Cibo

Lo stato dei mari italiani raccontato da chi li vive

Il mar Mediterraneo sta rapidamente cambiando temperatura, flora e fauna. E i pescatori se ne stanno accorgendo.
Stato inquinamento mare italiano
Foto di Andrea Maccantelli per gentile concessione di Giuseppe Emili.

“La maggior parte dei rifiuti che raccogliamo sono bottiglie, sacchetti, materiale da spiaggia.
Peschiamo però anche lattine, pneumatici e frigoriferi.”

Nel 2022, l’aumento costante delle temperature rispetto agli anni precedenti è stato tale da rendere sempre più urgente la questione clima.  
In particolare il Mar Mediterraneo, la scorsa estate, ha raggiunto il triste traguardo di una temperatura record di 30.7°C.
Una variazione che sta portando conseguenze irreparabili per flora, fauna e tutti coloro che vivono a stretto contatto con il Mare Nostrum.

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L’innalzamento delle temperature marine nel Mediterraneo, di fatto, rischia di distruggere equilibri complessi e di cambiare profondamente le creature che lo popolano.
Stiamo già assistendo alla comparsa di specie allogene e alla scomparsa di quelle autoctone: un esempio ne è la sempre maggiore presenza di meduse, ma anche la presenza di specie tipiche dei mari tropicali.

Insomma, il rischio per il futuro prossimo è quello di un Mediterraneo sempre più pericoloso, sempre meno balneabile e la scomparsa dalle nostre acque di specie legate anche alla nostra tradizione, culinaria e non.
Oltre al riscaldamento globale, poi, c’è il problema gravissimo delle plastiche nei nostri mari e dei materiali di scarto di difficile smaltimento, con danni potenzialmente molto gravi. Il riscaldamento globale, però, non è l’unico problema che affligge i nostri mari.

Per capire lo stato dei mari italiani, abbiamo fatto qualche domanda a chi quei mari li conosce, li vive e cerca di curarli: Ogyre, la prima piattaforma italiana digitale di fishing for litter, che si occupa della pesca dei rifiuti nel mare. Una storia iniziata nel 2021 con la collaborazione di piccoli pescatori per il recupero di rifiuti plastici e il loro smaltimento. 

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Qual è lo stato dei mari italiani?

”Gli impatti che l’inquinamento da plastica ha sull’ecosistema marino sono diversi: Si spazia dall’ingestione da parte degli animali marini al trasporto di specie aliene. L’altro problema di queste plastiche sono anche gli additivi che possono rilasciare e che aumentano il rischio tossicologico degli organismi marini.”

“Le maggiori sfide che l’ecosistema marino deve affrontare sono, oltre l’inquinamento dato dalla plastica, il cambiamento climatico conseguente all’aumento delle temperature, che comporta anche l’innalzamento del livello del mare e un aumento della sua acidificazione; la proliferazione di alghe, che sottraggono ossigeno alla fauna e flora locale che si ritrovano soffocate; l’eccessivo rumore dovuto ad attività umane che interferisce con le comunicazioni tra le specie marine e il sovrasfruttamento delle risorse naturali”, ci spiega Antonio Augeri, fondatore di Ogyre.

Ho passato una notte pescando le vongole nell'Adriatico

Come mi spiega, il nome Mediterraneo si rifà al fatto di essere circondato, appunto, dalla terra. Il che lo espone a un maggiore stress rispetto a mari più aperti. “Vista l’alta densità di popolazione delle zone costiere che lo circondano ed il gran numero di fiumi che vi confluiscono, il Mediterraneo è considerato il mare più danneggiato dall’inquinamento plastico. Si stima che la plastica già presente nel Mediterraneo ammonti a 1.178.000 tonnellate e che ogni anno altre 229.000 tonnellate si vadano ad aggiungere a quelle già presenti,” racconta Augeri. Tra i principali paesi che disperdono questi rifiuti in mare vi è, al secondo posto, l’Italia.

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Concentrandoci su coloro che vivono i mari, quanto inficia l'inquinamento da plastiche e micro-plastiche sullo stato di salute della fauna ittica?
”Gli impatti che l’inquinamento da plastica ha sull’ecosistema marino sono diversi,” continuano da Ogyre. “Si spazia dall’ingestione da parte degli animali marini al trasporto di specie aliene in nuovi ecosistemi, come la Ricciola Fasciata, la Bavosa Africana, il Pesce Palla e la Noce di Mare.”
Per darvi un’idea, uno studio del 2019 ha rivelato che nel 71% delle tartarughe analizzate nel Mediterraneo sono presenti di 1.3 grammi di rifiuti plastici. “L’altro problema di queste plastiche sono anche gli additivi che possono rilasciare e che aumentano il rischio eco-tossicologico degli organismi marini.”

Il che, se ve lo steste chiedendo, arriva anche a noi, che siamo la fase finale della filiera: le sostanze tossiche si accumulano e noi ce le mangiamo tutte.
In pratica è come se ci mangiassimo una carta di credito a settimana.

Cosa si trova nel Mediterraneo

Ad assorbire micro-plastiche sono anche i plancton. Questo riduce la loro capacità di assorbire CO2 ed emettere ossigeno, innalzando le temperature marine.

Per capire in dettaglio cosa viene pescato nei nostri mari, ho sentito anche due cooperative di pescatori. Benedetto Carpi della Coop Armatori Motopescherecci di Santa Margherita Ligure, mi ha spiegato: “L’attività ha come riferimento un fondale che va da 50 metri a 700 metri dalla costa. La maggior parte dei rifiuti che raccogliamo sono di plastica (bottiglie, sacchetti, materiale da spiaggia, ecc). Peschiamo però anche lattine, pneumatici e frigoriferi. Dove la pesca è meno frequente, poi, abbiamo notato che la plastica è stata ricoperta di vegetazione.”

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Dall’altra parte dello stivale, invece: “Gli sversamenti incontrollati da terra a mare portano alla sofferenza delle specie che vivono più vicino alla terra,” mi ha detto Giuseppe Emili, presidente dell'Organizzazione di Produttori della Pesca di Civitanova Marche. “Si pensi alla vongola o ai mitili che più risentono dell’inquinamento terrestre. Bisognerebbe incrementare sempre più i depuratori, controllare di più e punire severamente gli sversamenti di sostanze tossiche.”

Ad assorbire micro-plastiche, tra l’altro, sono anche i plancton. Questo riduce la loro capacità di assorbire CO2 ed emettere ossigeno, innalzando le temperature marine, in un circolo vizioso.

I problemi per la pesca

“Una volta, al variare delle temperature, il pesce si spostava; ora invece tende a rimanere alle stesse profondità. Un esempio è il gambero. Altri pesci, invece, come il merlano o il pesce sciabola, sono quasi spariti.”

”Le temperature sempre più alte fanno sì che determinate specie si riproducano più facilmente e altre soffrano,” mi dice Benedetto Carpi. “Una volta, al variare delle temperature, il pesce si spostava; ora invece tende a rimanere alle stesse profondità. Un esempio è il gambero, che oltre a prediligere la stessa profondità rimane nella stessa zona. Altri pesci, invece, come il merlano o il pesce sciabola, sono quasi spariti.”

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Nelle Marche la storia è più o meno la stessa: “I cambiamenti climatici hanno certamente cambiato il mondo della pesca,” mi dice Giuseppe Emili. “L’aumento delle temperature delle acque ha portato la presenza di specie mai viste in Adriatico e alla riduzione di alcune specie autoctone. Si pensi alle “noci di mare”, che rappresentano un pericolo gravissimo per la pesca locale.” Questa specie, tra l’altro, ha già avuto effetti devastanti: arrivate nel Mar Nero, ne hanno quasi completamente compromesso la pesca. “Nell’Adriatico la specie più a rischio per tale invasione è la vongola.”

Un fenomeno che sta colpendo l’intero mare Mediterraneo.
Le ricerche, infatti, dimostrano che ondate di calore come questa sono state responsabili della perdita del 80% delle specie marine nel Mediterraneo nel periodo tra il 2015 e il 2019. E si stima che il 20% delle specie attualmente presenti sia a rischio di estinzione. E non parliamo solo di specie marine, ma anche di quelle terrestri e di acqua dolce. Nel mare, gli animali più minacciati sono gli squali, le razze e le chimere (o “ghost shark”), a rischio di estinzione per più del 40%.

Come si ripercuote sul mercato ittico

A rimetterci sono principalmente i piccoli pescatori locali, che non hanno nuove tecnologie a disposizione o imbarcazioni che gli permettano di raggiungere nuove mete di pesca.

La domanda che alla fine ci interessa, però, è: quanto questo fenomeno colpisce noi consumatori finali? E come?
”Al momento, sia la produzione che il consumo globale di pesce sono in aumento, e sono previsti in crescita nei prossimi anni,” mi spiegano da Ogyre. Più precisamente in 30 anni la produzione di pesce è cresciuta del 48%, mentre il consumo di pesce è previsto che aumenterà del 16% entro il 2029.

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“Questo non vuol però dire che non ci sia un problema di spopolamento dei mari, tutt’altro. Molto pesce che arriva oggi al consumatore viene anche dall’itticultura; anzi, al 2030 si prevede che il pesce da itticultura coprirà il 62% dei consumi finali.”

Morale della favola, a rimetterci sono quindi principalmente i piccoli pescatori locali, che non hanno nuove tecnologie a disposizione o imbarcazioni che gli permettano di raggiungere nuove mete di pesca.
”Sostanzialmente la pesca è simile a quella di decenni fa,” mi dicono dalle cooperative di pescatori.
“Purtroppo anche i prezzi del pescato sono gli stessi e questo compromette l’economia delle aziende che, a fronte del forte rincaro dei prezzi del carburante e del giusto aumento del costo del lavoro, deve però registrare una stabilità nei prezzi di vendita ed un calo delle vendite dovuto alla crisi economica generale, che porta i consumatori a comprarne di qualità peggiore, allevato o da pesca a reti negli oceani.”

Tutto sommato le nostre regole di pesca e fermo pesca in Italia non sono così male e hanno aiutato anche il ripopolamento di alcune specie, come i tonni rossi. Ma comunque il mercato facilita la grande distribuzione ittica, che ha maglie legislative più larghe e mezzi più potenti. “Come si può paragonare un peschereccio di 30 metri con uno di 15? Come si può paragonare un peschereccio che pesca 18 ore al giorno con uno che ne pesca 8?”

In una realtà dalle tinte così scure, sono gli stessi pescatori a dare spiragli di luce: “Almeno i rifiuti, rispetto a molti anni fa, sono cambiati in meglio, mi dice Benedetto Carpi. “Perché erano rifiuti derivanti da navi dove il catrame la faceva da padrone. Ora, con le nuove direttive, non succede più. La vera soluzione è sensibilizzare le persone”

Al momento i pescatori che collaborano con Ogyre hanno raccolto 232.650 kg di rifiuti dal Mediterraneo, il che dimostra come la sensibilità sul tema stia certamente aumentando.

Uno sforzo comune per un patrimonio che dobbiamo tutelare e che ha bisogno anche del nostro impegno. Perché il mare è di tutti. E per tutti.

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