelli, patron de L’Altra Isola ha 82 anni ed è talmente avanti che gli chiederei quasi di uscire insieme per un tête-à-tête. In due ore di chiacchierata, mi ha illuminata con perle di saggezza che nemmeno gli aforismi di Osho.
“Ho un carattere di merda, ma ho sempre avuto una grande apertura mentale”.Siamo in via Edoardo Porro 8, vicino viale Jenner. Gianni Borelli, patron de L’Altra Isola ha 82 anni ed è talmente avanti che gli chiederei quasi di uscire insieme per un tête-à-tête. In due ore di chiacchierata, mi ha illuminata con perle di saggezza che nemmeno gli aforismi di Osho.
Di origini modenesi, vive a Milano dal 1952 e da sempre lavora nel mondo della ristorazione, gestendo il mestiere con disincanto, consapevolezza e passione. “Ho provato a ritirarmi e coltivare l’orto per due anni nel mio paese natale, ma sentivo la mancanza di questo ambiente e di Milano: non riuscirei più a vivere a Modena, non ci sono nemmeno più i comunisti”, racconta. È un highlander della ristorazione, penso.“Se vuoi avere una grande delusione, devi assumere un cuoco che proviene da una scuola”
L’Altra Isola , un ristorante dove si respira ancora l’atmosfera della vecchia Milano, come si leggerebbe su una guida. Uno di quei posti che fai fatica a scovare, nascosto in una traversa periferica quasi decadente, con quell’aria da trattoria semplice e credibile, dove vai se vuoi mangiare un buon piatto milanese.
Quella di Gianni e Hu Shunfeng, l’altro protagonista della storia, è una lezione che mi ha dato da riflettere sin dal nostro primo incontro, avvenuto circa dieci anni fa, quando mi aggiravo per i ristoranti a caccia del miglior risotto allo zafferano della città, per il concorso Giallo Milano.
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In qualità di giurata, ero stata inviata a L’Altra Isola per una preselezione. Dovevo assaggiare il risotto proposto e analizzarlo secondo i canonici parametri di valutazione: aroma, sapore, colore, cottura, mantecatura. Il responso? Quasi perfetto. Ricordo di aver compilato la scheda assegnando un punteggio molto alto a tutte le voci.
Come spesso accade in queste occasioni, dopo la degustazione, ho chiesto di incontrare il cuoco per fargli qualche domanda. Sorpresa: lo chef era cinese e a stento parlava italiano. Ammetto senza vergogna che la sua sagoma, lì per lì, mi ha un po’ spiazzato. Mi sta tradendo la vista o il palato? Sinceramente, mi sarei stupita di meno se mi fossi imbattuta nel volto rugoso della famosa nonna-da-menu, quella millantata da molti ristoranti che vantano un’antica ricetta ereditata (o preparata) da un’immortale signora centenaria.
Sì, l’autore di uno dei migliori risotti di Milano era un uomo cinese. Ed eccomi tornata a L’Altra Isola per una chiacchierata, a distanza di anni.
Gianni resta un gran bel personaggio e Hu (che nel frattempo ho scoperto si fa chiamare Marco) parla ancora poco italiano, prepara tuttora un risotto da urlo, ma è un fenomeno anche quando si cimenta in piatti più elaborati come la cassoeula o l’ossobuco.“Se vuoi avere una grande delusione, devi assumere un cuoco che proviene da una scuola”. Da navigata volpe della ristorazione, Gianni riassume così il senso della presenza di Marco-Hu nella cucina del ristorante sin dall’apertura, più di quindici anni fa.
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Scopro che Hu è socio al 50% dell’attività, che è nato nel 1957 a Zhejiang ed è arrivato a Milano nel 1989, in cerca di fortuna, a seguito di un incidente sul lavoro che gli ha portato via tre dita del piede. In Cina, il suo mestiere non aveva nulla a che fare con il favoloso mondo del food: lavorava su una piattaforma petrolifera.
“I ragazzi cinesi riescono perché non hanno presunzione”
A Milano, trova subito impiego come lavapiatti nel ristorante di cui Gianni all’epoca era titolare, L’Isola, in zona corso Como. Fa due anni di gavetta, osservando attentamente la manualità di chi prepara da mangiare. Quando viene chiusa l’attività, Hu trova lavoro in un altro storico luogo cittadino, l’Antica Trattoria della Pesa, dove approfondisce ulteriormente la conoscenza delle ricette tradizionali. Le sue nozioni in fatto di gastronomia crescono e, nel 1994, decide di volare in Olanda per raggiungere la sorella, che nel frattempo aveva aperto lì un ristorante cinese. Trascorre quattro anni in cucina, tra riso alla cantonese e shao mai, quindi torna a Milano dal fido datore di lavoro Gianni, che gli propone un’assunzione come aiuto-cuoco all Osteria Corte Regina, nei pressi di viale Padova, al fianco dello chef Maurizio Ghiringhelli. Non ci pensa due volte ad accettare: la collaborazione ormai è consolidata.
Ma arriviamo all’apertura de L’Altra Isola, nel 2001, dove Hu esordisce come co-titolare e come cuoco. “Ormai aveva imparato il mestiere per imitazione, lo ha appreso sul campo, che è la cosa migliore: le imbeccate giuste, quando necessario, gliele ho date io”, racconta Gianni. “Non prendo mai nessuno che arriva dalla scuola alberghiera. Forse non tutti sanno che anche Angelo Pozzi, il mitico direttore del Savini negli anni Trenta, ha iniziato facendo il lavapiatti”, mi dice. “I ragazzi cinesi riescono perché non hanno presunzione”. Così Gianni mi spiega perché ha scelto di affidarsi a un cuoco-non-cuoco orientale, abbattendo ogni barriera culturale in tempi insospettabili.
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La critica alla spocchia di chi ama salire in cattedra mi lascia intuire il segreto del longevo sodalizio lavorativo con Hu: un tandem perfettamente sincronizzato, riuscito al punto che (mi fa notare) L’Altra Isola da dieci anni viene insignito della Corona Radiosa per la cucina milanese da Il Golosario.L’umanità del legame che c’è tra i due è davvero percepibile, Gianni mi racconta dei momenti (belli e brutti) che hanno affrontato insieme, di quanto sia affezionato alla famiglia di Hu. Intanto, sono curiosa di capire come reagiscono le persone che non appartengono alla categoria degli habitué che frequentano il locale.Ci sono mai state reazioni negative alla scoperta di un volto cinese in cucina, in un tempio della gastronomia meneghina? “Quando è capitato, non gliele ho mandate a dire”, risponde, aggiungendo che il più grande complimento a tavola, per lui, è il silenzio. Che Gianni sia sempre stato un anticonformista, è evidente. Ai miei occhi lo diventa ancora di più quando conosco pure Paolo, originario di El Salvador, che da addetto alle pulizie è stato promosso aiuto-cuoco. È appena arrivato al ristorante per il servizio del pranzo e ha il sorriso stampato in faccia.La cucina cinese è più complessa, ha tantissimi piatti, con diverse consistenze e tipologie di cottura
Hu, intanto, sta preparando - neanche a farlo apposta - il risotto, cui abbinerà l’ossobuco. Sbircio in cucina per vedere che diavolo mette in quell’impeccabile piatto da milanes.
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"Come lo prepari?" gli chiedo. Hu risponde: “Riso di varietà carnaroli o vialone nano, brodo di manzo con midollo, burro, scaglie di cipolla che tolgo in un secondo momento, necessarie per dare l’aroma, vino bianco e zafferano italiano in polvere”, spiega.Ma com’è la cucina milanese, vista (e interpretata) da un cinese? Hu, che ha esperienza su entrambi i fronti, può essermi di aiuto. Parla poco, ma sufficientemente per dirmi subito che - tra le due gastronomie - preferisce quella italiana. “La cucina cinese è più complessa, ha tantissimi piatti, con diverse consistenze e tipologie di cottura”, racconta.
“La ricetta milanese più difficile da preparare è la cassoeula, ci vuole molto tempo, minimo tre ore di procedimento, impiego parecchio per allestire tutta la linea”, mi dice. A sorpresa, nella sua classifica personale, il risotto giallo sbaraglia la concorrenza e conquista il primo posto per la facilità di esecuzione. “Per me non è un piatto complicato da preparare, basta avere un buon brodo di carne: è il segreto per dare un ottimo gusto ai chicchi”.
Semplice, insomma. Come l’ambiente che mi circonda, “il posto volutamente più sfigato e nascosto che c’è”, a detta di Gianni. Come l’approccio di questo duo italo-cinese, che mi ha letteralmente fulminato con la sua lungimiranza e la sua umiltà.Semplice, come tutte le più grandi lezioni (che - mi insegnano - non arrivano dalle accademie, ma dall’esperienza).Segui Mariarosaria Bruno
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